claudio moica
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Inserito - 16/10/2005 : 15:03:33
Forse sapremo descrivere solo in un secondo momento quel che veramente accade da anni in Italia: il degradarsi specialmente rapido dello stile di governare, il frantumarsi dello spirito e del dire pubblico, la disciplina che non è radicata nei costumi ma si applica solo quando il magistrato interviene ed eludendo la legge con la furberia dei legalismi, il corrompersi vasto “dell'autorevolezza” associata alle classi dirigenti che lo trasformano con l’altro sostantivo “autoritarismo”. Ma i sintomi già sono visibili tutti, e la maniera in cui il male contagia politica e società l'abbiamo davanti, ogni giorno. Non sappiamo forse il perché di quel che accade, ma il come lo constatiamo da tempo. Un sintomo vistoso di questo degradarsi delle classi dirigenti è “la parola liberata”: che viene detta senz'alcun freno, dunque senza responsabilità. Che si proferisce da un pulpito, senza chiedersi quali doveri il pulpito comporti. La Parola Liberata (non diversamente dalla Donna Liberata, dal Terzo Mondo liberato) è il contrario di parola libera. Libero è chi, non ledendo la libertà altrui, può gestire la cosa propria senza imposizioni, che poi potrà anche essere cosa di altri, consapevole di poter commettere degli errori ma sempre libero di poterli riparare. Mentre il Liberato è chi, essendo stato troppo tempo emarginato, viene rivalutato oppure anche chi viene sollevato da uno stato di oppressione. La differenza sostanziale sta nel fatto che la persona libera non è gravata da nessun debito nei confronti di alcuno mentre quella liberata dovrà, per un lungo periodo se non per sempre, disobbligarsi con chi gli ha ridato la Libertà. La parola, per fortuna, non è mai debitrice con qualcuno e quindi spazia nella bocca del sapiente come in quella di chi, per colpa propria o degli eventi, manca di cultura. Se a questi ultimi non gli si possono addebitare colpe specifiche quando ne fanno un uso improprio gli altri, che sarebbero tenuti di conoscerne appieno i significati, dovremo metterli di fronte ad un tribunale lessicale ogni qualvolta commettono il reato di “sproloquio” quindi di “parola liberata”. Sicuramente se in questo caso la pena massima fosse la restrizione della libertà le nostre patrie galere sarebbero super affollate e forse, per paura di incorrere in ciò, molti di loro userebbero la parola in modo più responsabile e appropriato. Ma viviamo in uno stato di diritto di conseguenza ognuno ha il diritto di dire le sciocchezze che ritiene opportuno ricordandogli però che al diritto segue il dovere, quello di rispettare il prossimo dando seguito alle parole con i fatti. Perché l’uno senza l’altra rimane un semplice movimento di labbra che permette al fiato di defluire facendo articolare dei suoni che se nel mondo animale sono un segnale di richiamo nel mondo dell’homo sapiens potrebbero dare vita solo ad una brutta canzone sanremese. Nell’attesa di un codice che tuteli la parola, restituendole il rispetto che le è dovuto, l’unica maniera che conosco per contrastare coloro che l’hanno “liberata”, per un uso esclusivamente personale, è di rafforzare la nostra cultura personale e, quando qualcuno tende di fuorviare il vero senso di essa o di usarla in un contesto non consono, alzargli palizzate verbali come hanno fatto tutti quelli che si sono ribellati (in questi casi fisicamente) di fronte ad una situazione di totalitarismo sia governativo che economica piuttosto che sociale. Convinto come sono che il silenzio è prerogativa di saggezza invito tutti coloro che ricoprono cariche istituzionali, siano esse a livello centrale che locale, di limitarsi nei loro esercizi gutturali alle poche parole di cui conoscono il vero significato e di seguire il consiglio di Talete (antesignano della filosofia greca) che diceva” L’uomo è stato creato con una bocca per parlare poco e due orecchie per ascoltare il doppio!”. Buona vita e serena riflessione! Claudio Moica
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