LIBERTARI DI SINISTRA PARLANO Compagni, facciamo
autocritica! Le rivoluzioni mancate dalla
sinistra Un appassionante
dialogo tra Christian Rocca e il libertario di sinistra Paul Berman
contribuisce a chiarire alcuni tra gli aspetti meno comprensibili
dell'atteggiamento della sinistra occidentale verso il terrorismo e il
totalitarismo arabo-musulmano LIBRI IN PRIMO PIANO.
1 Flussi e riflussi.
Indagine sull'origine di una
teoria scientifica Un'indagine quasi
"poliziesca", condotta attraverso l'esame di fonti finora sconosciute o
inaccessibili, ipotesi indiziarie e il confronto incrociato delle
testimonianze, fa luce sulla vicenda della scomparsa della teoria astronomica
delle maree di Carmine
Monaco Il nuovo libro di Lucio Russo, Flussi e
riflussi. Indagine sull'origine di una teoria scientifica, Feltrinelli
2003, raggiunge perfettamente l'ambizioso scopo di contribuire a chiarire alcune
zone in ombra della storia della cultura e della scienza, determinate dalla
"perdita di conoscenze", dalla loro "imbalsamazione e sterlizzazione", dal
"recupero inconsapevole di antiche idee vissuto come conquista originale",
dalla "rimozione della memoria storica" e altri fattori. Il caso affrontato
è esemplare: le teorie astronomiche delle maree che hanno preceduto e preparato
la sistemazione newtoniana. Il lavoro di Russo riesce nell'impresa
pressoché impossibile di ripercorrere due millenni di storia culturale e
scientifica, superando gli ostacoli frapposti dalla scarsità delle fonti e dalla
difficoltà della loro interpretazione, nonché dalla espulsione quasi
pregiudiziale dall'ambito della storia della scienza di qualsiasi idea sulle
maree espressa prima della trattazione di Newton, inclusa nei Philosophiae
naturalis principia mathematica, del 1687. Il lavoro di Russo contribuisce
non solo a fare chiarezza sul ruolo determinante nella formazione
della cultura moderna assunto da fenomeni culturali e scientifici precedenti, a
cui si continua ad attribuire scarsa o nessuna importanza, ma fornisce anche un
nuovo metodo di ricerca, uno schema mentale che potremmo definire della ricerca
archeologica culturale e scientifica che sarebbe bene cominciasse ad affermarsi
nei dipartimenti universitari europei, al fine di comprendere quanta sapienza è
andata perduta sotto le spinte di culture avverse, nel periodo romano ma
soprattutto nel medioevo. In base ad un metodo "investigativo" quasi
poliziesco, Lucio Russo ripercorre a ritroso, alla ricerca di fonti sempre più
antiche, la storia delle teorie scientifiche sulle maree. Alla carenza di
fonti dirette e di una completa cronistoria, Russo sopperisce mediante una sorta
di "processo indiziario", costruito su solide basi teoriche, che
mediante induzione portano a conclusioni davvero sorprendenti.
Tra le conseguenze più significative
derivanti dall'indagine di Russo vi è l'aver portato a conoscenza del grande
pubblico fonti rimaste per secoli sconosciute o inaccessibili. Anche grazie a ciò, si apre finalmente un dibattito serio sulla
"fossilizzazione delle conoscenze". Per secoli l'appiattimento morale, culturale
e scientifico del Medioevo ha fatto credere agli uomini che la terra fosse
piatta: un analogo appiattimento culturale fa credere agli uomini del
nostro tempo che la scienza (e il metodo scientifico sperimentale, così
come modernamente inteso), sia nato con Galileo Galilei. Non è proprio così, ed
accettare quella che è ormai un'evidenza non può che produrre ulteriori
progressi nel campo della conoscenza.
Paul Berman è l'intellettuale di sinistra che ha spiegato ai suoi compagni
che la guerra al terrorismo arabo-musulmano è l'ultima tappa delle due guerre
contro i totalitarismi che l'Occidente ha combattuto nel secolo scorso, quella
contro il nazifascismo e quella contro il comunismo. Lo ha scritto in un
bellissimo libro, Terror and Liberalism, che il Foglio ha recensito il
12 aprile ("il più conciso e intelligente commento sul mio libro", ha detto
Berman), e che presto sarà pubblicato in Italia dall'editore Einaudi.
