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 DITIRAMBO D'UNA NOTTE D'ESTATE
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Domenico De Ferraro
Emerito


Italy
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Inserito - 08/07/2006 :  08:17:30  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Domenico De Ferraro
DITIRAMBO D’UNA NOTTE D’ESTATE


Selvaggia canora estate giunta in groppa a note allegre
sull’ onda d’un aria neomelodica in un meriggio africo
portando seco sussurri voci di lontane terre
per via vanno turisti rimando ermetici endecasillabi
esequie di versiliberi
suoni confusi invadono
all’unisono la mente disperata accordata a mille strumenti
nella veglia d’un salmo avvolto
in fogli di taccuino insanguinato
infingarda gagliarda esala l’infinita strofa il fischio
ode lunga breve puerile ritornello
soffre mai si spegne tremula nell’umile canto.
Per l’aere puro ode odorosa
ricordo di solstizio d’inverno
passato significato etereo
ombra musicale che divora la sua metrica.
Appari terrorizzata scappando al sole si stende e beve
tra l’erba alta tra l’onde lunghe schiumose simmetriche
chimere cavalcate da streghe.
Disteso sulla sabbia assolato e stanco il corpo eroico
in riva al mare inseguendo la voluttà
il piacere del verso sofista
estremista scrupoloso nel calcolo nell’ingegno
eletto nelle liste civiche d’un mitico partito
non ridere ascolta lasciati andare.
Ascolta il canto lo strabotto hip pop suonato per strada
ed altre questione illogiche del caso astropiteco
derivazione di desinenza canterina confesso cretina
sermone cantato per essere ascoltato
un po’ da tutti insieme ad un gruppo rap di padri operai
con in mano il capitale nell’altra la scadenza rateale
l’economia spiegata alle masse
dal civico professore della Bocconi di Milano .
Ardevi ma non cessavi di stupire ti bagnavi nell’acqua
ridendo andavi a largo nuotavi libera cheta nera
rimuginando chi sa in te una specie estinta
d’idee ribelli frutto di mente chierica
chimismi e quant’altro si voglia scoprire
dietro lo specchio l’orecchio elettrico dell’automa infermo .
Fermo sul semaforo con un libro nella testa
espressione giovale pomposa varia estrapolazione
orgiastica d’una grammatica sequenza
tipologica di frasi scurrili e pronte per essere buttate
nel forno dolce fragranza la pizza fu subito cotta .
T’alzavi immemore incurante del male intorno
pignorato e indebitato scrupoloso nel riportare
le cifre al suo posto il conto l’onore inseguito
per calli e viottoli profumo del mosto mentre
il mostro tramava dietro la vigna.
Grandi eri lussuria umbra brace circense scoppiettante
mugolio di piacere nascondi le tue parti intime dea del focolare .
L ‘ora giungeva gemendo odalisca liscia svogliata
voltavi pagina approfondendo altre tematiche politiche .
Menando a quel paese l’autore di quel strambo ditirambo.
La mente s’eleva verso miti ed altre filosofie futuribili
identiche nella logica dello scrivere e del leggere
del padrone e del villano
del signore e del dottore truce d’aspetto imperituro
maestro in bilico su d’un filo teso tra due steli.
Sulla sabbia disegnavi ologrammi
immagine esterrefatte piegate in quattro
barchette di carta andavano a zonzo verso l’orizzonte
sul calmo mare mediorientale.
Meditando il nome tuo l’aspetto di te padre dolente
seduto su una sedia
semitica esistenza delirante epigramma
proiezione mentale d’un subconscio psicanalizzato
seguito con amore dall’infermiera dal viso meduseo.
Regole epigastriche punk dalla cresta colorata
chimerico autore torchiato spillato superdotato
estrazione d’un numero a lotto espressione
egli del sottoborgo urbano canto metropolitano
accidia e scopereccia cinciallegra amica
d’una battona orba e zoppa.
Il vento porta via l’onda donando indumenti nuovi
per una vacanza vincente viziata
pizzicata sulle corde d’una chitarra d’un hippy
ippocampo ipotetico cantore dell’abisso
pesci e meduse ossi di seppia trovati sulla spiaggia
spingi ragionando ti duole l’animo ed il ricordo tenero dei giorni addietro oltre quello squallido muro di convenzioni
false ideologie meccaniche.
Demenziali lacrime cadute in fondo al secchio,
buco profondo fino al centro della terra
tirar per capelli demoni e dannati
andare e orfico cantare riportare
indietro te amore per placare in me questo antico dolore.
Languida lungimirante seduta sotto l’ombrellone
brulicante d’ombre amene erettile e circonflesse
fissaggio ragionamento obliquo dal vacuo nome
d’ermione dea della torrida estate romana.
Estate ardente diritta la meta oltre il giardino dell’esperidi.
Simulacri borghesi canottiere e altri indumenti
pose aspetti cruciali circuite esperienze
trasgressioni audaci matrimoniali.
Selvaggia estate ella scesa nell’acqua cheta fresca
sulla pelle morbida bagnava il corpo provato dagli inverni .
Fisiche congiunzioni bislacche pennichelle
fatte nel caldo meriggio greco ascoltando
un concerto di cicale e di grilli canterini.
Poco s’accorda l’animo alla favola umana
ricurvo sotto il peso degli anni ubriaco
di solfeggi rime ritmi villanelle e ritornelli
digrignando il muso
l’aspetto offeso nel sole di giugno
funge la speme la semenza itala.
Ella venia dopo l’eletta.
Ella venia dopo il dolore dell’inverno i cupi pensieri etici
congiunzione d’avverbi.
Ella partiva andava lontano salutava sua figlia
un misero mondo colorato congiunto al senso al vero .
L’onda ritornava a riva balzando saltando ritornava
con mille novità chiacchierando con i gabbiani .
Relitti lasciati andare alla deriva verso
il breve sogno di questa nuova estate.
Aspetti diversi volti e giorni e altre mimiche rinasce
il gusto il succo d’un raccontare novelle nella fresca sera
sotto le stelle strabuzzare gli occhi lasciarsi andare ascoltare
le voci del mare e della terra del cielo
ascoltare il canto degli eroi degli dei
partiti per le vacanza come il resto del genere umano
pagando il pedaggio la discesa al lido l’affitto dell’ ombrellone
mangiando sulla spiaggia assaggiando angurie e panini
senza mai togliere lo sguardo sui bambini
sul bagnasciuga a giocare con palettine e secchielli.
Laudata sii dolce estate.
Laudata sia il canto dei tuoi figli
il mare i monti la natura intera.
Laudata sia questa gioia questo amore terreno.
Laudata sia la fonte di questo bene profondo
recitata in silenzio nel canto d’un sogno fatto in una notte d’estate.

   
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