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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Victoria, David e Alice
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July
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Inserito - 04/08/2006 :  15:43:41  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a July

Victoria, David e Alice

Victoria Garrett era stata convinta, fino ad allora, di essere una ventunenne fortunata, in quanto titolare di tutto ciò che ogni ventunenne delle sue parti avrebbe sognato nella vita: era carina, era ricca, e stava per sposare un uomo che l’adorava.
Sul fatto che fosse ricca non c’era assolutamente nulla da discutere, era così e basta; sul fatto che fosse carina, i maligni ironizzavano sulle sue dimensioni definendola “tascabile”, ma nel contempo non potevano non rilevare la bellezza del suo viso e dei suoi occhi chiari, e l’effetto prodotto dal contrasto fra questi ed i capelli corvini.
Riguardo alle imminenti nozze con una persona che l’adorava, ecco questa era un’affermazione meritevole, in realtà, di un minuto di riflessione.
La prima volta che la piccola Garrett aveva pensato che il suo uomo l’adorasse era stato quando aveva appena diciannove anni ed egli – il cui nome era ed è David Steele – l’aveva invitata a passare un fine settimana nella sua baita, appollaiata sulle montagne, facendola sentire per tre giorni e due notti la principessa dei boschi, servita e riverita ogni minuto. La seconda volta era stata quando, in occasione del loro primo anniversario, durante la cena di festeggiamento in un romantico locale dalle luci soffuse, David le aveva detto, con sguardo profondo, che aveva saputo che lei era la donna della sua vita appena l’aveva vista, un anno e mezzo prima, ad una festa. La terza volta era stato quando, nello stesso locale ed in presenza delle stesse luci soffuse, egli aveva spalancato davanti agli occhi sgranati di Victoria ed al suo viso ingenuamente meravigliato, un astuccio contenente un anello d’oro bianco fornito di un diamante di dimensioni più che consistenti, e le aveva chiesto di sposarlo.
Senza dubbio tre momenti magici per Victoria, la cui unica esperienza nel mondo dell’amore era costituita da una storia durata un anno e mezzo e finita poco prima di conoscere David. Storia sbocciata appena Victoria si era iscritta all’università tra lei ed un suo collega campione mondiale di timidezza. Victoria diceva che i timidi la intrigavano, ma col passare del tempo aveva iniziato a stancarsi dei silenzi carichi di esitazione e dei tempi morti che si sarebbero potuti riempire con la ricerca sfrenata di emozioni. Così, non appena aveva conosciuto l’affascinante miliardario David, più grande di lei di quindici anni, e dotato della capacità fuor di dubbio eccellente di riempire distese enormi di silenzi e vallate di tempi morti con passatempi di cui fino ad allora ella non aveva nemmeno sospettato l’esistenza, aveva liquidato il suo primo amore annunciandogli con occhi rapiti che finalmente aveva conosciuto l’amore, e aveva iniziato a concentrare tutte le sue attenzioni sulla nuova passione appena sbocciata, a dispetto di quella appena finita, del ragazzo che l’aveva amata nel suo modo semplice e genuino, e persino della propria carriera universitaria.
Certo che se in quel momento avesse per caso costeggiato i muri della baita di David e avesse accidentalmente lanciato un’ occhiata in direzione della camera da letto, cosa impossibile, e David lo sapeva, avrebbe rimpianto amaramente le lacune e gli spazi vuoti che tanto aveva aborrito prima, quando pensava che il limite di sopportazione di una donna innamorata non potesse giungere a contenere tanto. La tenda di organza della stanza era infatti appena stata ritirata su un lato per fare entrare il sole del mattino, per cui la veduta di cui si godeva attraverso l’enorme vetrata dagli infissi verdi lasciava poco spazio alla fantasia degli osservatori. Certo, osservatori non ce n’erano, era molto improbabile che ce ne fossero visto che la proprietà privata di David si estendeva per metri e metri quadrati di terreno allargato fra la vegetazione rupestre; ed essendo egli assolutamente convinto dell’assenza di curiosi e affini – forse troppo, a dire il vero – non si faceva troppi problemi a stare in piedi, davanti ad un letto disfatto, con le lenzuola stampate a fiorellini gialli stropicciate ed il copriletto ridotto ad una montagna gialla ammassata a ridosso della spalliera in ferro battuto, con un solo angolo che debordava e piombava giù, penzolante, sull’angolo destro, terminando in un lembo sul pavimento.