LIBRI IN PRIMO PIANO. 2
Rinascimento al femminile
Il ruolo e il contributo delle donne al rifiorire della civiltà europea. La storia insegna e consiglia, nonostante l'oscurità
di Diana Datola
Il Rinascimento europeo è stato fatto anche da e per donne illustri come Vittoria Colonna, Isabella d'Este, Giulia Gonzaga, Gaspara Stampa, Isabella di Castiglia, Elisabetta I Tudor, e così via. Dunque, regine, nobildonne, poetesse, cortigiane famose, ma anche sante, mistiche, streghe, guaritrici, vedove: le donne hanno profondamente influito non solo sulla politica del loro tempo ma anche sulla formazione della stessa cultura rinascimentale. Una vasta saggistica ritrae le personalità e le opere delle donne più famose della nostra "resurrezione" civile e culturale (tra i più curati e approfonditi v. N. Zemon Davis, Storia delle donne in Occidente dal Rinascimento all'Età Moderna, Laterza 1991), ma il libro che intendiamo segnalare questa volta è dedicato a figure femminili molto meno note al grande pubblico.
Rinascimento al femminile, curato da Ottavia Niccoli (Laterza 1998), presenta infatti numerosi profili di donne ormai "insolite" per il nostro tempo e per la nostra società contemporanea, anche se è facile individuare per ciascuna di loro delle categorie. Possiamo immaginare quante altre abbiano vissuto esperienze analoghe e vite simili a quelle descritte, da Isotta Nogarola, umanista e devota, a Paola Antonia Negri, monaca Angelica; da Beatrice De Luna, vedova Mendes, alias Donna Gracia Nasi, un'ebrea influente, a Ginevra Gozzadini dall'Armi, gentildonna bolognese; e ancora Gostanza da Libbiano, guaritrice e strega, Camilla la Magra, prostituta romana e Angela Vallerani, vedova. Donne in un certo senso "comuni", ma anche personaggi, che con le loro storie rappresentano, senza i filtri della storiografia, il loro tempo.
E' ovvio che, se le loro storie hanno attraversato i secoli, la loro vita non deve essere sfuggita all'eccezionalità, da cui le diverse testimonianze scritte lasciate da loro stesse o, più spesso, da altri. Tre di queste donne sono state sottoposte a processi inquisitori o criminali, altre tre si sono dedicate alla scrittura. Delle sette donne presentate, solo Beatrice De Luna ha avuto una cospicua rilevanza sociale, acquistando quella che oggi si definirebbe una notevole "visibilità": le altre hanno fatto parte, in varia misura, del "gruppo silente" che tende a lasciar poca traccia di sé, come Gostanza da Libbiano, "guaritrice" quando riusciva a salvare i malati che le si presentavano anche da molto lontano, e "strega" per aver provocato, con le sue malìe o con la sua sola presenza, la morte di bambini che le vivevano intorno.
E' facile rintracciare la malevola interferenza dei dottori "maschi" che trovavano semplice, in questo e in migliaia di casi analoghi, liberarsi della pericolosa concorrenza delle donne, eredi dell'antica sapienza erboristica pagana e contadina, mediante una semplice delazione all'Inquisizione. Le testimonianze maschili che abbondano nei verbali inquisitori, spesso non riescono nemmeno a nascondere l'invidia per la fama di alcune di loro, come Gostanza, che riusciva a guarire un bue incapace di lasciare la sua stalla mediante il semplice tocco del suo capestro: una capacità taumaturgica eccezionale, in confronto a quella dei "medici" ignoranti che, nella gran parte dei casi, si limitavano ad applicare, qualsiasi fosse la patologia, delle orribili e fameliche sanguisughe su vari punti del corpo del malato, anticipando o addirittura causando, in molti casi, la morte del paziente, senza che ciò li portasse a subìre i medesimi processi subiti dalle "guaritrici demoniache".
