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 Il violino di San Leonetto
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Roberto Mahlab
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I

Aprì con cura la custodia, ne trasse con cautela il violino, se lo mise sulla spalla sinistra, raccolse l'archetto con la destra e lo appoggiò sulle corde. L'erba del giardinetto rettangolare era del colore verde della primavera e il profumo del primo taglio gli saziò le narici, la piazzetta spezzava i caseggiati del Greenwich Village tutto attorno e il venticello fresco gli fece quasi dimenticare di essere in mezzo a New York.
C'era un unico albero su uno dei bordi del prato, un ramo ancora spoglio e teso lateralmente, due scoiattoli correvano dal ramo al tronco indaffarati al risveglio della nuova stagione. Uno di essi si paralizzò, il musetto fremente, una ghianda tra le zampette, gli orecchi tesi a captare le prime note che vibrarono nell'aria. L'altro scese fino a terra e alzò gli occhietti verso il musicista.
Simon Greenberg non aspettava altra ispirazione e suonò per loro, come faceva da alcune settimane, aveva scoperto quel luogo con sorpresa e, a quell'ora di tarda mattinata, non c'era mai anima viva in giro.
Quella melodia gli era venuta in mente una sera d'inverno in cui camminava senza meta sulla superficie ghiacciata ricoperta di neve del laghetto di montagna del Montana, ci era andato con Liv, avevano affittato un cottage per il fine settimana.
Il pomeriggio erano stati invitati a prendere un thè dalla proprietaria e al tavolo apparecchiato sotto il portico si era seduto il figlio più piccolo della donna. Mentre lei si alzava per preparare dell’altro dolce alle mele, il sole era calato e con esso una grande pace nell’animo di Simon, il suo sguardo si volse verso Liv e poi verso il bambino e sorrise, era quella la vita che voleva, una famiglia seduta insieme nella serenità. Liv si accorse dello sguardo sognante di Simon e si fece pensosa, evidentemente non del tutto convinta dell’entusiasmo di lui. Simon era iscritto alla facoltà di architettura di New York ed era primo del suo corso e già era stato segnalato ad un importante studio della città. Liv studiava giornalismo e non vedeva l’ora di trovare un incarico che la mandasse in giro per il mondo.

Il mattino successivo Liv se ne era andata, lasciando sul cuscino un biglietto d’addio con le parole :”ti amo troppo Simon”. Simon si accorse di essere contemporaneamente disperato e felice e, pur con il cuore gonfio di rimpianto, prese a camminare per quel sentiero ghiacciato, canticchiando soprapensiero un motivetto che poco a poco prese forma e ritmo. Il giorno dopo, al risveglio dopo un sonno pesantissimo, si stupì di ricordarselo ancora e iniziò a suonarlo con il suo inseparabile violino, con il sottofondo dell'isolato paesaggio invernale le note si alzarono parallele al vento, salivano allegre e poi ricadevano gravi, al levar del sole l'arpeggio ricordava carovane nel deserto, i cinguettii degli uccellini tra i pini si trasformarono in richiami tzigani. Sentì che si stavano mescolando il passato della sua famiglia proveniente dall'Europa centrale e il presente in America.

Simon teneva gli occhi chiusi mentre l'archetto scivolava magistralmente sulle corde del violino, l'intero corpo avvolto dalla magia di quella musica, era talmente concentrato che a fatica le orecchie avvertirono una seconda presenza musicale, dapprima faticosa, poi sempre più fluida, fino a che i due suoni si armonizzarono. Si sorprese a pensare di essere finito in un sogno, il suo pezzo non gli era mai parso così bello, certo il suo violino era di una delle marche più costose, il negoziante che glielo aveva venduto insisteva che fosse stato prodotto in Italia, disse che c'era un artigiano a San Leonetto, sugli Appennini nel centro del paese mediterraneo. "Ma un violino non è uno strumento a fiato!", Simon si arrestò all'improvviso e si voltò, di fronte a lui un uomo gigantesco, dalla pelle nera, stava arpeggiando con un clarinetto, si era appropriato benissimo della melodia, Simon era ammirato dalla bravura dell'uomo. Che quando si rese conto di stare suonando da solo, smise pure lui, lo sguardo non riusciva a sostenere quello di Simon, tentò di nascondere nervosamente il clarinetto dietro la schiena. Simon gli si avvicinò, :"sei grande amico!", esclamò con convinzione. L'uomo sorrise timidamente, si asciugò la mano sulla camicia e la stese verso Simon, :"Ed Lewis, Lou per gli amici e complimenti per il pezzo, è stupendo, dentro c'è il giorno e c'è la notte, c'è la tristezza e c'è l'ironia, mai sentita una cosa del genere!". Simon gli strinse con calore la mano e gli rispose :"si intitola proprio Moonlight Sunshine ed era precisamente la sensazione che desideravo offrisse a chi la ascolta, ma tu l'hai completata con il tuo clarinetto".