In quel momento David, che fino a poco prima era coperto solo da un paio di slip neri che lasciavano che la luce del giorno ammirasse senza pudore il suo fisico atletico, si stava tirando su i jeans, slacciati, con gli estremi della cinta che oscillavano nell’aria ancora satura dell’odore della notte. I capelli bruni tagliati corti erano lievemente umidi dall’acqua tiepida della doccia, che aveva appena fatto da solo, e quella era la prima cosa che aveva fatto totalmente in solitudine da dodici ore o giù di lì. I piedi nudi calpestavano un tappeto dalle fantasie orientali e le frange spettinate, posto così sbilenco che la madre di Tom Berry sarebbe inorridita a vederlo; ma David, che già era poco propenso a prestare attenzione all’ordine e alla simmetria, era troppo di fretta per badarvi. Nella foga di chi sa che in tempi quasi incompatibili con la velocità degli umani deve trovarsi al lavoro vestito di tutto punto e possibilmente privo dei residui della sera prima, egli si voltava alla ricerca dei pezzi che man mano gli servivano. Sul comodino, il Rollex era abbandonato in mezzo ad una lampada ancora accesa, la coppa dello champagne bevuto prima di sprofondare nella lussuria – la sua, quello dell’altra persona era stato abbandonato sulla pettiniera ed ora stava lì, in mezzo alle ciprie ed i rossetti di Victoria, e la sua immagine riflessa nello specchio gli faceva pensare a Parigi ed ai mille weekend trascorsi al Moulin Rouge in compagnia variabile ma sempre femminile – ed il cellulare che grazie al cielo quel mattino non aveva ancora squillato.
Fino a quell’istante, forse, un’ipotetica Victoria passata per caso ed affacciatasi altrettanto per caso non avrebbe avuto in cambio una pugnalata troppo feroce, sempre che non avesse fatto caso alle due coppe di cui una aveva la sfrontatezza di occupare il territorio dei suoi effetti personali, e sempre che non venisse assalita dalla curiosità di sapere cos’era quel mucchietto nero afflosciato sull’altro tappeto, quello che confinava col fianco destro del letto e la porta, e che agli occhi dell’ingenua felicità di chi pensa di avere tutto nella vita avrebbe potuto esser scambiato per la biancheria di David del giorno prima. Occhi un po’ meno ingenui si sarebbero chiesti come mai imperversava quella baronda in una stanza in cui un uomo solo aveva dormito la notte; ma perché, del resto, Victoria avrebbe dovuto porsi una domanda simile se dentro il suo cuore era certa dell’amore e la dedizione incondizionata del proprio fidanzato?
Un istante dopo, era probabile che alcune certezze fino ad allora salde avrebbero iniziato a vacillare; questo esattamente quando la porta del bagno si aprì, e su uno sfondo di specchiere appannate e vapor acqueo che avvolgeva la doccia lasciando intravedere il vetro zigrinato della cabina comparve una specie di sirena coperta dall’altezza del seno fino alle cosce da un asciugamano color salmone, che tuttavia si intonava bene coi capelli. Adesso i capelli erano bagnati, stirati sulla fronte e coi riccioli appiattiti; ma la sera prima, la loro massa color rame, vaporosa, intrigante aveva contribuito ad alimentare le fantasie di David su cosa fosse capace di fare a letto una donna coi i capelli rossi.
La donna – longilinea e bellissima, dettaglio degno quantomeno di una sommaria citazione – si avvicinava con le sue sottili gambe da cerbiatta verso l’ uomo affrettato, ma ancora ebbro di lei, che ora era impegnato nell’arduo compito di abbottonarsi la camicia. Gli cinse il collo con le braccia, piegate attorno al suo viso, e lo baciò sulle labbra osservandolo con un’espressione che era molto meno maliziosa di quanto si sarebbe potuto prevedere. I movimenti di David si fecero più lenti, la sua espressione divenne assorta, persa nel bel viso pulito della compagna; nelle sue labbra carnose, negli occhi che brillavano, senza un filo di mascara o di eye liner che ne deturpasse la naturale bellezza. Si domandò perché le donne così belle si truccassero; lei lo era, e non avrebbe avuto nessun bisogno di farlo.
