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 La partita di poker
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Renato Attolini
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Inserito - 17/02/2008 :  21:40:47  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
Questo breve racconto è liberamente ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto nelle Marche una quindicina d’anni fa. I nomi sono chiaramente di fantasia ma… non lo sono le cifre.

Come tutti i venerdì sera Pino Cavalli industriale marchigiano del ramo calzaturiero si stava recando a casa del suo amico Luigi dove, oltre al padrone di casa, lo aspettavano gli altri due giocatori per la consueta partita di poker. Quello che ancora non sapeva e non poteva immaginare che quella che si apprestava a disputare in quella tiepida serata della primavera dell’anno 1992 sarebbe passata alla storia, perlomeno locale, come “La Partita” con le iniziali rigorosamente maiuscole. Si annunciò al cancello della villa con una serie di colpi di clacson ritmati come segnale stabilito e convenuto e poi imboccò con la sua lussuosa fuoriserie il vialetto che conduceva all’abitazione posta nella periferia di Ascoli Piceno, un luogo appartato e discreto.
I partecipanti all’incontro erano quasi sempre gli stessi, Pino e Luigi non mancavano mai e a volte capitava che uno degli altri due fosse sostituito per impegni da qualcun altro, persone comunque del giro e assolutamente fidate.
Esauriti i convenevoli i quattro i accomodarono al tavolo rotondo ricoperto da una tovaglia verde dove erano attesi come da un rituale ormai consolidato da due mazzi di carte nuovi ancora sigillati nella plastica e da una fila di “fiches” ordinate per valore. Accanto faceva bella mostra di se un carrello pieno di bottiglie di liquore, bicchieri di cristallo e una scatola di costosi sigari cubani messi lì più che altro per bellezza in quanto ognuno preferiva la propria marca di sigarette di cui faceva largo uso nei momenti più cruciali del gioco. Da lì a non molto la stanza si sarebbe infatti stata invasa da nuvole di fumo solo parzialmente diradate dalle finestre aperte sul giardino.
Fin dalle prime “mani” Pino intuì che c’era qualcosa di diverso e d’insolito quella sera, una strana sensazione che lo metteva un po’ a disagio. Tutti e quattro erano degli “habitué” di quel gioco, era più che una passione quel appuntamento settimanale al quale non si sottraevano mai e la posta in gioco era anche abbastanza pesante ma sempre comunque contenuta entro certi limiti anche se elevata e ad ogni modo alla portata delle tasche dei contendenti.
Ma quella sera…
Le “puntate” erano decisamente più alte del solito e questo avvenne come se ci fosse stato un tacito accordo quasi che tutti volessero esagerare. C’è un famosissimo detto che recita così. “Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare” e Pino non si volle sottrarre. Le carte non gli giravano male ma neanche benissimo e cominciò a sentire dentro di se una sorta di frustrazione. Le ore passarono fra bicchieri di whisky e sigarette accese e spente in continuazione. Il cielo cominciava a rischiarare e s’intravedevano i primi albori, quando qualcuno chiamò “l’ultimo” giro. Tradotto dal gergo significava ancora quattro “mani” prima di finire. Le prime tre non riservarono molte emozioni, ma alla quarta avvenne qualcosa di sensazionale. Pino ricevette le sue cinque carte e cominciò lentamente a sbirciarle come fanno tutti i giocatori guardando solo il segno in alto a sinistra: la prima carta era un asso di cuori, la seconda un asso di picche e mentre l’emozione cominciava lentamente a serpeggiare dentro di lui, scoprì la terza un nove di quadri, la quarta era una donna di picche e già sentiva una piccola delusione subito fugata dalla visione della quinta. Un asso di fiori. Fece la puntata di apertura seguito dagli altri e poi cambiò due carte. La prima carta cambiata era un re di fiori, ma l’altra gli procurò un autentico tuffo al cuore che solo la sua consueta e consumata esperienza di pokerista gli evitò di tradire l’emozione. Un asso di quadri ossia aveva in mano un poker d’assi, una delle massime combinazioni possibili a quel gioco. La lingua gli si era seccata completamente e fece un po’ di fatica a parlare fissando negli occhi i suoi avversari. “Avete voluto giocare pesante? E va bene sarete accontentati!”
