monidol
Esploratore
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Inserito - 18/11/2005 : 09:59:16
Marrakech 16.08.2003Dopo lunghi giorni di piacevoli fatiche a bordo di una jeep, incurante della stanchezza, del caldo e della polvere, stasera voglio regalarmi due ore di relax e di attenzioni. Chiedo dove sia un Hammam. Dopo qualche tentativo, ho una risposta solo dopo aver ricordato di aggiungere quella lettera simile ad un respiro che viene dallo stomaco. Ce ne è uno femminile poco lontano dall’hotel. 70 dirham! Va bene. La stradina è stretta e buia e ancora di più lo è la scala che devo salire. Lo faccio con incedere sicuro come ogni volta in cui mi serve nascondere disagio o paura. “Bonjour!” sono le 19 e una vecchia e grassa megera, seduta fra tappeti e cuscini consunti, mi indica una panca in legno dove mettere i vestiti. Tengo gli slip del costume da bagno. La Madame dal suo groviglio di grasso, sporco e stoffa mi ordina a gesti di togliermeli. Ubbidisco nonostante le condizioni igieniche mi inquietino un po’. Confido mentalmente nel potere sterilizzante del calore. Soddisfatta, con un ghigno che vuole essere un sorriso mi invita a varcare la porta della stanza del bagno turco. Entro cercando di non scivolare, sono imbarazzata, socchiudo gli occhi nel sentirmi avvolgere dal calore e dall’umidità. Guardo le donne sedute per terra contro le pareti della stanza. Chiacchierano in arabo versandosi addosso casseruole di acqua prese da vecchi secchi posti al centro della stanza. Sorrido intimidita, sono a disagio. La donna che massaggia mi spalma nella mano “le savon noir”, una melassa scura e mi fa segno di frizionare il corpo. Mi siedo anch’io per terra sulle vecchie piastrelle bollenti, guardo il mio corpo spalmandomi addosso quella robaccia nera e scivolosa. A turno le donne si alzano per riempire i secchi d’acqua. La più giovane mi sorride, ha il corpo snello e scuro e gli occhi a mandorla. Mentre rispondo al sorriso, osservando i bei lineamenti del suo viso e del suo corpo, mi colpisce una secchiata d’acqua, improvvisa, violenta. Mi spavento, mi esce un urlo, mi giro di scatto con gli occhi sgranati, l’autrice di quell’attacco si mette a ridere, mi prende dalle mani quel che rimane del mio “savon noir” e comincia a sfregarmi la schiena, sorride senza dire niente, ridono anche le altre donne, rido anch’io, ridiamo tutte dello scherzo e del mio imbarazzo. Prendo anch’io un pentolino d’acqua e lo getto in faccia alla complice ragazzina scura che ora ride sguaiatamente. Il gioco continua interrotto da tentativi di comunicazione verbale, in realtà molto rari, sono donne semplici, sanno poco e male il francese. Attendiamo così il nostro turno per essere massaggiate. Osservo i loro corpi, la forma del pube, la diversa grandezza dei seni, le diverse forme, l’impettita sodezza di alcuni e il triste cedimento di altri, frutto dell’amore e dalla necessità di allattare tanti bambini. Guardo i loro ventri levigati dalla giovinezza o segnati dalle gravidanze. Il colore della loro pelle. Alcune hanno la pelle color dell’ebano che ricopre forme grosse e prosperose. Altre hanno la pelle chiara, quasi violetta. La tonalità della mia è una via di mezzo. Sono l’unica con il segno del costume. La massaggiatrice ha un corpo grosso e sodo con grandi seni e cosce tonde. E’ seduta al centro, davanti ad un tappeto fradicio dove battendo due volte la mano mi invita a sdraiarmi. La donna comincia a sfregarmi il corpo, con energia, quasi con rudezza, come le madri di troppi figli quando non si possono permettere la delicatezza. Mi irrigidisco un po’, mi fa quasi male soprattutto quando mi passa la spugna ruvida sul seno o nell’interno cosce. Poi mi fa mettere prona, sulla schiena è piacevole mi lascio andare. Mi avvisa di aver finito il dietro con una pacca sonora sulle natiche. Ora devo mettermi seduta di fronte a lei, le nostre cosce nude si incrociano un po’, lei indossa gli slip, l’unica, io no. Mi prende la mano, me la appoggia sulla sua gamba vicino al suo inguine. Sento la sua carne morbida ed elastica in cui le mie dita sprofondano un po’. Quel contatto mi mette a disagio ma le permette di frizionarmi le braccia. Lo capisce e finalmente mi sorride, riesco ad abbandonare il braccio, riesco anche a fare un po’ di conversazione. Le chiedo quante ore passa li dentro, mi risponde otto, mi dice che è faticoso e che la sera riesce a malapena a trovare la forza di mangiare e poi va a letto spossata. Mi domando come possa il corpo umano abituarsi a stare così a lungo a quella temperatura, a quell’umidità (d'altronde l’uomo sopravvive e prevale in quanto essere dalla capacita di adattamento più alta). Sembra mi legga nel pensiero e mi dice che ha cinque figli da mantenere. Credo abbia meno di trent’anni. Ha un sorriso da bambina. Ma la conversazione è finita. Devo chiudere in fretta la bocca e gli occhi. Con la mano aperta mi insapona il viso. Improvvisamente torno bambina, non sono più lì, ho un balzo all’indietro nel tempo. Ora mi insapona i capelli, è bellissimo, non apro gli occhi, non voglio spezzare l’incanto di quel viaggio a ritroso che sto facendo attraverso la memoria del corpo. Mi risciacqua con l’acqua tiepida spostandomi i capelli dal viso. Poi, conscia del mio piacevole smarrimento, mi sussurra…”C’est fini!”. Non mi muovo immediatamente, apro gli occhi lentamente la guardo nei suoi che mi sorridono compiaciuti. Mi esce soltanto un roco “Merci!” e poi esco. Si “Grazie!”, da parte del corpo di cui ha avuto cura, dalla donna che ha saputo mettere a suo agio e dalla bimba che ha coccolato. Un antico proverbio marocchino dice “NEL BAGNO TURCO L’INGRESSO NON E’ MAI COME L’USCITA”. guarda da vicino...
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