Brindarono da Barry's alla nuova amicizia, un paio di birre seduti all'esterno ad assaporare il venticello frizzante di quel 11 maggio del 1940. Una Ford accostò al marciapiede e lo spostamento d'aria fece lievitare la prima pagina del Post che un avventore aveva abbandonato sul tavolino esterno del locale, vi campeggiava un titolo a caratteri cubitali :"I nazisti invadono la Francia, la linea Maginot sfondata in più punti".

E per diverse settimane, quando Simon, dopo l'università, andava nella piazzetta di Greenwich a suonare, Lou non mancava mai di comparire, divennero sempre più affiatati, fino a che Simon gli propose di suonare nella band che stava mettendo in piedi, avevano già la prima scrittura :"per il matrimonio di Shulim e Ava, Shulim è mio cugino, è il figlio del rabbino Goldmann, ci vediamo al 19 di Bedford Avenue, c'è un locale a due passi dal ponte di Williamsburg alle sette precise, ti và?".
Lou apparve rabbuiarsi, lasciò cadere il braccio con il clarinetto lungo il fianco, il suo volto si contorse in una smorfia e sibilò :"il figlio del rabbino... ma allora tu... sei ebreo?", e iniziò a scuotere la testa a destra e a sinistra. "Lou...", Simon era esterrefatto, il suo cuore prese a palpitare, si sentì avvampare, non sapeva neppure cosa dire e Lou continuava a scuotere la testa, ma perchè non si fermava? e la scuoteva a ritmo, dalle sue labbra usciva un mormorio, Simon, sempre più stupito, tese l'orecchio e riconobbe un gospel, Jerico. Lou si era accorto della perplessità di Simon e fece fatica a trattenersi dallo scoppiare a ridere. Simon comprese all'improvviso lo scherzo e con voce fintamente indignata gli ribattè :"e tu... aspetta aspetta... lascia che ti guardi bene... ma tu sei tutto nero!".
E nell'istante successivo Simon, che lacrimava dalle risate, si sentì sollevare in aria dalle braccia del gigante che rideva anche lui a crepapelle.

Lou era un talento naturale al clarinetto e agli strumenti a fiato, ben presto lui e Simon ricevettero più scritture di quanto tempo avesse Simon libero dallo studio, nella pagina musicale della Village Voice venne dedicato al duo un articolo entusiasta, venne loro reso il merito di aver inventato una mescolanza tra il jazz e il klezmer, l'espressione musicale degli ebrei originari dell'Europa centrale. Le note del violino di Simon raccontavano degli shtetl della Russia e della Polonia, luogo di nascita del padre del giovane, ma erano gli arpeggi a far scorrere brividi sulla pelle degli spettatori, tocchi della melodia del deserto del medio oriente che Simon aveva nel sangue da parte di madre, originaria della Turchia. Lou avvolgeva gli spartiti di Simon con volteggi lirici di jazz, non era raro che le serate si concludessero con grida di entusiasmo dalla platea. Non c'era barmitzvà nel quartiere ebraico o serata da ballo ad Haarlem che non vedesse i due musicisti invitati a suonare dagli organizzatori.

"Simon, svegliati, Simon!", Lou scavalcò il recinto del giardinetto della casa dei genitori del giovane, poi iniziò a bussare forsennatamente alla porta, "ehi Lou, ma che succede?", Simon era ancora semiaddormentato dopo la serata al Lampoon's e un paio d'ore sui libri. "Simon!, i giapponesi, ci hanno attaccato!". Era il sette dicembre 1941.