La storia di Gostanza illustra i meccanismi perversi del processo inquisitoriale, una fase a cui non si arrivava sempre ma che, una volta avviata, si concludeva salvo poche eccezioni con la confessione completa e la morte dell'inquisita. Nuda, davanti ai giudici, Gostanza non confessa ancora nulla, fino a che non viene alzata a quattro metri d'altezza, le braccia tirate dietro la schiena da una fune che solleva il peso del corpo e lo lascia cadere d'un tratto, creando dolorose lussazioni e fratture. Gostanza dopo una serie di strappi confessa avallando le accuse iniziali (voi non avreste confessato, sospesi per le braccia, con davanti il quadro completo delle successive torture?), ma all'inquisitore non basta: giacché c'è, la donna deve ammettere di conoscere "le malìe et se le sa disfare et guarire". In altre parole, Gostanza è già morta, quelle parole non sottintendono altro. Per puro istinto di sopravvivenza la donna inizialmente nega e viene sottoposta ad altre indicibili torture e sofferenze, finché non confesserà di essere andata la notte insieme ad altre streghe a celebrare il sabba del diavolo, il quale interveniva ai festini in forma di animale - sì, capretto, gallo, fate voi!, purché finisca presto -, un diavolo che portava le sue principesse in luoghi ameni, dove si ballava e si cantava e si mangiavano buone vivande, e che dava loro tanti tesori, attingendoli da un pozzo senza fine ricolmo d'oro e gioielli d'ogni specie, per i quali lei trovava giusto concedergli il proprio amore, fino ad arrivare a concepire addirittura un figlio.
La fortuna di Gostanza (o la sua ennesima malìa, chissà?) fu l'aver incontrato, tra i suoi inquisitori, uno che non aveva voglia di uccidere per uccidere, insomma, un "inquisitore illuminato" che non credette, conoscendo bene il diavolo e le sue possibilità sessuali e riproduttive, che ella avesse potuto concepire un figlio diabolico, almeno nelle modalità da lei descritte. Come va a finire lo dovrete scoprire da soli, senza dimenticare di riflettere sulle sofferenze di milioni di donne ancora oggi sottomesse a leggi medioevali in tanta parte del mondo.
LIBRI IN PRIMO PIANO. 3
Israele-Palestina. Storia, giudizi e pregiudizi
"Non possiamo confidare nell'Europa e tanto meno amarla se non amiamo lo Stato d'Israele [...] e il suo popolo misto, coraggioso e spaventato. [...] Senza di che, temo che non si possa nemmeno amare la Palestina e la sua gente umiliata, coraggiosa e spaventata. Salvo che si faccia dell'amore per gli uni un grato pretesto per continuare ad odiare gli altri". Adriano Sofri, La Repubblica, 6 aprile 2002.
di Carmine Monaco
La storia del conflitto arabo-israeliano è quanto di più difficile da raccontare, soprattutto quando si intende fare chiarezza non tanto sulle responsabilità reali e presunte dell'una e dell'altra parte, ma sulla questione, ben più complessa e problematica, dell'approccio all'argomento da parte di mass-media e forze politiche e sociali. Un approccio mai completamente privo del velo delle ideologie, un velo che impedisce ai più di "vedere", ovvero di essere onesti e mantenere un atteggiamento equidistante e eticamente ineccepibile, come potrebbe essere, ad esempio, quello di stabilire finalmente che lo sfruttamento dei bambini a scopi militari (o terroristici, secondo i punti di vista), è sempre da condannare, qualunque sia la causa a cui li si sacrifichino. Infatti, di fronte alla foto di un bambino palestinese di pochi mesi, vestito da kamikaze, con tanto di cintura esplosiva, cartucciera e fascia da "martire", un essere umano degno di questo nome deve porsi degli interrogativi fondamentali.
Il libro di Luca Puleo, Israele-Palestina. Storia, giudizi e pregiudizi, Proedi 2003, racconta la storia del conflitto fornendo innanzi tutto un "album visivo" (foto, cartine, diagrammi, riproduzioni di documenti storici e così via) e notizie essenziali che raramente sono presentati al pubblico dagli addetti ai lavori, nonostante in alcuni casi sia molto facile accedervi. Un fatto inspiegabile, che fa pensare ad una vera e propria volontà di omissione di tutti quei dati di fatto e documenti che possano danneggiare la parte tradizionalmente considerata "vittima", ossia il "popolo palestinese" oppresso dai "cattivi israeliani", culminata nel tristemente celebre "caso Cristiano", il giornalista Rai che si scusò con l'Autorità Palestinese per aver lasciato uscire dal paese le immagini del linciaggio dei due giovani soldati israeliani, trasmesse poi non dalla Rai ma dalle reti Mediaset.
