"Dipendiamo da te". Il sincero e preoccupato incoraggiamento cancellò le mie titubanze e, mentre i carri armati russi invadevano la Georgia e a Pechino si aprivano le Olimpiadi, in pieno agosto del 2008, io lasciavo l'Europa e volavo verso la Malesia. Al buffet della cena del Rasa Sayang Resort sull'isola di Penang, mi bastò uno sguardo per riconoscere che quel paradiso tra le palme e l'oceano era il preferito dalle coppie in viaggio di nozze e non certo dagli uomini d'affari come me. Ma lo avevo scelto proprio per la sua lontananza dalla città e per la tranquillità che mi avrebbe garantito l'ufficio che la mia fantasia immaginava trovarsi sul ramo dell'albero secolare del grande parco affacciato sulla baia. Al tavolo vicino al mio si sedette un uomo dallo stomaco eccezionalmente prominente e mi lanciò uno sguardo beffardo dopo la sua quinta visita all'esposizione di tutti i più prelibati cibi del pianeta, il suo piatto era carico all'inverosimile di tutto quanto è commestibile e sopraffino, nel mio piatto appena una coda di aragosta. Dopo pochi secondi una donna dalla bellezza sconvolgente che come minimo aveva partecipato all'ultimo concorso di Miss Mondo, si sedette al tavolo dell'uomo, anche lei con il piatto pieno, così pieno che immaginai che la sua linea sarebbe diventata un ricordo lontano alla fine del loro viaggio di nozze. Non potei che considerare che mentre i due avventori ingrassavano e spendevano, io sarei rimasto in forma e avrei risparmiato, anzi, guadagnato, se i colloqui di affari dei giorni successivi avessero avuto risultati favorevoli. Eh sì, sospirai verso la coppia, certa gente non sa cosa si perde.
Nei giorni precedenti il viaggio, il mio amico Ho mi aveva scritto dalla Malesia lamentando un crollo degli ordinativi del quaranta percento, la crisi dei consumi negli Stati Uniti incideva sulle economie asiatiche e il dollaro aveva iniziato la sua cavalcata che lo avrebbe portato in una settimana a rivalutarsi del dieci percento. Nessuno sapeva più che cosa davvero costasse qualsiasi cosa.
Tan era pessimista, lamentava pure lui una caduta degli acquisti da parte dei clienti americani, mentre l'Europa, appesantita da tassi troppo elevati e da un valore dell'euro troppo alto, non contribuiva certo alla ripresa dei consumi. "Entro pochi giorni arriverà a uno e quarantasei con il dollaro e uno e trentasei in autunno", fu la sua previsione. Con il senno di poi, non sbagliò neppure di un centesimo.
Ero seduto su una comoda poltrona di velluto ad un tavolino del Trader's, aspettavo i miei fornitori, di solito arrivavo in anticipo per prendere il tè, lo schermo gigante proiettava in diretta la semifinale del torneo olimpico di badminton, un atleta sudcoreano contro un malese. Al bancone del bar erano appoggiati alcuni grossi australiani, boccali di birra uno dopo l'altro e una corte serrata alla bella ragazza che li serviva. "Vorrei un tè per favore", le dissi quando si avvicinò al mio tavolo. "Un breakfast tea?", mi chiese sollecita. "Bè, sono le cinque del pomeriggio", risposi senza comprendere :"la colazione l'ho fatta questa mattina". Mi fulminò con lo sguardo e mi mise sotto gli occhi la carta delle bevande e aggiunse :"breakfast tea è il nome di un tè, si chiama così, non è il tè della colazione!". Scorsi la lista e mi accorsi che aveva ragione, nonostante fossi un amante del tè grazie agli affascinanti racconti di mio padre sul commercio che ne fece in gioventù, era una qualità di cui non avevo ancora sentito parlare.
Un boato dallo schermo attirò l'attenzione di tutti i presenti, il giocatore malesiano aveva messo a segno un punto spettacolare. "Per chi tieni?", mi chiese a bruciapelo la ragazza dalle fattezze cinesi. Era facile, non potevo sbagliare, eravamo in Malesia, un paese in cui il trentacinque percento della popolazione è cinese :"naturalmente tengo per il giocatore della Malesia", ribattei, sicuro di assecondare i suoi sentimenti.
"Ah!", mi trafisse, "io sono coreana!". E mi piantò in asso. Avevo una possibilità su ventisei milioni di confondere una cinese per una coreana e figurarsi se evitavo la brutta figura.