"Lou, svegliati, Lou!", Simon gridava da sotto la finestra dell'amico, fino a che Lou si affacciò facendogli segno con il dito sulla bocca e bisbigliando :"Simon, così sveglierai mia madre!, adesso scendo". "Lou, non ci crederai, ieri sera a sentirci al matrimonio dei Solomon c'erano Benny Goodman e George Gershwin, hanno chiesto a mio padre di dirci di andarli a trovare!". Lou abbracciò l'amico e lo sollevò in aria, "Lou, mettimi giù, mi soffochi", rise Simon e poi aggiunse con tono più triste :"ho detto a mio padre che ci saresti andato". Rimasero in silenzio a fissarsi per qualche secondo, fu Lou a riprendere per primo :"i tuoi studi, devi scegliere Simon, so che sei bravo e ti capisco, diventerai un grande architetto". Simon gli sorrise :"e tu diventerai il più grande dei clarinettisti Lou". Era il 10 luglio 1943, le avanguardie alleate erano sbarcate in Sicilia.

§§§

Roberto Mahlab
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II

Nell'inverno del 1943 Simon e Lou furono richiamati e, dopo l'addestramento al campo militare del Vermont, furono assegnati alla quinta armata americana agli ordini del generale Mark W. Clark.
"Che devo fare di voi?", si rivolse loro il maggiore McCormik, sulla nave che portava il reggimento attraverso l'Atlantico e poi il Mediterraneo, "siete degli artisti, avete allietato gli uomini per tutto il viaggio con la vostra musica e il cielo sa se i nostri ragazzi ne avevano bisogno, per non pensare a quanto li aspetta". Era il sei giugno del 1944, gli alleati erano sbarcati in Normandia, due giorni dopo la liberazione di Roma.

"Dimmi Lou, suonavamo davvero così male?", Simon mormorava con lo sguardo rivolto al cielo azzurro della tarda estate dell'Appennino, stavano divorando del cibo in scatola seduti scomodamente su alcune grossi sassi di una radura. "Che vuoi dire Simon?", gli chiese con voce stanca Lou. "I tedeschi, i giapponesi, da quando ci siamo incontrati non hanno fatto che spararci addosso, dimmi Lou, suonavamo così male?". Simon sorrideva appena e anche Lou rimase serio :"Sai amico mio, anche se sei ebreo, io credo che non dovresti prenderti sempre sulle spalle i problemi del mondo, non ci sparano perchè suonavamo male, ci sparano e basta, perchè a loro piace sparare come a noi piace suonare e, se non li facciamo smettere di sparare, non potremo più suonare".
Simon lo fissò per lunghi attimi senza riuscire a proferire parola, mentre Lou attaccava con il cucchiaio i rimasugli della zuppa della gavetta, poi gli rispose :"Lou, nemmeno Roosvelt è mai riuscito a spiegare meglio perchè siamo in guerra".

Piovviginava quel mattino in cui erano di pattuglia, Simon non faceva che starnutire e Lou canticchiava un gospel, affannato sotto il peso dello zaino contenente la radio trasmittente. "La smetti di starnutire Simon?", gli chiese Lou, "mi rovini il canto di 'Gerico'", Lou non mancava di esercitare la bellissima voce che lo aveva reso famoso nei locali di New York neppure sotto il sudore della salita sullo sterrato dell'Appennino. "Ma ci pensi Lou?", ribattè Simon, "se noi non fossimo usciti dall'Egitto, voi che cosa cantereste?". I due amici passavano tutto il tempo ad elaborare progetti musicali che avrebbero voluto mettere in opera al ritorno dalla guerra, parlare di musica serviva loro per allontanare il pensiero dagli orrori che i loro occhi avevano registrato, i compagni feriti e caduti, gli assalti alle trincee nemiche, il fuoco dei cannoni, i ripari dalle bombe degli aerei.