NUOVI, VECCHI INTERROGATIVI
Il razzismo in Italia
La ricerca condotta dal Dipartimento di Ricerca Sociale e Metodologia sociologica dell'Università La Sapienza di Roma, rileva "sentore di razzismo" in una elevata percentuale di italiani: ma non era un mistero
di Tiziana Ficacci
Il 27 giugno presso la Sala della Protomoteca – Campidoglio è stata presentata la ricerca "Il razzismo in Italia" condotta da Enzo Campelli, direttore del Dipartimento di Ricerca Sociale e Metodologia Sociologica dell’Università la Sapienza di Roma, promossa e finanziata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con i fondi dell’8 per mille e patrocinata dalla Presidenza della Repubblica. 2200 interviste a giovani tra i 14 e i 18 anni residenti in 110 comuni: studenti, lavoratori, del nord (che si rivela il più ostile alla diversità) e del sud più profondo.
I ricercatori hanno compilato una scala di razzismo che va da molto alto (10,8%), ad alto (9,2%) fino a molto basso (7,8%), passando per le varie gradazioni. Secondo il prof. Campelli c’è una dose di atteggiamento ostile nei confronti delle minoranze che sta diventando senso comune condiviso in molti ambienti. Se fino a qualche tempo fa c’erano dei filtri di natura sociale, adesso i filtri si sono attenuati ed è aumentata la possibilità di dichiarare pubblicamente ciò che prima non si sarebbe mai detto.
Questo sentore di razzismo è avvertibile ovunque, anche in gruppi culturali, religiosi e politici molto diversi tra loro. Se è vero che c’è una tendenza nei ragazzi in posizione sociale più svantaggiata nel non considerare positivamente le minoranze, questo non esclude che anche tra i giovani cresciuti in ambienti più sani si avverta un clima sfavorevole nei confronti del diverso. Il discorso vale anche per le differenze territoriali: ci sono aree del nord-est dove si addensa una forte percentuale di posizioni contrarie alle minoranze, ma lo stesso vale anche per le zone del profondo sud. Tra i ragazzi che si dichiarano di destra si riscontra un punteggio alto sulla scala del razzismo (57,4% di razzisti forti), in quelli di centro c’è una grande concentrazione di punteggi medi, ovvero razzismo non forte ma di patrimonio comune. A sinistra la percentuale di posizioni contro le minoranze è minore ma rimane comunque intorno al 17%. Secondo il prof. Campelli si potrebbe affermare che nei confronti degli immigrati ci sia una atteggiamento di fastidio (alimentano la prostituzione, sporcano e danneggiano i quartieri in cui vivono), nei confronti dei musulmani allarme (sono troppi, sono un pericolo per la nostra civilizzazione), nei confronti degli ebrei estraneità (sono percepiti come un gruppo altro). E anche tra chi non sembra essere razzista, prevale una visione paternalistica (dobbiamo aiutarli…) che tende comunque a rifiutare la parità mantenendo un’ottica gerarchica.
Amos Luzzatto, presidente dell’UCEI, commentando i dati della ricerca ha detto che ai ragazzi vanno proposti modelli di convivenza positivi. Ma per questo Luzzatto si rivolge al mondo politico: "Non si possono continuare a tirare siluri alla legge sulla libertà religiosa. L’iter parlamentare va completato e noi faremo il massimo della pressione". Ma, il presidente dell’UCEI sta lavorando anche ad un altro obiettivo, la creazione di un forum interreligioso: "Ho lanciato l’idea a Vienna, durante il convegno dell’Ocse sulla sicurezza in Europa. Penso ad un codice di comportamento che impegni i firmatari a rispettare le altre religioni. I protestanti hanno già aderito entusiasti".
