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 LA RUSSA
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zanin roberto
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Italy
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Inserito - 15/05/2005 :  12:32:47  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
LA RUSSA


I platani grossi dalle larghe foglie ombreggiavano il viale che dalla stazione ferroviaria di Cordovado portava allo splendido Santuario Mariano barocco, la littorina fischiava la sua ripartenza con uno sbuffo nero di nafta bruciata e la donna dai tratti asiatici, si incamminava con passo lesto, lungo la strada asfaltata con una borsa di vimini larga e gonfia.
I raggi del sole s'insinuavano tra il fogliame e di lontano gli zoccoli d'uno smilzo asino cadenzavano l'avanzare di un carro colmo di fieno, io me ne stavo ragazzino con la mia bicicletta a fluttuare in quell'angolo di paese e osservavo la donna che mi incuriosiva, con quel suo mesto apparire senza rumore, scivolando umile in quella strada raccolta nella sua dignità.
Avevo sentito che la chiamavano la "russa" e ora intuivo che quei tratti così diversi erano il risultato di una genetica lontana.
Il viso aveva la pelle buterata forse per una malattia avuta, i capelli erano mori e lunghi, il naso sporgeva arcigno in quel volto duro, gli occhi erano persi in una lontananza dolorosa e neanche malinconica, ma una fierezza emergeva da qualche parte in quel portamento sicuro e coraggioso.
La vedevo sparire oltre il muretto del ponte alla fine del viale e mentre un gruppo di donne si animavano alla vista del pescivendolo con quel furgoncino celeste me la ricordavo che a volte si sedeva sola con quel suo vestito grigio a stampe di fiorellini e accavallando le gambe si fumava con golosità una sigaretta.
Correvo pensieroso, piacevolmente rinfrescato da un venticello tiepido e continuavo a chiedermi chi fosse, da dove venisse, che cosa facesse.
In quei primi anni sessanta non accadeva che altre persone di diversa etnia passassero per Cordovado, niente gente di colore, niente extracomunitari, niente asiatici, ecco allora emergere la curiosità per quella donna che quando parlava sembrava la doppiatura di qualche film in bianco e nero, della straniera venuta dalle steppe.
Un camion carico di sassi della vicina cava, grondava acqua e passava stridendo i freni senza alcuna pausa, sentivo l'aria calda che spostava il "gigante" sorpassandomi,investirmi poi di nuovo la calma della campagna che conteneva quelle bricciole di modernità in un manto di amenità semplice e di ritmi felpati.
L'unica soluzione all'enigma è che fosse venuta con qualcuno fino al mio paese, ma con chi ?
Arrivai alla porta nord del castello dove un ammasso di grosse pietre carsiche a mò di cumulo facevano da monumento ai caduti delle due guerre mondiali, una statua bronzea di color grigio verde di un soldato della prima guerra mondiale svettava sopra con il suo fucile e sotto una lastra di marmo bianco era iscritta con i nomi dei paesani imolati alle guerre.
Incuriosito mi fermai proprio mentre una folata di aria mi faceva respirare quel buon profumo di panificio che cucinava dolci, associai l'idea che forse la "russa" aveva conosciuto un soldato italiano del mio paese nella campagna disastrosa di Russia e poi l'avesse seguito in patria.
Ma perchè allora la vedevo sempre sola?
Ripresi a correre con la bicicletta e con il pensiero, passarono alcune auto poi il trotto incitato d'un cavallo che trainava veloce un grosso carro carico di assi di legno, risi divertito alla vista delle feci che l'animale aveva seminato lungo la strada, il campanile del Santuario rintoccava le sei di sera e rientrai a casa.
Mi svegliai sudato la notte, avevo avuto un incubo che mi aveva turbato enormemente, fuori la luna illuminava piazza Santa Caterina e l'odore di fiori di siepe dolce mi calmò, avevo ancora la sensazione delle sue mani strette al mio collo e la donna che rideva, rideva, e rideva mentre la sua sigaretta fumava ingiallendo il medio e l'indice della mano sinistra.
Era lei, la "russa" parlava un italiano stentato e distorto solo la parola "fuggire" ripetutta con insistenza mi rimbalzava in testa, mi calmai.
Guardai il lampione dalla fioca luce e mi riaddormentai sognando la partita di pallone che mi aspettava la domenica mattina.

di Zanin Roberto

   
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