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 VIENNA
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zanin roberto
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Inserito - 20/04/2006 :  20:09:13  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
VIENNA

I viali alberati dai grossi platani, si stavano vestendo di tenere verdi gemme e l'aria frizzante sferzava ancora quell'Aprile mitteleuropeo con una temperatura continentale pregna del freddo sarmatico. La città era una grande Trieste che si adornava di turismo e di un affaccendato vigore asburgico, il suono del tedesco contaminato da un incrocio di etnie varie, aveva un calore latino, nello stesso tempo la sfacciataggine e l'ardore dello slavo, pur mantenendo il rigore e la disciplina del sassone.
Vienna mi salutava in un freddo pomeriggio di primavera, la pioggia sottile, quasi nebulizzata, smorzava l'illusione di una stagione che non osava avanzare dal Mediterraneo oltre le Alpi.
Gli angoli stile vittoriano, le vetrine dei negozi, le teche, gli striscioni sulle strade dalle facciate impero, ricordavano l'anno commemorativo per il musicista Mozart, e le note del suo genio artistico sembravano uscire vibranti dalle pasticcerie e dai caffè del centro storico, in quel cuore pulsante che ha solitamente la principessa Sissi come icona immortale della capitale austriaca.
Quando fermo l'automobile, nel garage dell'albergo Atlantis e aiuto mia moglie a trasportare le valigie, non mi sento lontano, all'estero, in fondo l'Europa ci unisce molto di più che l'euro.
Al balcone della camera, al secondo piano, scruto la Burgasse strasse lunga e trafficata come tutte le arterie cittadine e mi perdo nelle fisionomie dei passanti che mi ricordano biondi guerrieri celtici.
La luce soffusa, dei corridoi dell'albergo,instillano equilibrio, usciamo accolti da un vento maleducato che ci spruzza goccioline di pioggia, camminiamo lasciandoci alle spalle una serie di rigattieri e ci rifuggiamo in un ingresso del metrò, dalle porte ferrate e dai motivi ottocenteschi degni di Conan Doyle e del suo Holmes.
Saliamo nel mezzo e veniamo sparati fino a Donauinsel, scendiamo in mezzo all'isola che divide il fiume Danubio in due rami, un timido sole tardo pomeridiano, tinge di riflessi aranciati le sponde alberate, rimaniamo fermi e ammirati dal "signore dell'Europa balcanica", confine dell'impero romano, via di comunicazione per i popoli che si perdono nella notte dei tempi. Strauss lo musicò blù ma ora è il grigio d'un limaccioso imbarazzante a prevalere.
Nobile, placido, si stende a lambire Vienna con le sue acque internazionali che scenderanno al Mar Nero, ambasciatore d'una libertà che non concede confini. Lasciandoci trasportare dall'incalzante sera, rientriamo promettendoci di cenare con una wiener schnitzel, birra e una fetta di sacher torte.
Il mattino è ancora piovoso, il vento continua a levigare i volti ma non c'è uggiosità, il tempo è dinamico e non si ferma a infierire. Il centro storico dell'Hofburg ci lascia assaporare quel casato che ha legato il suo nome indissolubilmente alla nazione, gli Asburgo che si sono circondati di un complesso maestoso e severo,che richiama la Grecia classica, proprio in un'inconscio, atavico, riandare alla culla dell'Europa. Quando mi trovo di colpo sulle rovine romane, della città fondata nel 100 d.c. di Vindobona, mi stringo in una riflessione a me cara, mi ricordo di essere in quello che per i romani era un presidio di confine, oltre il Danubio, pattugliato dalle flotte fluviali, c'erano i barbari.
Vienna, uno strano connubio di origini, di baluardo ai turchi, di impero, di crocevia, in un continente che mantiene salde culture diverse ma cosi simili che ancora non hanno il coraggio di fondersi completamente.
Il profumo di un caffè non troppo ristretto mi riscatta dal mio torpore, mia moglie ha il desiderio di perdersi in quei mercatini dove il colore e il brusio intenso condiscono la fantasia e ci lasciamo fagocitare contenti che la città di Vienna, in fondo, è solo una delle stanze di una casa comune che ci accoglie sempre con calore.
La ruota del Prater troneggia, assieme alle guglie splendidamente gotiche di Santo stefano e la città s'allontana mentre esco da Vienna, ancora impudente una pioggerella stuzzica un rassegnato disagio, di là verso le Alpi già si fa reale, un sole che non è mediterraneo ma che pigramente fatica a diventare alpino.

di Zanin Roberto

   
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