Durante i lavori è stato letto un messaggio di saluto del Sindaco di Roma Walter Veltroni che ha avvertito come anche nel progresso della democrazia, nell’idea stessa di modernità, possono risiedere i germi della discriminazione e del razzismo.
Nel mondo attuale bisogna avere la responsabilità di affermare che il progresso di ognuno è indissolubilmente legato a quello dell’altro e che Roma fa questo, tenendo fede al suo ruolo di grande capitale e alla sua stessa identità di città aperta, di luogo di incontro, di accoglienza e di scambio tra popoli, culture e religioni diverse.
LA STORIA RACCONTATA DAI PROTAGONISTI
Chi sei? Sono un ebreo di Erez Israel
L’intervista di Deborah Fait a Miriam Bemporad-Bar El è un eccezionale documento storico e letterario, la cronaca di un’impresa sovrumana compiuta da uomini, donne, vecchi e bambini privati anche della paura
di Deborah Fait
"Sono tornata a Casa. Mio Nonno diceva: siamo stati deportati da Tito Imperatore ma le nostre radici sono nella Terra di Israele".
Con queste parole incomincia l'intervista concessami da Miriam Bemporad-Bar El, un'italo-israeliana, arrivata a nuoto in Israele nel 1947. Più che un'intervista si tratta di un racconto, il tragico racconto della sua alyia'. La lascio parlare, un fiume di parole forse per troppo tempo trattenute. Affascinata la lascio raccontare e registro.
Miriam vive oggi a Bat Yam, una cittadina sul mare a sud di Tel Aviv. Ha visto tutto, ha vissuto tutto, dalla Shoah che le ha rubato tutta la famiglia e gli amici, al rifiuto degli inglesi di permettere agli ebrei di raggiungere la Palestina Mandataria, all'emozione quasi delirante della nascita dello Stato di Israele.
Ha visto Erez Israel com'era prima di diventare Israele, ha visto i suoi compagni morire sgozzati dalle bande di arabi che terrorizzavano ebrei e beduini, ha conosciuto i soldati della Brigata Ebraica venuti in Italia con gli alleati per salvare gli ebrei dai nazi-fascisti
"Sulle loro spalline c'era scritto Palestina-Erez Israel", dice con orgoglio.
- Come sei arrivata in Israele?
"22 mesi dopo la fine della guerra, clandestinamente, dalla spiaggia di Metaponto, uscivano due navi , una colma di 800 passeggeri e l'altra, la nostra, di 200. Salimmo tutti, in mare aperto, su una nave che doveva apparire vuota agli inglesi che sorvegliavano il mare per catturarci prima che si arrivasse a casa. A due a due, di notte, sorvegliavamo dal ponte aspettando che dalla costa della Palestina arrivasse un segnale dai nostri fratelli. Finalmente Il segnale arrivò ma non si ripeté e allora, insospettiti , scrutammo tra le nuvole basse di una tempesta in arrivo e vedemmo con orrore le sagome di due incrociatori inglesi. Ci fermammo di colpo lasciandoli allontanare e avvisando tutti di non fumare e stare in perfetto silenzio. Non si accorsero di noi. La nave , spinta dalla tempesta verso la costa, si arenò su uno scoglio. Il comandante ebreo volle immediatamente far scendere i meravigliosi marinai italiani che ci avevano aiutato, anche se questo costituiva un grande pericolo per noi. Tentammo con delle scialuppe ma volarono nella tempesta come fossero di carta, alla fine i fratelli dalla costa mandarono un motoscafo che portò a riva i marinai che furono subito messi in salvo. Il motoscafo portò anche un cavo che unì la nave alla costa. Quanto distavamo? 10/20 metri? di più? con quella tempesta anche due metri erano troppi. All'improvviso, come per miracolo, il mare si popolò: ragazzi giovanissimi, 14-15 anni, nuotavano intorno alla nave, erano col solo costume, di tanto in tanto salivano sulla nave battendo i denti . Venivano massaggiati, riscaldati alla meglio persino con qualche sorso di liquore che venne fuori da qualche zaino e poi di nuovo giù in quell'acqua gelida, per aiutarci a nuotare, vestiti, fino alla riva , in una notte di tempesta del febbraio 1947.