Ad un tratto, tra le nubi, comparve una collina sulla cui sommità si stagliava una fortezza medievale, tutto attorno all'altura poco a poco presero forma strette stradine che si inerpicavano attorniate ai lati da casette di pietra e mattoni e costruzioni di stile rinascimentale, "San Leonetto", Lou puntò un dito su un punto della sua mappa da campo. "Non è possibile", quasi gridò Simon, "è il luogo da dove proviene il mio violino" e con una mano accarezzò lo zaino che aveva a tracolla, evidentemente deformato dal contenuto dello strumento da cui non si separava mai, così come Lou non si separava mai dal suo clarinetto. Nel silenzio più assoluto di quell'ora antelucana si avvicinarono guardinghi fin verso la piazza principale al centro della quale sorgeva una cattedrale romanica. All'improvviso canto del gallo si nascosero dietro ad uno strapiombo sul ciglio della stradina, sotto di essi il precipizio verso la valle. Una porta di una casa si aprì e i due soldati puntarono i fucili in quella direzione, ne uscì una giovane, portava tra le braccia un pesante cestino coperto da un panno, pareva guardinga e osservava ai due lati del percorso che non ci fosse nessuno, poi si allontanò velocemente e scomparve dietro un pertugio della cattedrale che l'occhio nudo di un estraneo avrebbe potuto scorgere a fatica.

"Sembra un luogo senza traccia di tedeschi", bisbigliò Lou all'orecchio dell'amico, "mi piacerebbe finire sullo Star and Stripes come conquistatore del paese da cui proviene il mio violino", rispose sussurrando Simon. I due si mossero come da manuale di addestramento, uno si muoveva di pochi passi e si gettava dietro un improvvisato riparo e copriva l'altro che avanzava nello stesso modo. Senza alcun contrasto si ritrovarono a pochi passi dal pertugio sotto la cattedrale, Simon fu il primo ad udire delle voci provenire dal basso, fece segno a Lou e spinsero insieme la porta di pietra con cautela, si spostò senza alcun rumore, di fronte una scalinata a castello che scendeva nel buio, scesero con prudenza, all'ultimo gradino scorsero un luce e udirono alcune parole sussurrate in una lingua dell'Europa centrale. Lou si gettò in avanti, Simon lo seguì e si ritrovarono con le armi spianate di fronte ad un gruppo di umanità talmente assortita che rimasero a bocca aperta. Ed a bocca aperta rimasero anche la ragazza che avevano osservato in precedenza, un uomo in abiti ecclesiastici, un anziano con un cappello nero e una lunga barba bianca e una decina di bambini dallo sguardo spaventato dietro dei banchi di legno scheggiato.

Non passò un istante che uno dei bambini si chinò ed estrasse dalla tasca di una giacchetta caduta per terra un oggetto cilindrico, "ehi fermo!", gli sibilò Simon. Ma il ragazzino non mostrò di averlo ascoltato e diede una torsione all'oggetto subito dopo averlo appoggiato di punta sul banco. Contemporaneamente l'uomo dalla barba bianca esclamò :"non siete tedeschi, siete americani!". "Americani!!, la voce del prete di associò, "il Signore sia lodato!". "Gli americani!", sulle guance della donna presero a scorrere delle lacrime di commozione. Simon abbassò il fucile e si avvicinò, come ipnotizzato, al banco del bambino che lo osservava senza abbassare lo sguardo, non era una espressione di sfida, ma di infinito fatalismo, "una trottola, è la trottola di Hannukkah!", Simon si inginocchiò di fronte al bambino e gli accarezzò il capo. "Ogni volta che gli occupanti assiri entravano nelle scuole in cui i figli di Israele studiavano di nascosto la Torah, i bambini nascondevano i libri e si mettevano a giocare con le trottole...", il rabbino iniziò a mormorare. "E sui lati delle trottole c'erano le iniziali delle parole 'Un miracolo grande avvenne là'", concluse Simon, di colpo riportato indietro nella sua fanciullezza, alle lezioni della scuola ebraica a New York, un luogo e un tempo che parevano appartenere ad un altro pianeta.