“Buongiorno, Alice.” Disse liquidando i pensieri di troppo.
“Buongiorno, direttore.- Replicò Alice sorridendo – Ha dormito bene?”
La spiritosa allusione stimolò la vena ironica di David.
“Lei che ne pensa, affascinante ragazza?”
Alice scoppiò a ridere, suscitando in lui un leggero imbarazzo. Con quella donna non si sentiva mai al sicuro, e si trattava di una sensazione che in vita sua aveva sempre odiato, ed accuratamente evitato. L’aveva fatto scegliendo di seguire la carriera del padre, proprietario e direttore di una catena di mobilifici; lo faceva in continuazione quando sceglieva le sue amicizie, e lo stava facendo per l’ennesima volta, sposando una ragazza di dieci anni più giovane di lui il cui vissuto, in confronto a lui, era per così dire microscopico.
Ma con Alice no, non era così. E non sapeva dire perché si sentisse attratto da lei come la base di una calamita dalla superficie metallica del frigorifero.
Cercò di nascondere il suo disagio dietro un sorriso, mentre la osservava allontanarsi, e dirigersi verso la sponda del letto dal lato della quale il copriletto scivolava. Aveva smesso di ridere, grazie al cielo pensò lui, e adesso, in piedi, cominciava a strofinarsi con l’asciugamano.
La vista del suo profilo nudo, delle sue curve sinuose, riportò alla mente di David il profumo che impregnava la sua pelle la notte prima, ed il caldo contatto dei loro corpi, e la sensualità della sua voce; e mentre questi ricordi si destavano come l’alba dentro di lui, sul suo viso dovette comparire un’aria trasognata, che Alice non mancò di cogliere, nel voltarsi all’improvviso – ecco un’altra cosa che spaventava David – come spesso faceva, verso di lui. Ella sorrise, per fortuna non rise, e gli annunciò che aveva fame.
“Vado giù a preparare la colazione e la facciamo assieme?” domandò.
“Io ho appena bevuto un caffè, e sono in ritardo.” Replicò David. Vestito oramai di tutto punto, le si avvicinò, e le accarezzò la guancia con una mano. Gli occhi di Alice brillavano, anche se sapeva che stavano per separarsi. Sapeva anche che David era fidanzato, ma non sapeva che si sarebbe sposato due giorni dopo.
Era stata una follia, la loro storia.
Nata dagli sguardi interessati che avevano iniziato a viaggiare, seppure in un’atmosfera di lavoro, tra di loro, aveva fatto sprigionare una serie di emozioni, calde emozioni, che avevano trovato una nicchia in cui rifugiarsi proprio quella notte, lì, fra le lenzuola sgualcite ed i cuscini in disordine che li circondavano. Alice non pensava, né tantomeno pretendeva, che David lasciasse Victoria per lei, anche se quel mattino, nell’aprire gli occhi, era stata immediatamente toccata, quasi avvolta come in un velo di organza e di tulle, dal desiderio azzardato di passare il resto dei suoi giorni con lui. Si era innamorata tante volte, e quella della delusione era una pianta di cui la sua vita non era mai stata carente. Ma come tutte le donne innamorate, che aprono il loro cuore alla passione più calda, avrebbe preferito che il suo uomo fosse stato libero; e in mancanza di ciò avrebbe certo voluto che almeno non si stesse per sposare.
“Fai colazione tu. C’è del latte aperto, in frigo, e forse delle brioches. – la guardò con immensa dolcezza – Ti lascio le chiavi, portamele in ufficio.”
“Pranziamo assieme?” domandò Alice, conscia del fatto che ci fossero buone probabilità di ricevere un rifiuto. Una piega addolorata comparve sul viso di David.
“Oggi non posso, devo pranzare con Victoria.”
“Oh…” Alice abbassò il viso ferito, e abbandonò l’asciugamano che ancora teneva stretto contro la pelle, ormai asciutta, sul tappeto. Prese la sottoveste nera abbandonata sul pavimento – il mucchietto nero che forse avrebbe turbato Victoria – e se la fece scivolare sopra.