Poco dopo mi portò la teiera e una tazzina :"te lo verso?", mi chiese. "Grazie", risposi un poco intimorito. Lo versò senza mettere il colino e la tazzina si riempì di foglie. Non osai contestare, evidentemente era in corso la sua vendetta. E tornò verso il bancone del bar, ad ascoltare le battute dei sempre più alticci australiani, certo loro non avevano commesso il mio errore.
Qualcosa mancava, focalizzai e mi accorsi che non mi aveva portato lo zucchero, altro dispetto. "Io non mi piego, non cederò mai, piuttosto lo bevo così", pensai e lo assaggiai. Mi accorsi che bere il breakfast tea senza zucchero è appena più inumano che ricevere trecento frustate e così mi alzai e timidamente mi avvicinai al bancone. "E' possibile avere dello zucchero?", domandai con il tono più mieloso che avessi mai utilizzato. Lei mi osservò senza rispondere. E all'improvviso mi venne l'illuminazione ed esclamai :"tengo alla Corea!". Notai che in lei era in corso una lotta interiore, era chiaramente malfindente del mio improvviso cambio di campo, poi sospirò e mise alcune bustine di zucchero sul bancone. Gli australiani trattennero il fiato, si rendevano conto che i rapporti internazionali erano in gioco e che l'intera Asia sudorientale rischiava di essere messa a ferro e fuoco e le relazioni diplomatiche planetarie avrebbero impiegato secoli a normalizzarsi nuovamente. Mentre decidevo, la ragazza si voltò verso gli australiani e li avvolse con un sorriso talmente luminoso da farli ammutolire. E poi si volse verso di me con uno sguardo talmente glaciale da farmi ammutolire. A capo chino, raccolsi le bustine di zucchero e tornai al mio tavolino. Adesso il gusto del tè non era male, anche se compresi che il breakfast tea non era il mio preferito.
Avevo appena posato la tazzina che la ragazza si avvicinò :"Credevo che tu fossi malese, hai l'aspetto moro degli abitanti di Penang", mi sussurrò. "Che cosa? Ma se sono biondo e ho gli occhi azzurri!", replicai con finto tono scandalizzato. "No, vengo dall'Europa", aggiunsi seriamente, "almeno ci sono nato, ma le origini sono dall'oriente". Ci interruppe il giocatore della nazionale malese di badminton, si rotolava per terra lanciando grida di esultanza, aveva vinto, era in finale. Il volto perfetto della ragazza coreana si rabbuiò, pur rimanendo perfetto, gli australiani fecero una faccia costernata, come partecipassero sinceramente alla sua delusione. Io mi alzai e le chiesi il conto, avevo notato che i miei fornitori erano arrivati a prendermi e fui ricambiato da un sorriso, "quattordici ringgit", mi disse, "il breakfast tea è il più caro della lista". Un'enormità rispetto ad un'intera prima colazione che in Malesia costa sette ringit. L'equivalente di due euro.
Wang mi aveva scoraggiato dall’andare a trovarlo a Pechino, il governo aveva ordinato alle fabbriche di sospendere le produzioni, per non inquinare l’aria, era la formula ufficiale, non si sapeva quante fabbriche avrebbero riaperto dopo la chiusura forzata, il governo aveva finalmente tagliato le sovvenzioni che permettevano loro di produrre e di vendere sotto costo in occidente e la stasi dei consumi in America stava già facendosi sentire con un calo del prodotto interno lordo, per la prima volta da anni e con lo scoppio della bolla alla borsa di Shanghai, caduta del quaranta percento. Le forze dell’ordine, mi raccontava Wang, bloccavano il traffico automobilistico senza apparente ragione, il timore del regime era l’infiltrazione del terrorismo islamico che numerose vittime aveva causato nel paese nelle settimane precendenti l’apertura dei giochi, ma si faceva sentire anche la paura dei dirigenti cinesi di ritrovarsi manifestazioni di protesta durante la cerimonia di apertura sotto i riflettori dei media mondiali a causa della repressione nel Tibet. Il governo di Pechino aveva stabilito con il comitato olimpico di consentire manifestazioni di dissenso in aree protette, il risultato era che i cittadini cinesi che si azzardavano a recarsi in tali aree venivano portati via dalla polizia e condannati a pene detentive.
“Non farlo da solo, è pericoloso! Se sbagli i movimenti ti puoi danneggiare il cuore!”, lo sguardo di Lee era allarmato, mentre mi accompagnava in auto alla sede della fabbrica a Penang, le avevo rivelato che il giorno dopo, sabato, avevo intenzione di iscrivermi alla lezione di Tai Chi, che si teneva nel parco dell’albergo, ne avevo letto sul depliant appoggiato al tavolo della colazione e ne ero rimasto elettrizzato. “Non lo faccio da solo, seguirò la lezione”; rassicurai Lee, anche se per me le sue erano parole di sfida, l’avrei fatto certamente da solo, se solo avessi saputo che cosa fosse il Tai Chi.