"A casa, a casa, venite fratelli" ci dicevano incitandoci a saltare nel buio profondo del mare.
Legai giacca e scarpe allo zaino e lo buttai a mare, mi aggrappai al cavo e cominciai ad avanzare come un camaleonte ma alla fine mi tuffai a causa del male alle mani che si stavano tagliando. Affondai e tornai immediatamente a galla ma avevo perso il cavo, incominciai a nuotare ma capii che non andavo né avanti né indietro. Mi tenevo solo a galla, i vestiti pesavano, all'improvviso qualcuno mi afferro' il braccio
"At beseder?" mi chiese una voce "Stai bene?" Certo che stavo bene, pensai, stavo benone, stavo tornando a casa, ero in mezzo ai fratelli. Chi non starebbe bene in un simile frangente? Mi condusse al cavo e avanzai verso la riva. Non chiedermi quanto tempo impiegai, alla fine però fui fuori dall'acqua e sentii ancora parole di benvenuto, parole commosse e piene di entusiasmo anche se dette sottovoce, quasi un bisbiglio: "Benvenuti fratelli, benvenuti a casa".
- E appena a riva cosa hai visto? Quale sensazione ricordi?
"Per prima cosa cercai lo zaino che conteneva tutto quello che possedevo, non trovandolo, mi incamminai e feci i miei primi passi in Erez Israel. Gli sterpi e le spine della duna mi ferivano i piedi ma a me sembravano carezze. Questa è la prima sensazione che ricordo: i rovi che facevano sanguinare i miei piedi e la mia felicità. Avevo 19 anni, niente mi faceva paura dopo quello che avevo vissuto in Italia.
- Ma sapevate dove stavate andando?
Oggi a 56 anni di distanza, ripensando a quei momenti, non posso fare a meno di paragonare il nostro cammino a quello delle formiche, una fila che saliva e una fila che scendeva. Noi, i nuovi arrivati, salivamo e andavano in discesa quelli che venivano ad aiutarci. Eravamo attenti ad ogni rumore, eravamo avvolti dal buio profondo che precede l'alba, quelli che scendevano verso la riva continuavano a sussurrarci: "Baruch abba, benvenuto". Fra loro riconobbi qualcuno, che era stato con me nel Palmach in Italia, ma non c'era il tempo di fermarci. Un viso conosciuto che scendeva ad aiutare, passandomi accanto, mi sussurrò: "Sono del kibbuz Givat Brenner", ma non facemmo in tempo a dire altro. Arrivati in cima alle dune albeggiava e ci guardammo intorno. C'era il nulla, deserto, solo deserto ma, avanzando, all'improvviso, come un fata Morgana, ecco alcune casette bianche dal tetto rosso, c'era solo quello in un mare di sabbia.
"Era il kibbuz Nezanim e quando arrivai vidi che era già circondato dagli inglesi. Totalmente dimentichi della dichiarazione Balfour e dell'aiuto ricevuto dagli ebrei che, a rischio della vita, li affiancarono nelle battaglie contro i turchi, i soldati britannici ci davano la caccia per riportarci a Cipro. Scambiai i miei pantaloni bagnati con una ragazza della mia misura, mi procurai un paio di scarpe di due numeri più grandi e, a un ordine degli inglesi, passammo al vicino campo militare di Julis. Continuavo a guardarmi intorno, le casette di Nezanim, il campo inglese e sabbia, solo tanta sabbia. Prima che gli inglesi se ne accorgessero demmo fuoco ai documenti e allora incominciarono gli interrogatori:
- Chi sei?
- Un ebreo di Erez Israel
- Quando sei venuto?
- Non ricordo
- Con quale nave?
- Non lo so
- Dimmi il tuo nome
- Sono un ebreo di Erez Israel.
"Ci portarono via con dei camion, portarono via noi nuovi arrivati e i nostri salvatori della spiaggia, tagliuzzammo i teloni per vedere fuori. Come succede qui la notte cadde di colpo, i nostri salvatori, arrestati con noi, ci avvisavano quando eravamo in vicinanza di un kibbuz e allora tutti cantavamo a squarciagola per far capire che ci stavano portando via. Viaggiammo tutta la notte, guardavo fuori e non vedevo niente, ogni tanto delle luci e qualcuno mi diceva: "Ecco, quello è un kibbuz". Oltre a quelle luci nient'altro, nulla, buio, deserto, buio!
