"Ogni tanto si smette di parlarne, ma la guerra continua", così ha esordito il giornalista del Corriere della Sera Massimo Alberizzi nel presentare l'incontro con Ibrahim Ahmed Ibrahim, presidente del Sudan Liberation Movement Juba Unity, il più consistente gruppo di resistenza al sanguinario regime di Omar Al Bashir, contro il quale il tribunale dell'Aja lo scorso 4 marzo ha spiccato un mandato di arresto con l'accusa di crimini contro l'umanità e crimini di guerra perpetrati contro la popolazione del Darfur.La sala Buzzati della fondazione del Corriere della Sera era gremita di fronte alle parole di quell'uomo dalla pelle nera, alto, robusto e elegante, che parlava pacatamente e chiedeva l'aiuto dell'opinione pubblica e dei paesi democratici. Il suo popolo, il popolo del Darfur, area dell'ovest del Sudan, è teatro delle aggressioni e delle stragi compiute dai jandaweed, soldataglia araba agli ordini del regime fondamentalista islamico di Khartum che circondano i villaggi, stuprano le donne, incendiano le povere abitazioni, cacciano i superstiti che devono trovare rifugio, tre milioni di essi, negli immensi campi profughi o, cinquecentomila, rifugiarsi nel Chad dove le bande dei jandaweed pure non danno loro tregua, l'obiettivo finale è la cacciata della popolazione contadina africana dall'area.
Nonostante il mandato di arresto, Al Bashir viaggia tra le capitali arabe, in Libia e in Qatar alla riunione della lega araba, paradossalmente nella stessa sala in cui sedeva come osservatore il segretario generale delle Nazioni Unite.
Il giudice Fausto Pocar, già presidente del tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia, ricorda l'opposizione al mandato di arresto espressa da un altro giudice, Sabino Cassese, secondo il quale si tratterebbe di una azione inutile e impraticabile.
Anche il giudice Pocar pare esprimere una leggera critica, afferma infatti che a suo avviso la corte internazionale avrebbe dovuto dare meno pubblicità all'azione, improbabile perchè il dittatore sudanese non darà certo istruzione alla sua polizia di eseguirla, a meno di un intervento congiunto e impositivo del consiglio di sicurezza dell'Onu.
Ibrahim Ahmed Ibrahim non ci sta. Afferma che il popolo del Darfur e il movimento di resistenza chiedono giustizia, chiede che le nazioni libere e le loro opinioni pubbliche premano sul governo di Khartum, fino a farne esplodere i dissidi interni, fino alla caduta del regime, ricorda che la situazione sta precipitando, che il progetto del dittatore è quello di esportare la crisi nei paesi vicini, Al Bashir si muove per ottenere dai governi dei paesi totalitari un sostegno che lo possa salvare, gode inoltre della particolare protezione dei regimi e dei gruppi islamici all'attacco del mondo libero. Non ha peli sulla lingua Ibrahim nel denunciare che denaro e aiuti sono veicolati dal regime sudanese a hamas e hezbollah, ricorda come al qaeda avesse una base nel Sudan. Ricorda che la guerra per rendere il Darfur islamico e per poi esportare il conflitto in Niger, Mali e Chad, è una strategia iniziata giù dal 1989, ricorda i tentativi di assassinio contro Mubarak in Egitto, sostiene che il piano del regime è quello di imporre l'islam politico al Darfur.
Subito dopo la pubblicazione del mandato di arresto, Al Bashir ha deciso la cacciata dal Darfur di 13 Ong, dedite all'aiuto umanitario alla popolazione, ragione di più, continua Ibrahim, per non trattare con un regime e un dittatore criminali che hanno la complicità di tutti i dittatori dell'Unione Africana, oltre che della lega araba. Il movimento di resistenza è deciso a rovesciare Al Bashir, a chiedere che venga effettivamente processato, a rifiutare le elezioni farsa previste per il 2010, in cui non è previsto che la rappresentanza delle diverse etnie venga correttamente pesata, è un trucco, rimarca Ibrahim, per consentire alla tirannia di non cedere il potere.
Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur, prende la parola e espone il resoconto di atrocità spaventose, lo stupro come arma di guerra, le ragazze violentate e bruciate in totale impunità dai janjaweed, i campi profughi incendiati e devastati, le incursioni fino nel Chad, la signora Napoli riferisce di fotografie in possesso dei media, ma mai pubblicate a causa della loro sconvolgente ferocia.
E la cacciata delle Ngo indica che anche la fame è divenuta un'arma di guerra, si valuta che le precarie risorse alimentari, assicurate dalle organizzazioni non governative, siano sufficienti solo fino a maggio. Per tre milioni di persone.
Ma quali sono gli intrecci internazionali che sostengono il dittatore Al Bashir? Innanzitutto, ricordano tutti i relatori, c'è la Cina affamata di petrolio di cui il Sudan è ricco, la penetrazione economico-colonialista dei cinesi in Africa data ormai da diversi anni, essi si sono riservati anche nel Sudan gli appalti per la costruzione di strade e palazzi. In un paese dove vige la legge islamica, l'alcool scorre liberamente nei locali gestiti dai cinesi. Anche per la protezione cinese, oltre a quella dei dittatori arabi e africani, Al Bashir continua impunemente la sua azione criminale.