"Sono Don Aldo, il parrocco di San Leonetto", si presentò il religioso e questo signore è il rabbino Donati", continuò indicando l'uomo anziano, "è sfuggito alla retata dei nazisti a Roma e da allora ha vagato per i monti, lo abbiamo raccolto che era sfinito, questi bambini vengono da diverse parti d'Europa, alcuni hanno visto i genitori portati via dai tedeschi, altri sono stati nascosti da famiglie in Francia, in Yugoslavia, in Polonia, in Grecia, salvati a stento dalla furia degli assassini con la svastica, ma ditemi, negli Stati Uniti è noto quanto sta accadendo agli ebrei in Europa?".
"Padre, lei sta parlando di retate, stragi, come se nella guerra fosse inserita una seconda guerra, contro gli ebrei", Simon era sconvolto, il volto di Lou pietrificato.
"C'è chi dice che ci siano dei campi dove gli ebrei vengono portati su vagoni piombati, anche quelli di Roma ci sono finiti e poi di loro non si ha più notizia", il rabbino prese tra le sue la mano di Simon, stringendola con disperazione.
"Io sono Maria", intervenne la giovane, "ogni mattina preparo il pane e, prima che sorga l'alba, lo porto ai bambini, tutto il paese è unito nel silenzio, odiano i tedeschi e i loro scherani fascisti, fino a ieri c'erano posti di blocco attorno a San Leonetto, poi sembra che i nazisti si siano ritirati".
"Non dobbiamo fidarci", proruppe il rabbino, "temo sia una mossa tattica, forse aspettano che gli alleati si concentrino nel paese per attaccarli, voi siete l'avanguardia?", chiese rivolgendosi ai due americani.
"Non avrebbe senso", riflettè Lou a voce alta, "attirarci su una collina ci permetterebbe di controllare la valle, avrebbe più senso che ci avessero aspettato qui per attaccarci dall'alto".
"Li ho visti lavorare nei campi attorno, scavavano e mettevano nella terra dei dispositivi...", disse Maria.
"Ma certo, hanno minato la valle!", esclamò Simon, "Lou, dobbiamo avvertire il comando del generale Clark, prima di avanzare devono bombardare a cannonate la valle attorno al paese, è una trappola!".

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Roberto Mahlab
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III

Quella notte, dopo tante settimane passate rinchiusi nel sotterraneo della cattedrale, i bambini uscirono a sgranchirsi le gambe all'esterno, Simon e Lou, dopo aver informato il comando della quinta armata del generale Clark, improvvisarono un piccolo concerto, suonarono come mai avevano suonato, le note di Moonlight Sunshine si levarono melodiose nell'aria fragrante della collina dell'Appennino italiano.
"Tutti i bambini ridono, ma quel ragazzino con la trottola rimane muto a osservarmi, che mi sa dire di lui?", Simon chiese a Don Aldo.
"Aveva con sè solo una carta d'identità ungherese sbiadita, si chiama David, non ha mai parlato, si fà intendere a gesti, penso sia lo shock per qualsosa di terribile che probabilmente ha visto accadere ai suoi genitori, ho notato che ha una particolare adorazione per lei, guarda il suo violino come fosse una reliquia, chissà, forse lo suonava, nella vita precedente", spiegò il parroco.

"Posso vederlo?", Simon sobbalzò al sussurro di Maria, comprese che si riferiva al violino e glielo porse. "Questo lo ha fatto mio padre con le sue mani", disse accarezzando lo strumento. "Suo padre è un maestro, spero che mi dia l'occasione di visitare il suo laboratorio", rispose Simon con entusiasmo. "Temo che dovrete rimandare a dopo la fine della guerra", mormorò Maria tristemente, "mio padre era un oppositore del fascismo, sono arrivate un giorno le camice nere e lo hanno portato via, ho avuto notizie che sia riuscito a scappare dalla fucilazione e si sia unito a gruppi partigiani nel nord Italia".

Più tardi i bambini furono riportati all'interno della cattedrale e Simon e Lou si sdraiarono contro una roccia, esausti, :"mio padre mi ha raccontato dei gruppi di musici ebrei, vagabondavano per i villaggi fino alla fine dell'ottocento, suonavano il klezmer alle feste e ai matrimoni, in Germania, Boemia, Moravia, Romania, Russia, Ucraina, Lituania, Ungheria, erano dei veri menestrelli, la loro musica si univa a quella degli tzigani e subiva l'influsso mediorientale dell'impero ottomano, sbarcarono in America attorno al 1880, con le ondate migratorie". "Ho notato", fu la volta di Lou, "che questa musica si sposa bene con il nostro jazz, c'è la stessa tensione, gli arpeggi instabili, la maestria dell'improvvisazione".
"E tutto questo per permettere a noi due di incontrarci al Greenwich Village", Simon scoppiò a ridere. "E di ritornare a far ascoltare all'Europa la musica", aggiunse Lou, in tono serio.