All’alba del mattino del sabato mi alzo dal letto in pieno jet lag, “ho dormito o no?”, mi chiedo confuso, “sono quasi le nove, tra poco inizia la lezione, vado piuttosto a fare colazione e rinuncio?” . Mi rado e osservo allo specchio una forma indistinta a causa degli occhi appannati, decido di rinunciare, ma poi mi dico che le occasioni sono occasioni e vada come vada.
L’insegnante si presenta in orario, si chiama Vicki, fa parte della etnia indiana, il dieci percento della popolazione malese, porta la classe sull’erba del parco, sotto le palme, a pochi metri dal mare, le chiedo che cosa significhino le parole Tai Chi e abbozza una prima spiegazione, :”non è né judo, né karate, né kung fu, è una disciplina morbida che raccoglie la forza dall’interno per portarla all’esterno, si può tradurre con 'l’energia vitale estrema'".
E’ una disciplina cinese di origine taoista, l’obiettivo è armonizzare il corpo con la mente ed è stata formalizzata in una serie di movimenti che stimolano la concentrazione, la lucidità, la calma, l’attenzione, la meditazione, la respirazione, la circolazione, il sistema muscolare e il sistema nervoso, la coordinazione degli arti, tanto da trasformarsi negli anni da arte marziale ad una ginnastica salutare.
Le mosse di riscaldamento mi svegliano, Vicki ci fa distendere ogni singolo arto e ogni singolo muscolo, i movimenti sono sempre più circolari, sempre più raccolti, fino a che alla fine di ogni serie braccia o gambe vengono scagliate con atto improvviso in avanti, ci accorgiamo che è come caricare una molla interiore, la concentrazione diventa intensa, la mente si schiarisce e si rilassa, il corpo intero diventa un tutt’uno con il pensiero. Una mossa particolare mi rende esultante, colpo di piede, le mani si ritirano verso l’addome e da lì si lanciano per la spinta di affondo finale. L’immaginario avversario, sbilanciato prima dal tocco del piede, perde infine definitivamente l'equilibrio a causa dall’inattesa spinta successiva delle mani.
Vicki osserva perplessa i suoi allievi che ai suoi occhi si contorcono in modo bizzarro, mentre nelle loro menti si svolge una tutt’altra fantasiosa e irreale vicenda, il suo sguardo viene ricambiato dalle loro pupille divenute fredde, spietate, siamo convinti di essere gli emuli degli antichi combattenti cinesi, le rilanciamo lo sguardo, capisce che siamo duri, tosti, letali, anche la signora tedesca di ottantasette anni e la ragazza al primo mese di gravidanza e il ragazzo sovrappeso che si muove con la scioltezza di un elefante, e io ormai guarito dal jet lag, siamo stati trasformati, dentro, per sempre. Aggrotta le ciglia e poi ci suggerisce, esasperata, di andare a fare colazione, la lezione è finita. Conscio del nuovo potere, la saluto e mi avvio verso i deliziosi pasticcini del buffet, lancio il piede in avanti a far da presa, raccolgo le mani sull’addome e le lancio all’improvviso a cogliere due cannoncini alla crema alla volta. Il cuoco rimane allibito, con il mestolo a mezz’aria, gli lancio uno sguardo tosto, letale.
Nel corso della giornata, mentre discutiamo di affari, la Cnn mostra le immagini di un sanguinoso attentato terroristico suicida in Afganistan, trenta attentatori si sono fatti saltare in aria provocando una strage tra le forze della Nato e Tan mi chiede se l’Europa si rende conto che si tratta di centinaia di zombies che ad un solo comando si lanceranno anche nelle strade del vecchio continente, non posso che rispondergli che i media europei hanno a malapena il coraggio di definirli come terroristi. Gli descrivo una immagine che mi viene in mente, lo schermo che mostra la strada che brucia e i commensali a cena lo guardano appena senza rendersi conto che la scena non è una ripresa da un altro mondo, ma è girata dal vivo nel loro quartiere.
