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 SONIJA B.
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Kurt Müller aprì la cartella contrassegnata dalla sigla P 511 327/FA - SV ("SV" stava per Streng Vertraulich, cioè "Confidenziale") e scorse rapidamente i capoversi principali. Non aveva ancora finito di assimilarli, però ne sapeva già abbastanza e si sentì pronto a ricevere la persona di cui gli avevano annunciato la venuta. Si trattava di "F.A.", ovvero "Frau Alina", ovvero ancora: la sospettata cui era dedicato quel dossier.
"Conducetela qui."
Fece il suo ingresso nell'ampio e ben arredato ufficio di Müller una donna vestita interamente di nero. Indossava una sorta di lenzuolo funereo. Nero era anche il suo copricapo: non un vero e proprio burka, ma qualcosa di assai simile. Il colore degli occhi e i tratti del volto erano tipicamente ariani.
"Alina" si chiamava in realtà Sonija B., tedesca di nascita e di passaporto. Si era convertita all'Islam non si sa quando e non si sa come.
Il fenomeno dei tedeschi convertiti aveva ormai assunto proporzioni preoccupanti, soprattutto perché quasi tutti loro, al pari di questa giovane madre, facevano mostra di un fanatismo che richiamava alla mente il periodo più buio della nazione, quando l'oggetto di cotanta venerazione e cieca dedizione non era un dio, bensì un ometto ridicolo autonominatisi ‘Führer‘ di un intero popolo e persino di tutta una razza.
- Si sieda, Sonija - disse l'alto funzionario della Landeskriminalamt, non a caso appellandola con il vero nome di battesimo; e le indicò la sedia dietro la scrivania. Lei ubbidì e, nel farlo, mise involontariamente in mostra le sue forme. Sotto quel triste cilicio si celavano curve assai aggraziate. Kurt Müller si sentì struggere nel considerare la strada che il destino - o chi per lui - aveva fatto imboccare a questa splendida ragazza. Ma il rigurgito di sentimentalismo durò un breve attimo. Aveva un lavoro serio da svolgere, lui.
Il rapporto era redatto in maniera stringata, quasi telegrafica, e spiegava bene ogni cosa: ad un certo punto della sua ancor giovane vita, Sonija B. era stata ingravidata e poco prima – o poco dopo? - era caduta nelle grinfie dei fondamentalisti, che l'avevano totalmente plagiata. Dobler, il capo di quella speciale branca della Landeskriminalamt, era convinto che lei fosse sul punto di compiere un atto mostruoso ("radicale", lo aveva definito): trasformarsi in una bomba umana.
L'avevano dunque lobotomizzata alla perfezione...
Sonija abitava nella periferia più desolata di Berlino, insieme al figlioletto di due anni. "E' carina e gentile" avevano riferito agli agenti alcuni abitanti del quartiere. "Però pare nascondersi, parla poco con noi vicini..." E qualcuno di loro aveva aggiunto che l'impressione che si ricavava da ogni sua azione era che volesse nascondere il bambino agli occhi del mondo.
Si era trasferita lì, a Neu-Kölln, qualche mese prima, proveniente da un sobborgo se possibile ancora meno ospitale: Treptow, città-ghetto ad est della metropoli. Viveva - se di “vivere“ si può parlare - dei miseri assegni dell'assistenza sociale, se ne andava in giro da sola, spingendo la carrozzella dentro cui stava il figlioletto tutto intabarrato, ed era sempre abbigliata nello stesso modo (possedeva soltanto quel chadar? O ne teneva nell'armadio altri di riserva?).
Sulla porta del suo monolocale, al dodicesimo piano di uno dei grigi casermoni di Neu-Kölln, era affisso un bigliettino su cui si leggeva: "Prima di entrare togliersi le scarpe." Come in una moschea!
Gli psicologi che negli ultimi due giorni l'avevano tenuta sotto osservazione parlavano di "psiche labile" e di "mania di persecuzione". Ma Dobler, il Gran Capo, non aveva dubbi: Sonija B. era stata radicalizzata fino al punto di essere pronta a sacrificare, in nome della Jihad, la propria vita e quella del suo bimbo.
Tedesca, giovane, fervida credente... e alla ricerca di un contatto diretto con Allah!