"All'alba arrivammo al porto militare di Haifa e, nonostante i giri fatti dagli inglesi per confondere le idee, il tam- tam dei nostri fratelli aveva funzionato e una folla ci aspettava al porto. Ci festeggiavano, ci gridavano "arrivederci".
"Gli inglesi ci portarono in un capannone, ci perquisirono tutto il corpo, anche nelle parti più intime, ci spruzzarono di DDT infine ci fecero salire su una nave di prigionieri. Da la' era impossibile gettarci a nuoto. Ci misero nella stiva dove passammo la notte smantellando dalle pareti tutto quello che poteva servire per combattere, per rompergli la testa agli inglesi e assistendo uno dei nostri giovanissimi salvatori arrestati con noi , poco più di un bambino, che ardeva di febbre e delirava.
- Ma gli ebrei che erano venuti a salvarvi sulla nave si sono fatti prendere con voi?
"Certo, sono stati con noi tutto il tempo, sono stati deportati con noi a Cipro dove volevano aiutare anche gli internati ebrei dell'isola. Eravamo tutti insieme sulla nave dei prigionieri e decidemmo di non lasciare la stiva nemmeno se costretti. Ci procurammo, andando nei gabinetti, degli stracci bagnati strappati dai nostri vestiti: ci avrebbero aiutato a resistere quando ci avessero gettato i lacrimogeni per farci uscire sul ponte. Gettarono tre lacrimogeni e noi resistemmo grazie ai nostri straccetti umidi. Poi dissero che se non fossimo usciti gli altri internati che, a Cipro, avevano ricevuto il permesso di andare in Palestina sarebbero stati rimandati al campo di internamento. Allora uscimmo subito e ci condussero ad una zattera che aspettava accanto alla nave e che dovevamo raggiungere scendendo una scaletta ripida.
"Improvvisamente ecco il ciack secco di uno schiaffo e un silenzio stranissimo. Impietriti ci voltammo e vedemmo una donna dal tipico aspetto dei reduci dei campi di sterminio. Alta e statuaria, magrissima, ma bolsa, gonfia di fame, mostrava a un soldato il braccio col numero tatuato gridando verso di noi in Yiddish: "Voleva farmi cadere! " e in ebraico, con voce roca, continuò: " MAI PIU'!".
Quel "mai più!" rimase nelle orecchie di Miriam e dei suoi compagni.
"Mai più potranno tormentarci, mai più potranno ammazzarci, mai più potranno maltrattarci. Appena toccata la sabbia di casa ci avevano riportati via ma saremmo tornati e là, a casa nostra, nessuno ci avrebbe mai più fatto del male. Là, in Erez Israel."
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Berlusconi paladino dell’italianità
Il semestre di presidenza italiana del G8, iniziato il 30 giugno 2008 a Roma col tradizionale discorso inaugurale, è stato funestato da un agguato al nostro Presidente del Consiglio e la scena politica mondiale vive l’ennesima gazzarre
di Giuseppe Nitto
Sul modello UE anche il G8 ha ritenuto opportuno nominare un Ufficio di Presidenza, che a turno spetta ai paesi membri. Il semestre 1° luglio - 31 dicembre 2008 è toccato all'Italia e quindi al suo Premier, l'On. Cav. Silvio Berlusconi, nominato Presidente del Consiglio dopo le elezioni del 2006.
Nel suo discorso d'insediamento il Premier italiano è stato interrotto più volte da un deputato del Parlamento amerikano, membro della delegazione Usa, il quale ha accusato il Premier italiano di: a) farsi leggi su misura (in Italia infatti è stata abolita la Magistratura); b) di non aver risolto il conflitto di interessi (la Rai e LA7 sono state acquistate da Mediaset); c) di avere nel governo ex fascisti e post- leghisti.