Ibrahim Ahmed Ibrahim ripete con sofferta angoscia che il movimento rivoluzionario da lui guidato richiede giustizia, una giustizia che avrà come conseguenza la pace e la riconciliazione nella democrazia ritrovata. Richiede che la comunità internazionale agisca come fece nei confronti di Milosevich e sono parole che fanno comprendere che si tratta di una richiesta di intervento all'occidente demcratico, per fermare la politica di un islam politico, estraneo alla popolazione, che pretende di estirpare la popolazione africana dal Darfur, Ibrahim rammenta che Bin Laden è proprietario di terreni nel Sudan, un paese che ha già visto in passato il massacro dei cristiani e degli animisti da parte del regime nel sud del paese, la lotta di resistenza di John Garang ebbe vasta eco anche in occidente.
Ibrahim offre informazioni dettagliate anche sui paesi che armano Al Bashir, si tratta di Russia, Cina, Bielorussia, Ucraina. E poi la grande ombra che si sta estendendo sul mondo libero : l'Iran. Il capo della resistenza ricorda al pubblico il convoglio di letali armi iraniane diretto a Gaza distrutto poche settimane fa dagli aerei occidentali oppure israeliani, prevenendo un nuovo attacco missilistico su Israele da parte di hamas. Ibrahim fa notare che non solo nel Pakistan si addestrano i terroristi islamici, ma che anche il Sudan è divenuto una loro base operativa e una riserva di rifornimenti finanziari ai gruppi terroristi di tutto il mondo.
In sala scoppia la polemica, quanto sta dicendo il capo del movimento di resistenza è evidente, le colpe sono chiare, alcuni interventi del pubblico si industriano a spostare le responsabilità sugli Stati Uniti, è ovvio che Ibrahim, con le sue parole precise e fondate, ha toccato un punto che rende nervosi i sostenitori delle colpe dell'occidente e degli Stati Uniti in particolare. Alcune voci in sala e sul palco dei relatori invocano addirittura il tribunale penale per l'ex presidente americano Bush, Guantanamo viene paragonata dagli ideologi allo sterminio del popolo del Darfur.
Dai relatori intanto si ricorda che Emergency non è stata cacciata dal regime, mentre le altre 13 Ong sono state espulse, c'è chi difende Emergency proponendo che la costruzione di un ospedale vale bene il compromesso con il regime. C'è chi insiste che le Ong cacciate in fondo lo sono state perchè hanno contribuito a raccogliere le prove che poi hanno condotto il tribunale dell'Aja a chiedere il mandato di arresto di Al Bashir per crimini contro l'umanità e dunque la loro cacciata è un atto di rappresaglia e di punizione.
Non vi nego che ascoltando parole che equiparavano le vittime agli aguzzini, ho avuto un moto di sgomento, un moto di sgomento al quale altri presenti tra il pubblico hanno dato voce.
Ma alta e squillante si è alzata la voce di Ibrahim Ahmed Ibrahim :"La radice della crisi è la dittatura, non confondete le radici con le conseguenze" e poi, a chi proponeva che l'occidente chiedesse la "mediazione" del regime libico di Gheddafi :"l'immigrazione clandestina che investe le democrazie è causata dai dittatori".
Semplici verità, inusuali, pronunciate da un combattente per la libertà con chiarezza e limpidezza, parole che hanno equilibrato altre parole che parevano giustificare un mondo alla rovescia.
Un ulteriore vivace dibattito proposto dal pubblico, gli interessi economici anche dei paesi occidentali nel Sudan : nonostante l'embargo, il Sudan esporta tranquillamente in occidente la gomma arabica, ingrediente del chewing gum e della Coca Cola. Nonostante l'embargo, il precedente governo italiano, dati i notevoli interessi economici del nostro paese in Sudan, ha accolto Al Bashir come ospite, nel 2007, unico tra i paesi occidentali, i relatori ricordano come anche il gruppo legato al settimanale "L'Espresso" abbia avuto interessi in Sudan.
Di nuovo Ibrahim Ahmed Ibrahim esprime il suo disaccordo, prima di tutto non contesta i legami economici dell'occidente e poi ribatte, a chi critica le organizzazione umanitarie che hanno denunciato le azioni criminali del regime di Al Bashir e dei jandaweed, che i testimoni hanno l'obbligo morale di denunciare, ha rimarcato che i testimoni di atti criminosi non sono spie, ha di nuovo sottolineato che non si deve dimenticare la differenza tra vittime e aguzzini.
Ad una precisa domanda da parte del pubblico su un eventuale intervento militare nel conflitto, Ibrahin ricorda diplomaticamente che ci sono già nella zona trentamila uomini dell'Unione Africana, ma essi sono lì per tentare di proteggere la popolazione, così come è stata istituita una "no fly" zone per impedire che i caccia sudanesi continuino gli attachi aerei contro i profughi del Darfur.
Ripete la richiesta dell'applicazione del mandato di cattura contro Al bashir, ripete che mai la resistenza si siederà a discutere con il sanguinario tiranno, l'unica via di uscita è la richiesta che venga fatta giustizia.
La drammatica serata non finisce qui, l'assistente di Ibrahim, che ha tradotto le parole del comandante della resistenza dall'arabo, sottolinea il suo timore che, come avvenne per il Ruanda, il mondo occidentale ammetta solo dopo anni che nel Darfur si è trattato di un genocidio.