Müller sfogliò la cartella e lo sguardo gli cadde su alcune frasi sottolineate in rosso. "Aline, Mutter Abdullahs" - "Alina, Madre di Abdullah": questo lo pseudonimo con cui la ragazza si presentava nelle chat di Internet. Strano che il figlio si chiamasse Abdullah: dalle foto che Kurt Müller aveva a disposizione, era evidente che si trattava di uno spermium germanico al cento per cento...
La chat su cui "Aline"/Sonija scriveva era quella del Sisters Network. Da anni ormai i servizi segreti e la Landeskriminalamt monotorizzavano quel sito, cui faceva capo un'associazione di donne occidentali convertite all'Islam. Donne che in molti casi - ma non in tutti - erano state radicalizzate dai loro mariti medioorientali, e che a volte finivano per partecipare senza compromessi alla Jihad o "Guerra Santa". Sonija frequentava la loro chat e i loro forum preferibilmente nottetempo. Scrivendo in arabo e in inglese (lingue che conosceva poco, ma che conosceva), si rivolgeva ai "cari fratelli e sorelle" di fede islamica chiedendo consigli e a volte impartendone, con tanto di citazioni dal Corano. Recentemente era stata abbastanza esplicita:

"Mi è stata concessa una grande opportunità. E anche al mio bambino. Ovviamente ho un po' di paura per lui, ma se è questo che Allah vuole, sia fatta la Sua volontà!"

Qualcuno, palesemente, le aveva indicato la porta per il presunto Paradiso.
All'alba del 9 aprile, mentre ripeteva un messaggio del genere nella solita prosa fiorita tanto cara alla Jihad, fecero irruzione nel suo appartamentino gli uomini della Squadra Antiterrore, insieme ad alcuni cani che erano addestrati a fiutare sostanze esplosive. Gli agenti aprirono e spaccarono ogni cosa, divelsero finanche le piastrelle del bagno... ma non scovarono niente. Poco male; le informazioni in loro possesso parlavano chiaro: Sonija B. si accingeva a partire con il piccolo Abdullah per la zona di confine tra l'Afghanistan e il Pakistan. Sicuramente, l'intenzione era di farsi saltare in aria, lei e il bimbo, magari nelle immediate vicinanze di una truppa dell'esercito statunitense o dei Caschi Blu.
Ma mancavano totalmente le prove. C'erano solo quei messaggi sempre più isterici intercettati in Internet e alcune nervose, frettolose quante oscure dichiarazioni rilasciate da Sonija ai pochi vicini che riuscivano a rivolgerle la parola.
- Uhm - ponderò Müller. Che gli psicologi avessero ragione e Dobler, di contro, si sbagliasse? Era forse solo una povera pazza e non la potenziale terrorista che il Grande Capo credeva di aver individuato? Probabilmente non era che una ragazza schiacciata dalla propria solitudine, dalla segregazione sociale; una disperata che, in quella sua maniera assai contorta, cercava di attirare su di sé l'attenzione e forse anche un po' di affetto.
Poiché la minaccia di suicidio così come il voler recarsi in una regione a rischio non sono ritenuti illegali, dopo un primo interrogatorio Sonija era stata rilasciata.
Appena due giorno dopo, l'11 aprile, "Alina, Madre di Abdullah" aveva fatto la sua ricomparsa sulla chat del Sisters Network, riprendendo ad accennare a una "soluzione liberatoria" nell'immediato futuro.
Il compito di Müller era di strapparle il nome di chi l'aveva convertita. Secondo la legge tedesca, non si può sbattere in carcere chi intende mettere fine alla propria vita; di contro, l'istigazione al suicidio resta pur sempre un reato grave.
- Sonija - esordì il funzionario, cercando con lo sguardo un appiglio, un punto fermo, nell'espressione assente di lei. E decise di passare subito al "tu". - So che te lo hanno già chiesto i miei colleghi. Loro a volte sono sgarbati, lo so, lo so. E' perché hanno sempre troppa fretta e poca pazienza. Ma con me puoi confidarti. In fondo, potrei essere tuo fratello maggiore... La mia domanda è: chi è il padre di Abdullah? Non è un Ausländer, uno straniero, vero?
Gli occhi di lei rimasero sfuggenti, ma qualcosa sul suo volto sembrò animarsi: Müller vi notò un lieve smottamento, un'esitazione. Infine, le belle labbra si dischiusero per lasciare esalare un'unica, breve parola: - Iblis.
“Ecco almeno un nome!“ pensò Kurt Müller.