“Ehi…” David le prese il viso fra le mani e la guardò nel profondo degli occhi.
“Noi possiamo sempre vederci…” le disse.
Quella frase la fece sentire un qualcosa che non avrebbe saputo definire, una prostituta forse, o forse una seconda scelta, o peggio ancora una prostituta scelta per seconda.
“Non posso nemmeno sperare che tu lasci Victoria, dunque.” Commentò con le sopracciglia aggrottate.
“Come faccio a lasciarla ora? – ribattè David – Ci sposiamo domenica.”
La prima frase aveva semplicemente irritato Alice; questa aveva fatto qualcosa di molto, molto peggio. David percepì subito lo scatto del suo viso, ma non comprese bene a cosa fosse dovuto.
Ci sposiamo domenica
Se nella sua vita non fosse sempre stato accudito, riverito e assecondato in ogni suo capriccio, e se avesse avuto modi alternativi di conoscere la rabbia e il tradimento, forse gli sarebbe stato più semplice comprendere cos’era quella corrente che si dipartiva, adesso, dal cuore di Alice, e la attraversava tutta, fino alla punta delle dita. La vide impallidire e temette che si stesse sentendo male; invece la grinta con cui ella pronunciò le frasi successive contrastò coi suoi timori.
“Tu-ti- spo-si do-menica?” domandò con gli occhi pieni di orrore.
David si allontanò e rimase interdetto.
Alice si mosse verso di lui, con addosso solo la sottoveste, il viso sbiancato ed i capelli che d’un tratto parevano diventati asciutti, e l’unica cosa che riuscì a fare fu ripetere: “Ti sposi domenica?”, due o tre volte, in tono sempre più sommesso, fino a quando David disse, con voce forte e chiara: “Si, Alice. Mi sposo domenica.”
La rabbia le infiammò il viso fondendosi col colore dei capelli.
“C’è qualcos’altro che non mi hai detto, David? – domandò a gran voce – Hai forse un figlio che quest’anno si diploma, o forse un altro in arrivo, che magari è stato concepito proprio su questo letto, dove stanotte io e te abbiamo fatto l’amore?”
Egli fece per replicare, ma subito venne sovrastato dalle parole straripanti di Alice.
“E dimmi, la tua futura moglie sa che ti porti a letto altre donne due giorni prima delle vostre nozze? E’ d’accordo con questo ed è disposta a lasciare che si verifichi per tutta la vita, pur di averti al suo fianco?”
David appoggiò la mano al margine della pettiniera, intimorito da un tono che nessuna donna aveva mai usato con lui. Con un passo Alice gli fu di nuovo accanto, e lo guardò con occhi carichi di odio e di disprezzo.
“Sei un farabutto, David. Falso e ipocrita con me, con Victoria e con le vostre famiglie. – incalzò – Non voglio rimanere a casa tua un minuto di più…io…io…”
Le lacrime scintillarono sui suoi occhi, lacrime di rabbia e di dolore assieme; David, che non avrebbe mai e poi mai immaginato di vederla così, non sapeva che cosa dire o fare, travolto da quella reazione che a lui pareva, francamente, eccessiva. Del resto, Alice sapeva che era fidanzato quando erano andati a letto, no?
Alice raccolse dalla spalliera della sedia il vestito verde di lino che indossava la sera prima, lo indossò di nuovo, calzò in fretta i sandali neri muniti di due enormi zeppe e raggiunse in pochi istanti la porta. La borsa era giù, nel soggiorno, si trattava solo di recuperarla. Fendette l’aria davanti a David, che la osservava con sgomento, e prima di uscire si soffermò sulla soglia. Gli lanciò un’occhiata pesante, la più addolorata che a David avessero mai inviato, e uscì. David contò i suoi passi sul parquet, ascoltò un po’ di silenzio, e poi di nuovo, il rumore della porta che si apriva, seguito da quello della portiera dell’auto che sbatteva,e, infine, del motore acceso.
E attraverso la vetrata che mostrava ai monti il nido del loro caldo peccato, guardò, attonito, la Lybra che si allontanava e spariva in una nuvola di gas.


Giuliana carta

   
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