Gabriella Cuscinà
Senatore
Italy
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Inserito - 21/11/2005 : 10:55:03
11 settembre Gino andò a prendere la madre e la trovò già pronta. Era abbastanza presto, circa le otto antimeridiane. Aveva pensato di arrivare alle Torri di buon ora, per avere tutta la mattinata a disposizione. Anche Maria era uscita con loro. Era una bella giornata e il cielo di New York era terso e sereno. Il palazzo della casa di moda era abbastanza lontano e quando vi arrivò, Maria sentì un rumore strano, come di un aereo che volasse a bassa quota. Alzando gli occhi infatti, scorse un Boeing che sorvolava la città, ma non vi fece caso. Poi nella stanza entrò a catapulta un dipendente gridando: “Un aereo! Un aereo! E’ caduto sulla Torre Nord!” Dapprima non capirono, giacché urlava come un ossesso. “Cosa dici? Cosa è successo?” “E’ piombato un aereo su una delle Torri Gemelle!” Il poveretto pareva invasato. Maria balzò in aria. “Le Torri! Gino! Mia madre!” Scappò via senza salutare e lasciando tutti frastornati. Salita in macchina, partì a gran velocità e intanto ricordava che l’impiegato aveva parlato di Torre Nord. Sicuramente il fratello avrebbe portato la madre sulla Torre Sud, quella turistica. La città era percorsa come da una ondata di panico e tensione. Per le strade il traffico era divenuto improvvisamente caotico. Squillò il telefonino. “ Maria dove ti trovi?” Era Bruce, il suo fidanzato. “Sono in macchina. Gino si trova alle Torri! Ci vado anch’io!” “Non te lo sognare minimamente! Vai alla pizzeria. Ho telefonato là pensando che Gino vi fosse andato per lavorare, ma non si è visto.” In quel momento, un secondo Boeing volava a quota bassissima. Dalla strada dove si trovava, Maria poteva vederlo chiaramente. Si dirigeva imperterrito e veloce contro la Torre Sud. Le pareva di sognare, era come se quell’immagine non fosse vera, come se stesse guardando un film di fantascienza. Aveva fermato l’auto ed era ammutolita, in preda allo strazio e all’orrore. Vedeva una delle Torri già tutta in fumo. L’altro aereo avanzava come un missile, come in una scena di guerra. Bruce invece non vedeva. Da dove si trovava, non poteva vedere. “ Maria ci sei? Maria! Maria!” Non rispondeva. Non poteva rispondere. In maniera catastrofica e ineluttabile, l’aereo si andò a schiantare sulla Torre Sud, più in basso rispetto al fumo che c’era dall’altra parte. L’urlo che le uscì di gola ebbe qualcosa di disumano e fece gelare il sangue di Bruce. “Un altro! Un altro! Gino! Mamma! Mamma!” Da piccola, le avevano detto che il padre era morto, ma non aveva provato quella sensazione di panico, di angoscia lacerante. Aveva subito tanti dispiaceri, ma il terrore di quel momento, il senso d’impotenza, di sbigottimento, superavano ogni precedente esperienza. “Cosa stai dicendo? Un altro cosa? Cooosa Maria?!” “Sulla Torre Sud! Un altro aereo! Un aaaltro!” Gridava e piangeva. Urlava e pareva isterica. Rimise in moto e partì a razzo. Anche Bruce era corso alla propria auto, ma continuava a parlare al telefonino. “ Maria mi senti? Dove stai andando?” Lo sentiva. Con l’apparecchio caduto sulle ginocchia, poteva udirlo. “Sto andando là!” urlò e continuò a guidare con la testa in fiamme. In quel momento si trovava dalle parti di Soho, ma il traffico si faceva sempre più convulso. L’espressione della gente appariva costernata. Gli occhi si volgevano in alto. I grattacieli normalmente attraggono solo l’attenzione dei turisti. Adesso tutta la popolazione aveva lo sguardo rivolto in su. Procedere con l’autovettura diveniva problematico. Era giunta all’altezza di Canal Street. Le strade erano trafficate ed era costretta a guidare a rilento. Maria pensava a Gino e alla madre. Cosa stavano facendo in quel momento? Dove si trovavano? Erano ancora nella piazza del Trade Center o erano già saliti sulla Torre turistica? Di certo non avevano trovato molta gente in coda, giacché s’erano avviati di buon ora. Allora saranno stati quasi certamente dentro. Ma dove? A che