Dopo l'interruzione, l'On. Cav. Berlusconi, conclusi i brusii e i lazzi che hanno pervaso la sala del Summit, ha così replicato al deputato amerikano: "So che in Italia stanno per iniziare le riprese di un film che narra dello sterminio degli indiani d'Amerika da parte dell'esercito dell'Unione: con la faccia che Lei si ritrova la proporrò per la parte del tenente Smith, l'aiutante in campo del Generale Custer, il quale peraltro si distinse per la costruzione dei primi campi di concentramento".
Subito dopo, il vice presidente del Consiglio, l'On. Gianfranco Fini, ha abbracciato il Premier italiano, complimentandosi per la felice sortita. Una pattuglia di girotondini-pacifisti ha subito abbassato i cartelli contro Berlusconi e ha applaudito calorosamente gridando: "Ianchii gò ohm!!"
La stampa italiana, in particolare Unità, Manifesto, Liberazione e Repubblica, hanno titolato al'unisono: "BRAVO BERLUSCONI!" Il Corriere della Sera invece ha scelto un taglio più istituzionale: "G8: il Premier difende il prestigio dell'Italia."
Il Foglio, spiazzato, ha titolato così: "Berlusconi nel solco di Sigonella". La stampa estera, in particolare quella francese e tedesca, ha così commentato: "dimenticato l'incidente di 5 anni prima: Berlusconi difende l'Europa". L'ex deputato della SPD, Schulz (con il quale 5 anni orsono ci fu un duro scambio di battute in sede UE) ha dichiarato: "il collega amerikano si è meritato la risposta del Presidente del Consiglio italiano".
Raggiunto in Iran, dove il regime-change amerikano ha spodestato i mullah e gli ayatollah con una guerra durata 1 mese, Gino Strada ha detto: "Da oggi Emergency accetta i finanziamenti del Governo italiano". Infine Nanni Moretti, raggiunto al telefono sul set del film "Le stanze di Arcore", ha dichiarato: "Berlusconi ha restituito onore all'Italia dopo gli indegni attacchi amerikani".
Migliaia anzi milioni di emails hanno intasato i server dei siti dei maggiori giornali e delle reti Mediaset, con un unico messaggio: "oggi siamo orgogliosi di essere italiani".
Fonte: ANSIA - Roma, 1° luglio 2008
Della guerra giusta e della giusta pace
Nell’ultimo numero di Giugno di Famiglia Cristiana, rispondendo al quesito di un lettore che chiedeva spiegazioni circa la questione della guerra giusta, ovvero, se è preferibile la Pacem in terris che nega la sua legittimità ed il Catechismo che invece la sostiene, il giornale ha risposto testualmente: "Al fine di evitare malesseri, inquietudini e indebite strumentalizzazioni, pare auspicabile, oltre una modifica del Catechismo, una dichiarazione del Magistero che esplicitamente dichiari morta e sepolta la dottrina della guerra giusta e che a essa venga sostituita la dottrina della giusta pace". Confesso che sono rimasto alquanto perplesso della risposta. E' vero che Famiglia Cristiana è il giornale cattolico più diffuso in Italia, ma non credo costituisca un buon motivo per seminare zizzania tra i fedeli circa la validità dell'attuale Magistero di cui il Catechismo è autorevole espressione magisteriale. Famiglia Cristiana si è però scordata di riferire che Giovanni Paolo II ha anche detto: "La pace è un fondamentale diritto di ogni uomo, che va continuamente promosso, tenendo conto che "gli uomini in quanto peccatori sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta del Cristo" (Lumen gentium, 78). Talora questo compito, come l'esperienza anche recente ha dimostrato, comporta iniziative concrete per disarmare l'aggressore. Intendo qui riferirmi alla cosiddetta "ingerenza umanitaria", che rappresenta, dopo il fallimento degli sforzi della politica e degli strumenti di difesa non violenti, l'estremo tentativo a cui ricorrere per arrestare la mano dell'ingiusto aggressore". La richiesta del Pontefice ad intervenire militarmente a Serajevo ne fù la conferma. Va bene che in alcuni ambienti è ancora vivo lo slogan l'obbedienza non è più una virtù, ma pretendere di insegnare alla Chiesa il Suo mestiere non è esercizio di umiltà cristiana.
Gianni.Toffali@inwind.it Dossobuono Verona