Pensavo, che liscio sei ore distaccarono
y che là inmensità dello mare
y della millanta di chilòmetri
e della distanza di nostri anni
è rimisero in là inflessione
di mio piuma per variare di linea
y nello ondeggiare di sui ciglie
per ravvadere della fuligrane di tui rigi vestali.Pensavo, che vostra tube e vostra pelle stravecchia,
nate di un società evoluta,
ereditarono lâ freccia pitonica di George Sand
y che tua anima fertile y in libertà,
spregia finando della convenzioni sociali
y che là eleganza degna di tui temi
lucubrate di una moglie, di una madre, di una nonna
compagna, amatrice y poeta,
sverginata di gli taboos e inquisizioni.
Pensavo, ritornare a te, dire quello sento,
essere nuovamente il vento
vuotare là bruma,
espugnare là macula di mio bugia,
y confessare che io lâ amo a lei,
y a te ti ammiro per punto della insesataggine,
è una intríngulis là che abiano della poeti,
amiamo, ammiriamo, desideriamo y compangiamo,
tengo fede che tú capirai mio versi.
Però io non sono un augur,
nessuno me istruiva a interpetrare il volo dai ucelli,
nè là colonna di fumo bianco che risale per il cielo,
mio vita quei gravida di dubbi,
mio dubbi quei gravida di vita,
ora capisco che amo stare qui,
y codesto sentire per contemplare il orizzonte,
y apressa tardi di brezza
finisco di fumare,
senza incontrare tu responsorio,
senza udizione vostra paroli ,
senza lggere vostra versi amici, cómplici
y nacti dello perfino cresolo che io.