altezza? In quale piano? Le mani strinsero convulsamente il volante. Un tremito interno la pervase come una lampadina che s’accende e si spegne. Sentiva il petto e lo stomaco chiudersi. Non riusciva più a guidare. Era giunta alla City Hall. Pensò di lasciare la macchina e proseguire a piedi. Mentre scendeva dalla vettura, udì un fragore pauroso, un’esplosione agghiacciante, e alzando gli occhi vide crollare la Torre Sud. La parte superiore s’era staccata, il resto si sfaldava come un castello di sabbia, in una nuvola che ricordava un fungo atomico. Si accartocciava su se stessa e piombava lentamente, alzando fumo e polvere in una scena apocalittica. Come quando i sogni svaniscono e la persona più cara emette l’ultimo respiro, così il palazzo più alto, la finestra sul mondo, il simbolo dell’America, emetteva il suo ultimo spirito vitale. Maria restò a guardare muta, inebetita. Poi si afflosciò sulle ginocchia. Rimase seduta per terra col volto nascosto tra le gambe; uno spasimo mortale la faceva gemere. “ Mamma mamma, Gino, Gino, mamma!” Era una follia! C’erano detriti e polvere ovunque. Come se ci fosse stata l’eruzione di un vulcano. Davvero pareva di essere stati catapultati dentro un film di fantascienza! Erano là, sentiva che erano là; doveva correre, correre, correre, andare da loro. Difatti schizzò nella direzione del grattacielo crollato. Più avanzava, più ondate di polvere bianchissima e densa l’avvolgevano. Non si fermava. Continuava ad andare avanti mentre il fumo l’investiva e vedeva a stento. A un certo punto, le vennero incontro dei poliziotti e la bloccarono. “Non può andare oltre! Stop. Non si passa.” “Devo andare! C’è mia madre! Lasciatemi passare!” Cercava di farsi largo, ma l’afferravano per le spalle e la sospingevano indietro. La stessa cosa avveniva per le centinaia di persone che s’erano ammassate e che cercavano di infrangere lo sbarramento creato dalle forze dell’ordine. Un fumo nero si alzava come un gigante minaccioso. Intanto molti venivano verso di loro scappando e ricoperti da uno strato fitto di polvere, tale da farli apparire uomini di cemento! In questo trambusto, improvvisamente si sentì stringere da due forti braccia. Bruce l’aveva raggiunta. Nascose il volto sulla sua spalla e fu scossa da violenti singhiozzi. “Devo andare! Sono là! Devo andare!” “ Maria, non è possibile. Non fanno passare.” La stringeva e cercava di calmarla, ma sentiva che era estremamente sconvolta. La gente attorno pareva impazzita. Poi un secondo boato! I vigili del fuoco gridarono: “Via! Via tutti! Allontanatevi presto!” La Torre Nord prese a crollare anch’essa, ripetendo lo stesso identico, catastrofico spettacolo. Scapparono tutti. Scene di panico a mai finire. D’un tratto era come se una nebbia di cemento li avesse avvolti. Ne avevano gli occhi ricoperti e la respiravano. Bruce mise il suo fazzoletto sulla bocca di Maria. Una neve di cemento cominciò a cadere. Volgendo lo sguardo, videro una donna immobile e china, interamente ricoperta di polvere bianca. Pareva una statua di gesso, un’immagine surreale. Un pompiere intervenne a scuoterla. Poi ancora pompieri. Correvano a frotte in ogni direzione. Portavano la mascherina sul volto e solo gli occhi manifestavano tutto il loro sconcerto. Urla agghiaccianti, gente coperta di sangue. Tanti fuggivano con dei bambini in braccio. Una signora, sorreggendo il suo neonato, s’era nascosta dietro un’auto. Dei poliziotti l’aiutarono a rialzarsi e a scappare. Maria correva via insieme a Bruce e si teneva il fazzoletto sulla bocca, mentre singhiozzava e lacrime cocenti le scendevano sul viso a mischiarsi con la polvere. La sua New York! Come poteva essere successa una cosa del genere nella sua New York! Gino! Mamma! Correva, e piangendo continuava a ripetere mentalmente quei nomi. Il dolore che provava era inesprimibile. Sentiva tutta l’anima distrutta e soffocata dallo strazio. Ogni tanto si fermava esausta e cercava di riprendere fiato. Bruce la sollecitava: “Forza Maria! Andiamo! Corri!” Riprendeva