Alessio
Cittadino
Italy
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Inserito - 19/08/2008 : 21:21:24
E' una giornata calda di agosto e me ne stò con le gambe accavallate mentre dal cassetto prendo il pacchetto di sigarette e conto quelle che ho bruciato. Sono cinque da questa mattina. Apro la finestra e fumo. Delle avide boccate mentre il pensiero è rivolto altrove, forse al mare, mentre io me ne sto qui, rinchiuso in un ufficio dalle parenti grigie ad aspettare pazienti squinternati, uomini e donne che hanno bisogno di esternare, condividere, fagocitarti. E di me che rimane ? Il pensiero ricorre spesso alla stanza dei bottoni, la stanza nella quale ho trascorso sette anni di lunga analisi didattica, quell'analisi che avrebbe dovuto restiturmi integro alla vita, consapevole ed io invece ad indossare la solita maschera dello psicologo borghese. Sorrido mentre penso a me come ad un personaggio kafkiano, disperato, tremendamente triste, avvolto in quell'alone grigio dall'inconfondibile odore della naftalina e gli occhi velati di malinconia. Il cielo si rannuvola in una smorfia di crescente apatia, rondini rasentano il prato verde in un volo pindarico, i moscerini si aggregano in sciami grigiastri, sparpagliati ora a destra, ora a sinistra, a seconda della direzione del getto d’acqua dell’erogatore. Un trillo ovattato mi riporta alla realtà. Mi dirigo verso il ricevitore, poi penso che proprio non ho voglia di paranoie altrui e non rispondo. Potrei essere al bagno – mi dico. Di nuovo quel maledetto trillo ovattato. Non posso non rispondere – sarò sintetico. “Consultorio psicologico buona sera” – rispondo “Ehi Matteo fai finta di lavorare ? Sono Luca”. “Ah Luca pensavo fosse qualche paziente – sono felice di sentire la tua voce.Come si sta ai piani alti ?” “Come a quelli bassi Matteo. Volevo chiederti se hai voglia di bere una birra o un aperitivo prima di cena…” “Si può fare. Scendi da me così andiamo al chioschetto del parco in città”. “Ok, arrivo” – Mentre aspetto Luca, richiudo le cartelle cliniche nello schedario, due mandate per tutelare la privacy, mi dirigo verso le finestre ed abbasso le tapparelle. Anche oggi è finita. Chiudo la porta alle mie spalle, mi dirigo a grandi falcate verso la timbratrice ed intanto saluto i colleghi che incontro nell’atrio. “Tutto bene Matteo ?” – fa l’assistente sociale della tutela minori “Si grazie Antonella, tutto bene” – rispondo. Bene un... – penso tra me e me. “Matteo aspetta – timbro e arrivo” – dice Luca affannato. Si dirige verso di me a grandi passi, mi afferra a braccetto e ci dirigiamo verso l’uscita. “Penseranno che siamo omosessuali” – ironizzo “Si dai, vieni qui che ti bacio tutto” – fa il verso Luca. Salgo sulla mia macchina e gli faccio posto. “Questa macchina è un ufficio, scusa il disordine” – dico “Potrei interpretare questo caos come una disarmonia interiore, per dirla in termini junghiani, il caos primordiale”- fa Luca. “Ma smettila “o professò”- gli rispondo. La città è semideserta, saranno tutti a godersi il meritato riposo. Dalla tangenziale osservo il cielo farsi terso ed un sole d’un rosso cangiante brilla sulle colline tinte dei colori del tramonto. Uno strano silenzio nell’abitacolo della mia macchina nuova di zecca. Io e Luca riusciamo a stare bene senza dover parlare di nulla. In silenzio, assorti nei nostri pensieri. Il chiosco è pieno di gente. “ Luca… sei proprio sicuro di avere voglia di bere quella birra in mezzo a questo casino di gente ?”– gli faccio “Che ne dici se ci dirigiamo verso il lago e questa birra ce la beviamo sulla riva ?” – propone Luca. “Ci sto”. “Ti faccio ascoltare l’ultimo pezzo dei Baustelle”. Immersi nell’ascolto dell’ultimo lavoro del gruppo più elegante e poetico del momento, ci dirigiamo verso la spiaggia di Anfo, sul lago d’Idro. L’ultima galleria prima del paese lascia intravedere quelle verdi montagne che si infrangono nelle acque chiare del lago. E’ ormai quasi sera e si accendono le prime luci. “Sembra quasi di stare in un presepe” – accenna Luca con quel tono di voce mistico. Ci dirigiamo verso la spiaggia del paese, adagiamo per terra una coperta di quelle a quadrettoni e ci sediamo. “Chissà questa coperta quante ne ha viste” – sorride Luca “Hai detto bene Luca. Quante ne ha viste, passato, remoto direi”. Luca ha un viso accattivante, i capelli rasati, il pizzetto ben curato e quegli occhi neri così vivaci, a volte malinconici, a volte intuitivi. Gira il volto verso di me in una smorfia interrogatoria ed io capisco che sono braccato, non posso fare a