Ygal Amir, io ti maledico da allora all'eternità. Siate tu e chi ti ha generato e la tua progenie affogati nella somma delle sofferenze che con il tuo insulso gesto hai provocato in ciascuno dei soldati, dei bambini, delle madri, degli uomini semplici che desideravano un'esistenza tranquilla e normale, fatta di lavoro e di famiglia.Primo giorno di novembre, rappezzato sul mento e sul sopracciglio dopo avere preteso pochi giorni prima di frenare con la faccia in via Vittor Pisani, mi metto in auto con la fidanzata per il giusto e meritato pellegrinaggio enologico: si parte da Milano per raggiungere Montalcino e là passare qualche giorno nella terra che ha saputo esaltare col genio le uve di Sangiovese. Una passione, quella di Renée e me, nata in comune dalle prime bottiglie alle quali, dopo sette anni di paura dall'ultima terribile sbornia che mi aveva allontanato dalla bevanda degli dei, mi sono costretto a tavola perché era troppo stupido rinunciare a uno dei più grandi piaceri a causa di un trauma da indigestione subito così tanto tempo prima.
Con lei ci si era messi insieme dopo una serata in un locale dal quale ci eravamo portati via i rimasugli di una bottiglia senza pretese e li avevamo giustiziati chiusi nella Topomobile fra un efficace tentativo e l'altro di farci capire vicendevolmente quanto fossimo irresistibili uno per l'altra.
Un segno, dunque, un simbolo.
E così ordinane uno qui, comprane un altro là, inizia a frequentare un'enoteca e poi trotterella per la prima volta sino a Verona all'inizio di aprile per goderti quel miracolo di beneficienza che è il Vinitaly, il vino torna al centro della mia esistenza. Ma non per la fuga dalla realtà che garantisce se trincato senza pensarci, al contrario, per il piacere orgasmico che dona quando i sensi sono ancora sufficientemente lucidi per goderne.
Insomma, al tempo l'amore é la bassa Toscana - prima di traslare verso il Piemonte e, ancora più, la Valpolicella (dice qualcosa, l'Amarone?) -, e dunque scegliamo di spendere i nostri pochi giorni nel senese.
Prenota la pensione Anna a Montalcino, una camera con un letto in cambio di un anno di paghetta da studente fuoricorso, e via, fra mille aspettative.
Un viaggio giocoso, novembre è fantastico: non fa caldo, non fa freddo, e niente e nessuno può distrarti dai suoi colori e dai profumi che ancora non sono intirizziti dall'inverno. I giorni si dipanano fra una gradita sorpresa e l'altra, oltrepassando in gioia anche le più rosee aspettative: cantine e castelli stanno lì apposta per accoglierci e stupirci con sorsi insperati, asciugati da stuzzichini ben al dilà delle solite tartine confezionate: salamini di cervo, di cinghiale, robette da poco insomma, di quelle che qui a Milano te le equiparano a beni di lusso e che quindi se vuoi qualcosa più di pane e fontal devi essere un cumenda o quanto meno fingerti tale.
Da commuoversi.
Il mondo intorno a noi intanto gira, prosegue fra le sue mille difficoltà. Ma sembra che qualcuno finalmente abbia deciso di prendere in mano le briglie di un cavallo troppo recalcitrante per poter essere lasciato libero di sgroppare seguendo il vento, e abbia scelto di pararglisi davanti e fissarlo negli occhi, per imporgli la quiete con la sola forza della propria personalità.
Noi non ci pensiamo, è troppo importante per noi, due piccoli umani, quello che stiamo accingendoci a vivere.
Passano così i primi tre giorni, nessun pensiero che non sia tenere la media di Brunello e cinghiale a pranzo e cena e Rosso come aperitivo. Il quarto giorno siamo tanto soddisfatti da non volere di più, perché il troppo stroppierebbe, e così partiamo alla volta di Arezzo, dove ci aspetta una coppia di amici per passare insieme una serata poco impegnativa. Visitiamo il centro, invaso per nostra fortuna da un mercato di antiquariato che vede i venditori disporre le proprie merci preziose sui selciati delle vie cittadine, sinché si fa sera e abbiamo appuntamento con gli altri nei pressi di un locale.
E' il 4 novembre del 1995, Renée e io inganniamo l'attesa all'interno di quello che sembra un bar che vorrebbe essere un night club, un bancone e due televisori annegati in un mare di luccichini, specchietti, psichedelie e rotture di balle. Una cosa da bere, c'è il telegiornale, non è ancora vietato fumare nei locali pubbici.
Improvvisamente il gelo: una voce anonima racconta che il cavallo è di nuovo libero, qualcuno ha sparato alle spalle dell'unico uomo capace di guidare due popoli verso una coesistenza pacifica.
Silenzio.
Crolla tutto, pochi giorni senza pensieri si concretizzano l'indomani mattina in un incidente d'auto, non grave, ma figlio dei pensieri e delle angosce che mi invadono con prepotenza. Intorno si continua a dire che c'è speranza che la volontà di quel giusto sarà tenuta in vita da chi ha imparato da lui, ma dentro ciascuno c'è il più profondo sconforto, perché la sua idea non è sufficiente senza di lui.
Yitzhak Rabin, pianterò un albero per te.
Iacopo