La sera successiva, tra i negozi delle Twin Towers di Kuala Lumpur, i turisti dei paesi arabi del golfo sono al solito a decine, a caccia di acquisti, le donne ricoperte completamente dalle vesti nere, solo gli occhi sono appena scoperti, i loro uomini in calzoncini, entro nell’emporio dei datteri, sui banconi ce ne sono di tutte le qualità e origini, naturali o ripieni di frutta o ricoperti di cioccolata, ne vado pazzo, dovunque ci sia una confezione di datteri in vendita, io arrivo subito. Mentre, con l’aquolina in bocca per i pacchetti che ho nelle mani, mi avvicino alla cassa, una donna all’improvviso si leva il pesante velo dal viso, il marito appare senza parole, ma la moglie non lo guarda neppure in viso e si allontana verso le vetrine di Dior, il viso è pallidissimo, bellissimo, evidentemente ha scelto quel luogo lontano dall’Arabia Saudita per ribellarsi e pretendere quanto le è dovuto.
Mi avvio verso l’uscita e scopro che all’esterno si è scatenato il temporale, è la stagione delle piogge e gli scrosci sono violentissimi, osservo dubbioso il mio piccolo ombrello portatile, decido di attendere che l'acquazzone cessi, una guardia mi vede camminare avanti e indietro e si avvicina sollecita per chiedermi se ho bisogno di qualcosa, gli rispondo che sto aspettando che smetta di piovere. Scoppia a ridere e comprendo che potrei attendere fino alla fine della stagione e così apro l’inutile parapioggia e attraverso le due vie allagate per tornare in albergo, non può esistere un sistema di scolo che eviti che le strade divengano fiumi durante la stagione delle piogge.
Mi stupisco per il coraggio delle donne arabe anche il giorno dopo, la nuotata mattutina prima di andare in fabbrica, la piscina dell’albergo è già piena all’ora di colazione, una donna dal lungo velo nero sta nuotando insieme al marito e ai figli. E sulle sdraio vicine all’acqua ci sono due coppie, il marito in bermuda esce dall’acqua e ordina con tono sprezzante alla moglie ricoperta dalla veste nera di passargli l’asciugamano e lei si alza e glielo porge, a capo chino. La seconda coppia è occidentale, la moglie sta sgridando con arroganza il marito dallo sguardo dolce per futili motivi e l’uomo ascolta a capo chino. Mi viene in mente che le due coppie dovrebbero riassortisti, la donna velata insieme all’uomo dolce e l’uomo sprezzante insieme alla donna arrogante.
Devo andare a Malacca, duecento chilometri più a sud, lo riferisco a Shamil, l’assistente all’ultimo piano dell’albergo, la sala degli uomini di affari, mi dice che un taxi normale mi costerebbe mille ringgit e mi propone il taxi di suo padre, settecento ringgit andata e ritorno, compresa l’attesa mentre discuto con i fabbricanti.
Intanto che lo ascolto, la mia mano si immerge nella cesta ricolma di caramelle Mentos al gusto di uva, mi riempio le tasche, sono buonissime, credo che mi iscriverò ai gruppi di collezionisti dei tanti gusti delle Mentos.
Accetto la proposta di Shamil e il giorno dopo una splendida limousine nera mi porta verso il sud del paese, la pioggia trasforma la modernissima autostrada in torrente, Zurki, è il nome del gentile padre di Shamil, mi intrattiene durante il tragitto raccontandomi del matrimonio della figlia, dei preparativi per le nozze di rito musulmano che si svolgeranno a casa dei genitori della sposa, lei e il futuro marito si sono conosciuti al lavoro in televisione, intanto dal finestrino osservo la giungla rigogliosa, le piantagioni di alberi della gomma, di olio di palma, di noci di cocco, i regali della natura che hanno fatto della Malesia una tigre economica e le splendide costruzioni di palazzi colorati, indice del boom immobiliare. Confesso a Zurki che ogni mattina mi sveglio si soprassalto poco dopo le cinque, il richiamo del muezzin dalle altissime torri attraversa i vetri fino all'ultimo piano dell'albergo, mi risponde diplomaticamente che nel paese alcuni pregano cinque volte al giorno, alcuni un po' meno e molti altri non pregano.
Le vie della città sono colme di cartelloni di propaganda elettorale, Tan mi spiega che tra alcuni giorni si terranno elezioni cruciali per una parte del parlamento, da mezzo secolo il governo è nelle mani del partito composto dalla maggioranza malay, gli abitanti di origine musulmana, i partiti di opposizione rappresentano il desiderio delle minoranze cinese e indiana di avere maggiore rappresentatività politica, oltre a quella economica. Tan è amareggiato, la maggioranza ha introdotto leggi che favoriscono gli aiuti di stato ai malay e il risultato è l'emigrazione dei migliori giovani cinesi del paese nelle università di Singapore. Il governo riesce a controllare la stampa e si lascia andare a commettere arresti illiberali con la scusa delle leggi emanate per impedire scontri tra le diverse etnie che compongono la popolazione malese, ma non si accorge che la nazione intera, dai malay ai cinesi, chiede il ricambio e una nuova atmosfera di maggior libertà di espressione. Ed il partito di opposizione, composto da candidati di tutte le origini, si dice sicuro di vincere le elezioni e di conquistare il governo.