meno di guardarlo e ridere. Ricordo ancora quando è arrivato al consultorio. Creativo e dinamico come pochi. Lui, l’educatore professionale, quello dall’ambizione forte, lo scrittore. Mi osserva divertito Stappo quella birra e gliela porgo. Beviamo, sorseggiando lentamente quella berliner waisse, retaggio dei nostri numerosi viaggi nella capitale tedesca. “Si può sapere cosa ti succede in questi giorni ? hai una faccia da paura. Mi eviti e sembra che ti abbai travolto un tir in corsa” – incita Luca. Sto un po’ in silenzio poi piego la testa sulla spalla di Luca e piango. Piango come un bambino terrorizzato, gli prendo la mano e mi appoggio sul suo petto. Luca mi accarezza i capelli, morbide le sue dita trapassano la mia testa. Un silenzio travolgente il nostro, complice e maturo. “Mi sono lasciato con Laura, due settimane fa e questa volta sembra essere definitiva” gli dico chiudendo gli occhi. “perché non me ne hai parlato ? Non avevo capito niente”. “vedi Luca non è così facile. Mi sento morto. E’ come se Laura si fosse portata via quello che di più bello avevo. I nostri viaggi, le canzoni cantate in macchina a squarciagola, gli abbracci sul divano di casa nostra, i pranzi della domenica, gli amici. Non ne è rimasto più niente di me. Ho vissuto tre anni della mia vita con lei ed ora intorno a me c’è solo sangue e macerie. Ed io, povero idiota, a sforzarmi di comprendere certi meccanismi della relazione, perché se no che cavolo di psicologo sono ?”. “Mi dispiace tanto Matteo. Tantissimo. Non ho parole”. “Vorrei dirti tante cose in questo momento, magari le solite cose che si dicono, ma sono pur sempre le cose più vere, quelle parole che nascono dalla sofferenza vissuta in prima persona, quella sofferenza che appartiene a tutti.” – dice Luca. “Ma tu come hai fatto Luca a dimenticare Marco ? Come hai fatto ad uscire dalla sofferenza, come hai fatto a riprendere tutto da capo ?” gli dico. “Non ho dimenticato Marco. E’ da un anno che non stiamo più insieme. Ricordi ? Era luglio della scorsa estate, quella del 2008, al ritorno dal viaggio in Sardegna. Io ho imparato a convivere con la sua assenza e con il ricordo. Niente storie alternative, nessun chiodo scaccia chiodo, qualche scopatina qui e là ma niente di più” “Come facevi a gestire la solitudine ? Non sentivi una lama che ti sprofondava nella gola al riaffiorare dei ricordi passati ?” “Vedi Matteo, succede anche adesso. Mi sono concesso tempo, senza avere fretta di risolvere niente. Mi sono concesso tempo per accogliere questo tremendo dolore, per sentire la morte nel cuore, per salutare quella parte che di me se ne era andata per sempre o credevo fosse così Matteo. Poi un giorno dormi anche solo un’ora di più e tutto ti sembra diverso, ti gusti una berliner waisse sulla riva del lago di sera con il tuo amico e ti senti l’uomo più integro del mondo. Affini una sensibilità diversa, impari a togliere le maschere e a divenire maggiormente te stesso. E poi psicologo non dovresti insegnarmi proprio tu che la solitudine che tutti temono come fosse il segno della punizione divina è anche quel posto nell’anima che ti permette di conoscere meglio te stesso, i tuoi limiti, le tue fragilità, le risorse e la creatività inespressa ? Guarda Matteo io non escludo una relazione ma nello stesso tempo è maturato in me qualcosa di assolutamente nuovo. Non voglio affidare la mia vita a qualcun altro chiedendo di essere amato e nutrito. Voglio farlo da me e questo è il momento più giusto nella vita di un uomo. Solo i bambini, i malati e gli anziani hanno bisogno di assistenza. Per il resto dell’umanità è necessario che le persone sviluppino autonomia. Così credo che gli incontri che si faranno saranno più autentici.” “Razionalmente ti capisco Luca. Certo che ti capisco e condivido. Ma quando penso a Laura sento un dolore lancinante.” “Impara a sentire quel vuoto e imparerai a conviverci. Abbandonati al mare in tempesta, il mare delle emozioni, mettiti nella posizione più comoda, percepisci il dolore e fatti trascinare tra le onde che si infrangono. Imparerai a nuotare nella tempesta e quando lo farai non avrai più paura di affrontare il dolore perché ne avrai conoscenza e perché avrai capito che è affrontabile. Mi sento di dirti solo questo Matteo, solo questo”. “Grazie Luca” – dico. La serata continuò in un caldo abbraccio notturno. Ed una cosa l’ho capita. “Per quanto un inverno possa essere rigido, non accadrà mai che non lasci posto alla primavera”. Me lo auguro, ve lo auguro.
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