a correre. Bisognava andare! Andare a vivere, pensava, e voi a morire! Mamma Gino! Chi di noi va verso un destino migliore? Credette d’avere urlato. Forse era stato solo il suo cervello a gridare. Ma avrebbe voluto urlare tutto l’orrore, la pena e l’agonia del suo cuore. Si afflosciò sulle gambe e il pianto non la faceva più respirare. Bruce dovette sollevarla di peso e l’aiutò a proseguire, sorreggendola come se fosse un peso morto. Anche loro sembravano due corpi di cemento. Erano ricoperti completamente di polvere bianca. Gli occhi si aprivano, scuri, sotto una fitta coltre che nascondeva tutto il sembiante e gli abiti. Vedevano le automobili e ogni altra cosa sommerse dal cemento, dal terriccio e da detriti di vario genere. I pompieri continuavano a trasportare feriti e gente sanguinante. Molti di loro indossavano le tute ignifughe, portavano gli elmi, le funi, gli occhiali, la maschera antigas, la bombola d’ossigeno. Ogni tanto si alzava un alto nebbione e non si vedeva più nulla, ma si continuava a sentire la gente strillare, piangere e chiedere aiuto. A un certo punto, una donna venne colpita da una palla di fuoco sopraggiunta da non si sa dove. Stramazzò a terra, morta all’istante. In mezzo al fumo e alle schegge, un uomo era immobile con l’espressione inebetita, un altro piangeva come un bambino. Quanto orrore e terrore nel volto di tutti! A gruppi o isolatamente s’allontanavano, spinti dall’istinto di sopravvivenza. I poliziotti correvano senza sosta. Trasportavano la gente in salvo e poi tornavano indietro. Qualche persona ferita cadeva a terra. Ma c’era subito qualcuno pronto a soccorrere. Bruce doveva badare a sorreggere Maria che procedeva a stento, sconvolta, delirante. Quando furono abbastanza lontani, si fermarono e s’abbracciarono. Poi si avviarono istintivamente verso Little Italy, verso la pizzeria, come fosse un’isola di salvezza. Strada facendo, mentre camminavano sfiniti e frastornati, incontrarono Nina, una cuoca italiana che Maria conosceva e che lavorava in un ristorante delle Torri. “Mi ha salvato il padrone!” gridò “Mi ha salvata!” Continuarono a procedere insieme, mentre quella raccontava. “Il ristorante è a piano terra, ma attorno piovevano detriti. Le luci in cucina s’accendevano e si spegnevano. A un certo punto il padrone mi ha chiamato al telefonino dicendo di scappare subito. Non mi decidevo. Avevo paura perché vedevo che fuori c’era l’inferno. Il padrone ha richiamato e ha urlato d’uscire. Gli altri erano già fuori. Sono corsa all’aperto. Ho visto un pezzo d’aereo sull’asfalto. Ho alzato gli occhi e ho visto corpi che volavano giù dai piani alti, uno dopo l’atro.” La poveretta aveva portato le mani al viso e aveva un’espressione inorridita! Aveva visto scene inverosimili. Immagini che mai avrebbe dimenticato: gente che si gettava nel vuoto per sottrarsi alle fiamme! I posti di blocco erano ovunque. Continuavano ad affluire i camion dei vigili del fuoco e le auto della polizia. Molti visi erano affacciati alle finestre dei palazzi vicini. Ma già le forze dell’ordine stavano facendo evacuare i grattacieli confinanti. La sua New York! Quella città che Maria aveva imparato ad amare. Come poteva succedere tutto ciò a New York! Riprendeva a piangere e sentiva l’anima straziata e un gelo mortale, mentre sempre gli stessi nomi le tornavano in mente: Mamma, Gino, Gino, mamma. Quando arrivarono alla pizzeria, videro tutti fuori, a guardare increduli. Tony, il lavapiatti, corse incontro a Maria. “Gino! Dov’è Gino?” Si guardarono disperati. Carlo, il proprietario, vedendola in quello stato, parve fuori di senno. “Non può essere! Non può essere! Oh Gino!” Si picchiava la fronte e si metteva le mani tra i capelli. Poi l’abbracciò e singhiozzarono insieme, accomunati da un dolore cocente. “La città è impazzita,” diceva qualcuno. “I notiziari televisivi parlano di un attentato terroristico,” replicava un altro. Bruce stava scrollandosi la polvere e il terriccio dagli abiti e dai capelli. Vollero confortare Maria. Era troppo