- Ah - disse. - Dunque proprio uno straniero, allora. Arabo?
Il blu delle pupille di Sonija gli si riversò addosso in tutta la sua intensità. - Iblis - ripeté. - Perciò - riprese dopo qualche lungo secondo, proprio mentre Müller pensava che lei non avrebbe aggiunto altro, - è necessario espiare. Purificarsi.
- Purificarsi? Ma di che?
- Iblis - ribadì la ragazza, con aria estraneata. Era pacifico che non comprendeva l'ignoranza dell'uomo che le sedeva di fronte. - Il... diavolo - spiegò finalmente.
Adesso Kurt Müller ne era sicuro: gli psicologi non si erano sbagliati. La tipa era uscita di senno. Ma giusto per tale motivo non era assolutamente da escludere che fosse pronta a farsi saltare in aria. Dunque, anche il Grande Capo Dobler non aveva torto. Carattere labile, mania di persecuzione... schizofrenia, paranoia... bomba umana! Tutto chiaro. I terroristi disposti a immolarsi si credono martiri; e solamente gli individui più folli sono capaci di un martirio. Folli: altro non sono! Soprattutto se, nel loro gesto, trascinano con sé degli innocenti.
- Il diavolo, eh? Intendi dire che tuo figlio è stato concepito da... ?
- Sì - disse Sonija, tornando a distogliere lo sguardo. - Abdullah è stato concepito da me... e da Lui. Io non volevo. Ma Lui è potente, si prende quello che vuole. Ha preso me. Mi ha fatto male. Donandomi un figlio. - Tornò a fissarlo di colpo, una luce esaltata negli occhi la cui bellezza era, se possibile, messa maggiormente in risalto dal copricapo islamico. - Abdullah però non ha colpa. Metà del suo sangue è mio! Lo porterò con me in paradiso... Lì lo attendono cento vergini.
Senza volerlo, Kurt Müller ridacchiò. Poi, tornando serio e schiarendosi la gola come a mò di scusa: - Sonija, qualcuno ti ha preso in giro - la investì. - Non so a chi deve attribuirsi la paternità del bambino e sono certo che nemmeno tu lo sai. Tu dici: "Iblis", e ciò lascia intendere che a renderti madre sia stato un uomo di origine araba. Strano, in quanto Abdullah (come hai deciso di chiamarlo) possiede tutte le caratteristiche somatiche dell'homo germanicus. Ma lasciamo perdere. Quel che io desidero da te è un nome. Un nome vero, stavolta. Cioè: quello di un individuo in carne e ossa. Sei stata convertita a una religione da qualcuno che è allenato a cercare proseliti. Un recrutatore professionista. Capisci? Qualcuno che lo fa non tanto per amore di Dio, quanto per i suoi...
La ragazza cominciò a toccarsi velocemente la spalla sinistra e la destra, alternativamente, borbottando: - Male... bene. Male... bene.
- Ma che stai facendo?
- E' il Melech - disse Sonija. Sinistra: male; destra: bene.
- Smettila!
Lei gli fissò addosso due occhi esaltati. - Shaitan, il fuoco. E' stato uno Shaitan a indurmi in tentazione. Un demone... - Ad un tratto, la sua espressione sembò raddolcirsi. - In lei ho fiducia. Lei è un Djibril. La terra. Spirito buono.
- Io sarei... terra? - chiese l'inquirente, più per pietà che incuriosito.
La ragazza riprese a toccarsi alternativamente le spalle con la mano destra, e poi sbottò, con quella sua vocina che in altre occasioni si sarebbe potuta definire solare: - Non capisci...
Kurt Müller rise quasi disprezzatamente. - Prima mi dai del “lei“, poi del “tu“...
- Shaitan è una specie di infernale fata morgana, una visione negativa - riprese la ragazza, con il sangue che le ribolliva e le sillabe che si accavallavano. - Djibril è lo spirito protettivo. L'angelo custode, se vuoi. Il mio sta aspettandomi alla soglia dei Cieli. Davanti a me tre vie. Il Djibril mi indicherà la sinistra se sono stata cattiva...
- La sinistra è sempre associata col male - scherzò Müller.
- E lì ci saranno tormenti! Serpi velenose, bestie con gli artigli affilati...
- Okay, okay. Ma...
- Mi indicherà la destra se sono stata abbastanza buona. Ma è quella centrale la via migliore. E io voglio percorrerla.