“Duecento” sibilò. Gli altri lo guardarono allibiti. Era chiaro che intendeva milioni. Due giocatori lasciarono le carte sul tavolo in segno di resa. Luigi studiò quanto aveva in mano e disse pensieroso:
“Tempo”. Voleva dire che aveva bisogno di riflettere.
Poi in un’atmosfera carica di tensione che si poteva tagliare col coltello e dopo un non ben precisato periodo che a tutti sembrò lunghissimo parlò:
“I tuoi duecento più un miliardo”.
Il silenzio si fece di ghiaccio rotto solo dalla timida protesta di uno degli altri due che mormorò:
“Ehi ragazzi andateci piano…” ma fu ignorato.
Pino s’accese una sigaretta e fu lui chiedere adesso un tempo di riflessione.
Aveva in mano un gioco altissimo uno dei più alti in assoluto ma cos’aveva in mano Luigi? Aveva cambiato una carta sola e ciò poteva significare tante cose. Per esempio che aveva una doppia coppia di partenza e che gli fosse entrato un full oppure che aveva un poker servito e che aveva cambiato la carta che non gli serviva per confondere gli avversari come qualcuno usa fare e in questo caso al massimo teneva un poker di re quindi più basso del suo. La brace della sigaretta giunta ormai al filtro gli bruciò le dita facendolo imprecare sommessamente e destandolo dai suoi pensieri. Sentiva il sudore freddo bagnargli la camicia e cercò di studiare le alternative. La prima era quella di abbandonare e perdere duecento milioni senza neanche tentare. Con un poker d’assi in mano non gli sembrò una mossa intelligente. La seconda era accettare con tutto quello che ne conseguiva. Si sentì abbastanza forte e scelse questa.
“D’accordo” acconsentì e tradito dall’emozione e dalla tensione spiattellò sul tavolo le sue carte contravvenendo alle regole che prevedevano che fosse Luigi a dichiarare il suo gioco. Questi infatti rimase un po’ sorpreso e osservò attentamente i quattro assi che Pino aveva mostrato. Poi non cambiando minimamente espressione e con studiata lentezza esibì la prima delle sue cinque carte: un nove di cuori seguito da un dieci, un fante, una donna e da un re tutti dello stesso seme della prima.
“Scala reale a cuori” sentenziò Luigi. L’unica combinazione che può battere un poker d’assi.
Pino non disse nulla, era tramortito. Si era fidato troppo del suo gioco e aveva perso. Per un attimo fissò Luigi e pensò che probabilmente non c’era nessuna legge che lo costringeva a saldare il suo debito se non quella d’onore alla quale tutti i giocatori di poker, e non solo, sono ossequiosi. Qui però ne andava completamente della sua vita, era tutta un’altra cosa.
Ciononostante con la sua voce che gli sembrava provenire da un’altra dimensione come se non gli appartenesse si rivolse a Luigi quasi balbettando:
“Non ho chiaramente con me questa cifra. Ti pagherò non appena possibile.”
“Non c’è problema Pino, lo so che manterrai il tuo impegno” gli rispose tranquillamente Luigi.
Dopodiché come un automa lasciò la riunione per far ritorno a casa.
L’indomani stesso avviò le procedure per la messa in vendita della sua ditta. Con quello che ricavò saldò il suo debito, ma non si seppe se gli avanzò qualcosa per tirare avanti dignitosamente come non ci è dato di sapere se almeno salvò il suo matrimonio già minato dall’avversione della moglie per questo suo vizio pericoloso e soprattutto non si è mai saputo se sia riuscito a liberarsi del demone del gioco che ha segnato e rovinato la sua vita.


   
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