addolorata e tormentata. Continuava a scuotere il capo e a piangere in silenzio. Una cameriera si sforzava di calmarla e consolarla. La fecero sedere. Qualcuno la carezzava e cercava di scuoterla. “Coraggio Maria! Può darsi che siano riusciti a scappare! Da un momento all’altro potremmo vederli arrivare.” “Ma non li avete chiamati al telefonino?” chiese un altro. “Ho provato tantissime volte,” ribatté Bruce “ ma quello di Gino risultava sempre irraggiungibile.” Così purtroppo nei giorni successivi, continuarono senza sosta a fare ricerche per sapere qualcosa di concreto, ma i loro cari risultavano tra i dispersi. Più passavano i giorni, più diminuivano le speranze di trovarli vivi. Anzi, temendo che soffrissero i tormenti dell’asfissia, Maria desiderò, in cuor suo, che fossero già morti, deceduti sul colpo. Ai vari distretti di polizia, avevano portato le foto di Gino e della madre e le avevano appese insieme ad altre. Tutte quelle foto di dispersi campeggiavano come fossero foto ricordo e destavano una tremenda impressione. Vi erano anche fiori, oggetti, disegni con frasi patriottiche. Avevano saputo, in seguito, che erano molte le persone con cognome italiano date per disperse. Il Sindaco aveva detto che avrebbero fatto tutto il possibile per ritrovare qualcuno ancora in vita, ma aveva anche aggiunto che un essere umano, dopo un certo periodo di tempo, non può sopravvivere e dunque si facevano sempre più esigue le speranze. Sì, Maria cominciava a non sperare più. Aveva fatto esperienza di cosa fosse veramente la speranza. Era come un sogno fatto da svegli. Quando dormiva, aveva incubi tremendi e rivedeva i cari volti. Si destava sudata e cominciava a piangere. Le lacrime, in quei giorni, erano la sua continua compagnia. Perdere la speranza era orribile, ma era pur sempre ritrovare la pace. Però sperare era bello, poiché non sperare più era come dire addio per sempre al suo Gino, alla sua mamma. Purtroppo i giorni trascorrevano e risultavano sempre dispersi. Dunque ormai, non potevano più essere vivi. Erano scomparsi nel vero senso della parola. Come disintegrati. Se ci rifletteva, Maria si rendeva conto che i loro corpi erano stati maciullati dalle macerie, dalle tonnellate di detriti. Questo pensiero la faceva inorridire. Allora alla speranza subentrò un dolore acuto, inconsolabile, un senso di vuoto incolmabile. Bruce cercava in tutti i modi di consolarla, di farla riprendere dalla prostrazione in cui era caduta. Non ci riusciva. Le parlava, le diceva di tutto, che doveva farsi forza, che doveva reagire, ma sortiva scarsi risultati. La vedeva sempre triste e sentiva che qualcosa s’era rotto dentro di lei. Era scomparsa la gioia di vivere, la sua forza, la sua determinazione. “ Maria, la vita continua. Tu devi continuare a vivere. Lo devi fare per te stessa, per me.” “Io continuerò a vivere, ma niente sarà più come prima.” “Non è vero, perché loro avrebbero voluto che tu fossi sempre la stessa. Non avrebbero voluto vederti piangere in continuazione.” Si offendeva. Si sentiva incompresa e si arrabbiava con lui. “Se non vuoi vedermi triste, puoi anche fare a meno di stare con me.” “Ma cosa dici, Maria! Noi dobbiamo sposarci. Rimanderemo il matrimonio, ma presto o tardi lo celebreremo.” Le prendeva le mani e la carezzava, con quello sguardo che solo Bruce sapeva avere e che solo a lei rivolgeva. “Che te ne fai di una moglie che piange sempre? Che pensa sempre ai suoi morti?” “Vuol dire che trascorrerò la mia vita ad asciugare quelle lacrime. Io so che hai tutte le ragioni. Qui a New York, non sei la sola ad essere inconsolabile. C’è gente che ha perso figli, moglie, genitori. La nostra città è stata piegata in ginocchio. Ma bisogna ricominciare. Questo paese saprà riprendersi e rinascere dalle polveri delle Torri.” Tali parole non avevano alcun effetto. Maria restava sempre triste e non aveva più voglia di niente. Era come se fosse caduta in una specie di eterno torpore. Gabriella Cuscinà
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