Appena ho un momento libero, vado nella saletta dell'ultimo piano per il tè, la scelta è assortita, al mattino mi preparo un Earl Grey, la mistura aromatica di tè nero insaporito dall'essenza di bergamotto, al pomeriggio opto per il Jasmine Green Tea, leggero e all'essenza di gelsomino, alla sera il mio preferito è il Darjeeling, il tè che cresce a duemila metri nel Bengala Occidentale, ai piedi dell'Himalaya, l'aroma intenso e il gusto delicato. E mio padre che mi ha instillato l'amore per il tè, lo ascolto mentre mi narra di quando commerciava nei mercati di Bagdad, per poter mantenere la sua grande famiglia, mi spiega i diversi tipi di foglie e, quando sono a casa, mi porta ogni pomeriggio una tazza con la bevanda preparata alla maniera orientale, con il bollitore e la teiera. E fu grazie al tè che il giovane ebreo di Bagdad riuscì a fuggire in occidente, a salvare la sua famiglia di origine e a crearne una nuova.
Ero rimasto ammirato di vedere appese al soffitto dell'ufficio di Lee bellissime creazioni di carta ricavate dalla tradizione cinese, draghi e lampade, mi aveva spiegato che li faceva lei, a casa, quando aveva tempo, era il suo hobby. Quando ci salutiamo, mi porge un sacchetto colorato, lo apro e scopro che il contenuto è un frutto di carta, un'arancia :"nella tradizione cinese è un augurio di buona fortuna". Lo rigiro tra le mani, è bellissimo.
L'ultimo giorno mi porta ancora Zurki all'aereoporto, siamo in anticipo, mi spiega che dal punto di vista dei musulmani il governo va bene ed è un po' preoccupato per l'eventuale vittoria dell'opposizione, poi mi mostra le fotografie della sua famiglia, inziamo a parlare di viaggi e di cibi e, appena gli racconto della deliziosa salsa satay che ho mangato a Penang, decide di invitarmi a pranzo, rimango senza parole di fronte alla sua gentilezza, ci fermiano in una piazzola sulla quale si affacciano piccolissime locande, mi fa sedere e va a comprare il cibo, degli spiedini di pollo tenerissimo con una scodella di salsa satay e dei rettangoli bianchi che mi spiega sono riso pressato.
La cerimonia prevede che si prenda in mano lo spiedino, lo si immerga nella scodella di satay e poi si utilizzi lo stesso spiedino di legno per raccogliere un rettangolo di riso. Scoppio a ridere e Zurki me ne chiede la ragione, gli spiego che non capita tutti i giorni che sia il taxista ad invitare a pranzo il cliente e si mette a ridere anche lui.
A sera arrivo al terminal dell'aereoporto di Singapore, tra poche ore l'imbarco per l'Europa, per raggiungere il gate cammino tra negozi ricolmi di ogni prelibatezza, di ogni eleganza, per centinaia di metri, avanzo sui tappeti scorrevoli, non me ne sono perso uno, tengo la sinistra, come un fedele suddito di Sua Maestà britannica, un sorriso prossimo alla risata, un'euforia, l'entusiasmo della libertà di costruire. Sento di aver fatto il possibile, anche se non so se riuscirò a non deludere chi mi ha detto che contava su di me, non so che cosa succederà, se la crisi sarà passeggera oppure sistemica, se siamo sul Titanic oppure su una navicella spaziale diretta verso la conoscenza dell'universo. So che, come nel Tai Chi, sarà necessario raccogliere la forza interiore per affrontare il futuro.
Noto a malapena gli schermi giganti con le interviste agli analisti di borsa, sta succedendo qualcosa, ma ho fame, la Singapore Airlines mette a disposizione un buffet pantagruelico. Ai mercati finanziari, ci penserò all'arrivo. Sicuramente non sarebbero stati sconvolti in una notte, mi rinfranco mentre assaggio le mille delizie del buffet.
Roberto Mahlab
Le fotografie dei giardini e delle Torri sono tratte dalle cartoline in vendita al Rasa Sayang Resort di Batu Ferringhi, sull'isola di Penang.