Nathan s'avvide d'essere morto.
La stanza era colma di un'oscurità umida, fredda e pesante, la luce inquieta dei ceri, accesi ai lati del feretro, disegnava cerchi d'oro diafano sulle pareti e ombre agitate sui volti degli astanti. Drappi di velluto nero occultavano le finestre, e le fiamme colavano in lacrime di cera sul pavimento di pietre rossastre con uno sfrigolio secco, che trafiggeva il silenzio e provocava in Nathan dolorose ondate d'ansia.Incapace d'ogni gesto o parola, egli, con una speranza ossessiva e angosciante, dentro di sè andava ripetendosi che era soltanto un sogno, un incubo dal quale si sarebbe risvegliato vivo. Vedeva distintamente le figure riunite intorno a lui nel silenzio della veglia funebre, avvolte da una sacralità austera, quasi grottesca. Avrebbe voluto alzarsi, gridare a tutti che non era morto e stava solo sognando, ma se appena tentava di aprire gli occhi, i veglianti lo fissavano con astio feroce, le mani all'erta, tese a sfiorare il manico del coltello o l'elsa della spada. Nathan vedeva sua moglie piangere disperata, stretta tra le braccia dell'amministratore delegato, i cui occhi di un azzurro sprezzante e glaciale e la divisa militare dagli alti gradi trasmettevano un messaggio se non di conquista addirittura di trionfo.
Poi, tra la piccola folla s'era aperto un varco e un uomo vestito di un blu serico e scuro, salutati i presenti con un cenno cortese, s'era avvicinato. Portava con sè quella che sembrava la custodia di uno strumento musicale, dalla quale, con orrore di Nathan, aveva tratto il cannello di una fiamma ossidrica. Ritto in piedi tra i ceri accesi, con una gestualità rituale l'uomo aveva regolato il soffio lieve dello strumento fino ad ottenere una fiamma limpida e perfetta, di un viola intenso sfumato d'arancio tenero e brillante: i colori di un tramonto sul mare, aveva pensato Nathan. Quando lo sguardo dell'uomo si era fissato nel suo, ne aveva scorti gli occhi distanti e incolori, solcati da bagliori gelidi e taglienti.
Inorridito, sapeva che tra pochi istanti l'uomo avrebbe saldato il coperchio della bara, rinchiudendo ogni sua speranza di risveglio. Lo avrebbero sepolto vivo, e tutto sarebbe finito per sempre. Allora, nel momento in cui l'uomo si era chinato su di lui, gli occhi velati da una sottile e crudele ironia, l'orrore s'era fatto troppo forte, e Nathan, finalmente, aveva gridato.
S'era ritrovato nel suo letto, ansante, scosso da brividi violenti. Intorno a lui non vi era più nulla, nè i ceri, nè i veglianti, nè l`uomo con la saldatrice, ma nel riquadro argenteo della finestra, a pochi passi dal letto, il profilo disegnato contro la tenue luce della luna, vi era la Morte, ferma contro il davanzale, nella mano destra stringeva una falce, e al dito portava un anello d'oro lucente, dov'era prigioniero un brillante luminoso come una stella. Lentamente, aveva posato lo sguardo su di lui, e gli aveva sorriso, un sorriso fragile e lieve come un cristallo di ghiaccio. Poi, s'era allontanata, retrocedendo di qualche passo, ed era svanita lasciando dietro di sè una scia di tenebre ed un lieve profumo di fiori di campo. Nuovamente convinto di avere sognato, Nathan aveva fissato a lungo il punto in cui l`aveva vista dissolversi nella notte. Era rimasto solo: nel letto, accanto a lui, dove di solito dormiva sua moglie, il posto era vuoto. Ricordando d'averla vista l'ultima volta tra le braccia dell'amministratore delegato, Nathan s'era addormentato di nuovo, sospirando.
Al risveglio, aveva compreso che questa volta non si trattava di un sogno. Era davvero morto, i ceri andavano disfacendosi in grosse gocce traslucide, il velo di chiarore s'era abbassato ed il volto dei veglianti era immerso nell'ombra, solo i loro occhi riflettevano il riverbero tenue delle fiammelle. L'uomo vestito in blu era fermo, chinato sulla bara come se l`adorasse, reggendone il coperchio con una mano mentre stringeva la saldatrice nell`altra. Sicuro nello sguardo e deciso nei gesti stava per compiere il proprio lavoro. Nathan, per l`ultima volta che sapeva potesse essergli concessa, aveva aperto gli occhi, e fu allora che la vide.
La figura, lieve come un'ombra, s'era staccata dal cerchio dei veglianti, sebbene nessuno avrebbe poi rammentato d'averla vista entrare o d'averla avuta accanto. Dapprima indistinto, il profilo aveva assunto le sembianze che ognuno avrebbe ricordato, mentre s'avvicinava con passi leggeri, ai ceri, all'uomo in blu, e a Nathan. I lunghi capelli bruni incorniciavano il bel volto pallido, i grandi occhi scuri brillavano nell`ombra, mentre con un gesto cortese ma fermo, allontanava l'uomo con la saldatrice, e portava lo sguardo, profondo e remoto, su Nathan, tendendogli la mano. Tra la meraviglia e la paura dell'uomo in blu e dei veglianti Nathan, gli occhi aperti, aveva preso la mano di lei e s'era alzato, traendosi fuori dalla bara e guardandosi intorno con l'aria di chi si stesse risvegliando da un sogno. La sconosciuta gli aveva sorriso, un sorriso dolce e fragile, arretrando lentamente, e fissando per un lungo istante la moglie di Nathan e l'amministratore delegato, che, discioltisi dall'abbraccio, tradivano dall'espressione del volto tanto la sorpresa quanto la paura. Poi, nel più assoluto silenzio, era uscita dalla stanza, scomparendo nell'ombra del corridoio, e lasciando dietro di sè una scia di tenebre e di delicato profumo. Se qualcuno l'avesse osservata attentamente allontanarsi, avrebbe visto che tra le dita della mano destra, dove scintillava il magnifico brillante di un anello, stringeva una falce.