La sera,
a tavola,
mio padre non parlava.
Nella minestra bagnava
pezzi di pane raffermo
e masticava piano,
smarrendo i pensieri
nel vetro di un bicchiere.Mi sedeva di fronte,
dopo cena,
affascinato
dalla mano
che correva,
rapida, sui fogli,
legando lettere su lettere,
come fossero mattoni.
Poi si lasciava
vincere dal sonno,
cullato
dalla tenerezza della notte.
Ed iniziava per me
il racconto infinito
delle sue mani,
abbandonate sulla tavola
come barche in secco.
E parlavano,
le gonfie dita rosse,
della fatica del cantiere;
E le rughe
erano memoria
di giorni trascorsi
ad impastare calcina.
E le cicatrici tracciavano
ombre di rabbia rassegnata,
mutata in sudore doloroso,
in odore di malta
perenne sulla pelle.
E in quei silenzi e nelle mani
ho raccolto me stesso
e tutto l’universo che contiene...
Mario Vecchione