- Ah - fece Müller, cercando di dare un senso a quelle informazioni che per lui rimanevano astratte.
- Tu sei buono. Come il mio Djibril. O forse sei Meijse?
- Non lo so, Sonija, non lo so.
- Meijse significa “mago“. Ce n'è pochi, e tutti hanno avuto il dono direttamente da Allah e tutti sono pronti ad aiutare. Forse, se faccio loro richiesta, possono liberarmi dalla dannazione.
- Ma quale dannazione...
- Da Iblis.
- In questo momento solo io posso aiutarti – le ricordò l'inquirente, cercando di riportare la conversazione su elementi più concreti. - Tu però devi...
Si interruppe di botto, boccheggiando incredulo: una sorta di maschera demoniaca si era pian piano sovrapposta al volto ritornato ieratico della giovane. Iblis! capì Kurt Müller in un eccesso di pazzia razionale, mentre l’apparizione satanica, fissandolo con occhi infiammati e mesmerici, piegava la sua laida bocca in un ghigno e dopo eruttava una risata malvagia. L'alito che urtò le narici dell‘uomo era talmente fetido che lui si sollevò di colpo dalla sedia e arretrò verso la parete, urlando:
- No! Non può essere! Non può...
Un colpo alla porta mise fine alla terribile visione. Sonija B. riacquistò il viso che le era proprio (quello di una ragazza ingenua con la quale la vita non era stata benigna) e, mentre la porta si apriva e un collega di Müller sporgeva la testa all'interno, inquisendo: - Tutto bene? Ho sentito degli strani rumori... -, il funzionario della Landeskriminalamt tornava a sedersi, esterrefatto oltre che spaventato a morte, i capelli di colpo ingrigiti, e annuiva debolmente.
- Sì... Sì, certo. Tutto bene.
Il collega annuì a sua volta e sparì.
Kurt Müller, sempre con lo sguardo incollato sul volto da bambola vuota di Sonija, disse rauco: - Inventeremo un nome tedesco per indicare negli atti il padre del bambino. Uno qualsiasi. Non ha importanza quale. L'importante è che ti lascino partire. Ora conosco la verità. E' vero: è necessario. Necessario espiare, purificarsi...
Sonija B. se n'era già andata da un pezzo quando lui, che aveva incominciato a studiare altri incartamenti, ripensò all'improvviso alle proprie parole e si chiese chi diavolo gliele avesse messe in bocca.

Cronaca di giornale in data 27 aprile:
Donna-kamikaze si fa saltare in aria insieme al suo bambino in un mercato di Kandahar
Il folle attentato ha causato oltre 50 morti e il ferimento di almeno 100. L'identità della donna non è stata ancora scoperta, ma parrebbe trattarsi di una occidentale giunta giorni fa nella città afghana (la seconda per grandezza dopo Kabul) con un volo da Francoforte sul Meno. Il carico di esplosivo era legato intorno al corpicino del bimbo...

Un altro articolo sullo stesso quotidiano riporta quanto segue:
Mette fine alla propria vita alto funzionario della Commissione Anticrimine
Kurt Müller, che colleghi e conoscenti definiscono un individuo equilibrato e dal carattere gioviale, si è buttato giù da un cavalcavia della tangenziale berlinese ieri sera verso le 21. Testimoni dicono di aver visto l'uomo da solo, ma i dubbi da sciogliere sono ancora tanti.
"Si tratta di una tragedia a dir poco anomala" ha dichiarato, visibilmente scosso, Franz Dobler, direttore dell'ufficio in cui il signor Müller lavorava. "Dietro questo gesto c'è qualcosa di losco."
Kurt Müller è arrivato con la sua auto sul cavalcavia, ha accostato ed è sceso senza neppure spegnere il motore, secondo la ricostruzione fornita dagli investigatori. I testimoni lo hanno visto toccarsi le spalle e fare smorfie inconsulte prima che precipitasse, e molti lo hanno sentito urlare qualcosa di incomprensibile, forse un nome o un'imprecazione in una lingua straniera.
La Procura di Berlino ha aperto un'inchiesta per "istigazione al suicidio", ma al momento gli inquirenti brancolano nel buio. Gli esami del telefonino e del PC del defunto non hanno reso alcuna indicazione che possa far luce sui motivi del tragico atto.



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