emofione
Emerito
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Inserito - 24/06/2005 : 09:39:09
“Io mi ricordo quattro ragazzi…”, uno dei quali, il sottoscritto, aveva deciso di cimentarsi con due materie classiche, Italiano e Matematica. La prima, la “materia madre”, non tanto e non solo perché frequentavamo il Liceo, quanto, invece, perché la mia mamma la insegnava, in un altro Istituto certo, ma con una passione ed una professionalità tali (ed inversamente proporzionali a quelli della mia prof) da farmi propendere verso quella scelta, perché sapevo non avrei potuto fare un buco nell’acqua, non con Maria Chiara che mi risentiva, che mi aiutava, che mi “imparava a”. La seconda, perché da noi era la materiucola, quella più snobbata, quella che “basta ripassarsi due teoremi, fare qualche disequazione, e te la cavi”. Dunque una da studiare seriamente, una da far finta di. Io ed i miei amici fidati, dei quali uno, Emiliano, s’è perso nella valle del tempo, sembra lavori in banca, era ed è stranissimo, certamente il più colto del gruppetto, forse anche il più intelligente, altrettanto sicuramente, però, anche il solo secchione, nonché quello con maggiori problemi nella vita reale e sociale, fatta, allora, di partite di pallone (io indiscutibilmente il “Maradino” della situazione), passioni sfrenate per avvenenti studentesse (forse a Stefano la palma del più ambito), e risate fragorose per ogni genere di cavolata (Giovanni il più bravo, senza indugio, a tenere banco tra la gente). Il secondo, Giovanni, laureatosi successivamente in Legge ma solo perché costretto dal padre avvocato, assolutamente istrionico e sempre in bilico tra l’essere uomo ed il far strada nel mondo della comicità (sta collaborando con Zelig, e fa varie altre cose ma, a parer mio, senza un po’ di fortuna, non andrà da nessuna parte; rimane comunque il più ridicolo e irriverente dei personaggi livornesi che conosco). Il terzo, Stefano, amico pressoché fraterno, anch’esso stranissimo (avete presente l’amico di Fabio Volo nel suo ultimo film? Una cosa così insomma), certamente uno che si dà da fare nella vita, e che, nonostante fosse anticipato di un anno, risultava il più “scafato” del gruppetto, il primo ad avvicinarsi a certe realtà (a volte anche a quelle negative, ma non solo), il primo a farsi uomo probabilmente, ma anche quello che, allo stato attuale, più di tutti sta ancora cercando la sua vera dimensione, lontano com’è da quel concetto di famiglia, di donna per sempre, di lavoro sodo e con obbiettivi chiari, che gli è sempre stato caro. Infine io, l’altro Emiliano, quello dei “compromessi”, quello cioè che coniugava, allora, le “serate matte”, le sbornie, e tante altre vicende più o meno goliardiche, con un voto almeno decente alla maturità (45, contro i 37 di Stefano e Giovanni, e l’inarrivabile 56, se non erro, dell’Emiliano serio), quello che giocava a pallone in continuazione, litigando e facendosi squalificare nei campi dei mezza Toscana (lo faccio anche adesso, che non sia per sentirmi ancora giovane?), ma che aveva anche la ragazza fissa, che lo avrebbe accompagnato per 5 lunghi anni, e alla quale sarebbe seguita un’altra storia infinita, e poi un’altra ancora, nell’incapacità del soggetto (ormai assodata, ma con ritardo imbarazzante) di starsene da solo. Quello che, ormai quasi 31 enne, continua a giocare a pallone, continua ad avere la ragazza fissa (allo stato attuale una splendida Lolita 22 years old), continua nei compromessi lavorativi, sentimentali, nei compromessi di vita insomma, standosene con i piedi in innumerevoli staffe, quello che “maturità t’avessi preso prima, anzi t’avessi preso e basta”, perché qui non ci si leva più le gambe. Ma il protagonista di questa storia non è il sottoscritto (sono stato di recente redarguito da un’amica e tacciato, peraltro giustamente, di egoismo ed egocentrismo), che palpebre sarebbe scrivere sempre e solo di se stessi. I co-protagonisti della vicenda, invece, sono la Tuché, la sorte (per dirlo alla greca, e notate bene, io a Greco c’avevo 3 senza nemmeno un qualche decimale di contorno), l’angoscia di vivere (talvolta di passaggio sotto le vesti della più cupa apatia) ma anche la voglia matta di viversela sta vita, di non lasciarla fuggire, tra due risate e quattro chiacchiere o 8 birre, facendo sì che i nuovi maturandi non si tramutino più, come nel caso di quelli della classe 1974, in 30enni scombussolati, senza senso, senza obiettivi chiari, senza un cavolo di sbocco o con sbocchi talmente pianificati al tavolino, anno dopo anno, da darti i brividi, da farti pensare “sono costretto, alea iacta est, non si può più tornare indietro”. Perché è facile a dirsi, “mettete la testa a posto, crescete una buona volta, allontanatevi da mamma chioccia e datevi una smossa in tutti i sensi, o almeno prendete una direzione che non sia ellittica, concentrica, e tenda sempre verso il punto di partenza”. Bisognerebbe avere i mezzi, non solo gli attributi (perché alcuni ce l’hanno, ve l’assicuro, ma non bastano affatto), bisognerebbe che certi valori, certi concetti meritocratici, certi passaggi ineludibili fossero rispettivamente riconquistati, ridiscussi, ripensati e talvolta capovolti. Secondo me i nuovi giovani un pochino questa cosa l’hanno capita e, pur sbagliando, come naturale e doveroso alla loro età, tentano di esprimersi in modi diversi, di distruggere certe vetuste quanto barocche strutture sociali, e di inseguire ideali più nobili del puro benessere, o dello status quo. E’ che ci si approfitta della loro ingenuità, della loro eccessiva spinta emotiva, dei loro numerosi quanto prevedibili errori nel porsi, nel criticare, nel contestare, nel riproporre, per far cadere, sul nascere, chi probabilmente ha capito, e chi vuole divenire davvero un trentenne con i fiocchi, indipendente, libero di scegliere, aperto di mentalità, soddisfatto di quello che ha e con obbiettivi chiari, espliciti e realizzabili, non sogni nel cassetto da abbandonare un giorno o l’altro, con la pessima, codarda, quasi “donabbondaiana” scusa che “siamo cresciuti, è ora di metter la testa a posto, è ora di essere uomini”. Finisco ricordando me, Stefano e Luca (altro grandissimo amico ma non di scuola), nel recente passato, basiti di fronte al trailer del film del piccolo Muccino “Che ne sarà di noi”, allorché lui si chiede cosa diventerà a 30 anni, e cosa sarà dei suoi amici, che persone, che soggetti, che espressioni, che esseri diverranno. Ecco, ricordo noi tre che ci guardiamo, in silenzio, ma con un non so che di profondo mix scassamento-delusione e ci rispondiamo, quasi all’unisono, qualcosa di molto semplice ma a parer mio di meravigliosamente riassuntivo di tutti sti concetti e ste riflessioni, qualcosa del tipo “De’, eccoci qui” (sottinteso….e dove volevi essere, altrimenti….). E allora cari 18enni del 2005, lottate, pensate, discutete, inseguite, reagite; soprattutto non permettete che tutto questo succeda anche a Voi.
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