Luigi Mannori
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Inserito - 05/08/2006 : 17:17:32
L' occhio volgare ("progresso" vuol dire degenerazione?) Se dovessi definirmi, opterei per un “anonimo “ per cosolidata tradizione, uno dei tanti “figuri” che si agita sotto un cielo apparentemente solidale, a prima vista uniforme e imparziale, nonostante tutto. Sicuramente faccio parte della stragrande maggioranza di figuri che compongono la massa della popolazione, quella che, proprio perché anonima per consolidata tradizione, vive la realtà quotidiana caratterizzata da un senso di generale inutilità che giustifica l’appellativo di merito, e costringe a sorbire atti, giudizi e opinioni, senza possibilità di evasione o dispensa. Ciònonostante, forse pilotati da un naturale istinto di reazione, se non vera e propria ribellione, non possiamo perennemente ingannare i nostri occhi ed ignorare le metamorfosi, spesso incomprensibili, a volte sfacciatamente evidenti, di chi arroga diritti sulle nostre esistenze, ed il pensiero, che non ha l’abitudine di chiedere permesso, per non incappare nel rischio di una pericolosa implusione, è costretto a violente, quanto inarrestabili eruzioni. Ne consegue una interminabile processione di situazioni, ambienti, tradizioni, programmazioni, confuse, mutilate, mal mischiate, un vero caos che ci travolge, ci trascina, dal quale non abbiamo possibilità di emergere, che obbliga a sorbire senza ordine, fuori misura, a dispetto di ogni nostra idea sulla logica, dell’ onore, del piacere e del compiacere. Ho trascorso 60 anni a criticare: facile! Si, ma le mie critiche, fiume muto e senz’ali, poco han servito e nessuno calpestato. E’ il cappotto di anonimo che va stretto, anche perché spesso ti accorgi che non lo sei per tutte le occasioni, ma solo in quelle dove è impossibile spremerti qualcosa, o dove è pericoloso concederti spazio. Ma tu non hai atrezzi per piantare i tuoi paletti e resti anonimo, senza riferimenti, condannato alla non partecipazione, preammonito per iniziative e pareri, peraltro neppure uditi. Nonostante tutto, vedi le notizie che ti scorrono davanti, si intrecciano vertiginosamente a ritmi esponenzialmente serrati, affettano la tua vita poco spesa, e la umiliano con arroganti alternative, la annegano in suoni strampalati, stridenti, senza il beneficio di una piccola sosta, immagini, proclami, altre immagini, senza un senso, senza un legame, indicazioni, miraggi, imprevedibili, monotoni, senza una ragione, peggio: sempre un indirizzo. E a te vien d’ obbligo raspare nel tuo passato, a caccia di paragoni e confronti, per capire quali siano le tue colpe, per capire se è il tuo metro che è andato fuori misura, per impedire che anche la speranza scenda dal tuo sgangherato carro. Tutto ciò che non corrisponde è etichettato come vecchio, superato, e ti inculca la paura di questi due aggettivi, tanto possente da inibire ogni attenzione, da trascinare nel baratro del panico, meta obbligata ma distribuita con parametri proporzionali al tuo livello di anonimato. L’unico modo per salvarti è riuscire a traboccare il pensiero lì, prima del baratro, quando la tua indagine può ancora stimolare la credibilità in te stesso, nei valori vissuti ed in quelli che ti è stato impedito di esprimere, finché la tua bilancia potrà ancora iniettarti la fiducia verso il tuo giudizio e non sarà ancora doma di pendere, secondo il calibro delle tue riflessioni. Di più, tutto questo diventa un dovere, un’ autentica missione da compiere, quando hai speso la vita all’insegna dell’evoluzione, nel nome di un avanguardismo riconosciuto, vissuto senza ipocrisia, conclamato fine della tua esistenza. (continua)
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Luigi Mannori
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Inserito - 27/10/2006 : 15:42:04
L' occhio volgare
("progresso" vuol dire degenerazione?)
Seconda parte Una volta c’era Marcello Marchesi. Qualcuno lo ricorderà più facilmente col nome “Il signore di mezz’età”, i giovani ed i superfciali probabilmente non lo ricordano affatto, i primi a ragion veduta, perché sono nati “troppo tardi” e gli altri perché le sue pagine ed i suoi monologhi, “li tocca” troppo da vicino. Io adoro Marcello Marchesi, soprattutto per un suo capolavoro di cui voglio ricordare solo il sottotitolo, perché, specchio dei suoi tempi, incalza in maniera fantastica la processione dei caotici secondi di cui sono lastricati i nostri quotidiani:”Le parole si ribellano”. Non è un titolo! E’ un turbine che ci travolge, ci trascina, ci costringe ad alzare gli occhi ed a lanciarli, anche se sorpresi e sperduti, a cercare i confini della torbida nebbia che ci avvolge e che uniforma tutto, per conservare tutto anonimo e celato, per dar valore solo a quelle cose che meglio calzano le nostre etichette. Si, Le parole si ribellano, è “roba vecchia”, parlava di decenni disciolti nel tempo, di un’Italia che non c’è più, doppiata dalla furia del progresso e dalle sue identità provvisorie, parlava di Politici scomparsi, di Costumi stravolti, di etiche dimenticate, criticava! Si, criticava tutto questo con raffinata ironia, gridava la sua disperazione per una degenerazione evidente, per una decadenza dei costumi, delle arti e della cultura non individuata se non da menti raffinate come la sua, comodo giogo per la mandria degli anonimi, incapaci a seguirlo nella caccia alla cupidigia, all’irrazionalità, all’ipocrisia del potere e dell’elite prefabbricata. Ma perché, “roba vecchia”! Certamente chiama nomi del passato, ma la mandria…cos’ha di diverso! E’ più dinamica? Ha più grinta? No, è solo mandria, l’impressione la dà l’etichetta….o guarda! Lo diceva anche lui. Allora non è cambiato niente, o forse qualcosa sì, è la mente che implode, forse spaventata e disorientata dall’esplosione del progresso? L’ esplosione in fin dei conti è una degenerazione di equilibri chimici e veste bene l’immagine: grande Marchesi! Quanto vorrei saper scrivere con la tua penna! Saper giocare con le parole ed i silenzi, per risaltare la confusione che mi circonda e bilanciare tagli di luce, calibrati all’interno degli animi per riilluminare le coscienze. Si, che le parole si ribellino! E’ la misura giusta per quando la goccia di troppo fa traboccare il vaso, e ti regala l’umiliazione nella sconfitta, senza pietà e compassione.
(continua) |