Maria stava per coricarsi, aveva già preparato l'impasto per il pane del giorno successivo, ma appena socchiuse gli occhi, sentì un tocco sulla porta, si alzò per andare a vedere, il tocco si ripetè, :"apri Maria, sono Cosimo". "Vattene, che vuoi", la voce della donna aveva un tono indignato. "Voglio che mi apri, altrimenti rivelerò il tuo piccolo segreto ai tedeschi", ribattè una voce dal tono perfido.
Maria aprì e assalì l'uomo sulla soglia :"ma che stai dicendo Cosimo? e poi che ci fai qui? non te ne eri andato con i fascisti?".
"E tu pensi che io possa averti dimenticato Maria? come potrei dimenticarmi la donna più bella d'Italia?", l'uomo le afferrò i polsi.
"Lasciami, mi fai male", protestò la giovane. "Maria, sai che ti ho sempre desiderato", il respiro di Cosimo si era fatto ansante. "Ma che dici?", e Maria lo schiaffeggiò, liberandosi. Lui la prese per la gola e la spinse contro un muro della casa :"non fare la schizzinosa con me Maria, ti ho seguita, so tutto dei piccoli trovatelli, ma se sarai carina con me...". Maria divenne di ghiaccio e fu sopraffatta dalla disperazione, fino quasi a svenire. Cosimo la stava baciando con violenza, quando all'improvviso lei lo spinse e gli disse con freddezza :"va bene Cosimo, ma non qui". L'uomo si arrestò, sorpreso, poi iniziò a ridere sguaiatamente :"e anche l'angelo di San Leonetto ha un prezzo". Maria non lo lasciò quasi terminare e gli prese una mano, trascinandolo fuori. "Ehi, dove mi porti?", Cosimo non sapeva decidersi se continuare a ridere o preoccuparsi. "Vieni e stai zitto, se vuoi avere quello che desideri", gli ribattè Maria, sempre tirandolo dietro di sè.

La colonna di carri armati Sherman si avvicinava alle pendici della collina, "riuscite ad informarvi su dove esattamente sia il campo minato?", la radio gracchiava e Simon rispose "andiamo in perlustrazione dall'altra parte e vi richiamiamo". Lou raccolse il fucile e si alzò per seguire il compagno.
Un distaccamento di panzer tedeschi intanto aveva risalito le pendici opposte, superando le mine grazie alle mappe dei genieri e si era nascosto alla periferia del paese, avrebbero dato il colpo di grazia alle truppe alleate una volta che avessero superato San Leonetto e fossero cadute nella trappola del campo minato.

Le ginocchia di Maria erano sbucciate e sanguinanti per le numerose cadute sulle pietre del viottolo che scendeva verso valle, erano avvolti dal buio e Cosimo la seguiva arrancando, fino a quando la donna si fermò, "ecco, andiamo là sotto, nessuno ci disturberà" e sparì nell'oscurità. "Maria, che scherzo è questo, dove sei andata a finire?", Cosimo tentava invano di scorgerla. "Qui sotto, supera il muretto, vieni a prendermi, Cosimo, che uomo sei? non ti sarai già tirato indietro?". Cosimo si rianimò a quelle parole di sfida, "tirarmi indietro, adesso ti faccio vedere io!", superò di un balzo il muretto e andò avanti di diversi metri. "Maria, dove sei?", la sua voce si incrinò, un brivido di paura gli scorse per la schiena. Ma Maria non rispose, era attorniato dal silenzio più assoluto. "Maria", gridò più volte.

"Achtung, halt!", la voce del soldato tedesco proveniva dal boschetto distante un centinaio di metri, una fotoelettrica si illuminò inquadrando Cosimo che si portò le mani agli occhi :"ehi, kameraden!", gridò e avanzò di qualche passo ancora. "Actung, halt!", ripetè con tono urgente il tedesco che tolse la sicura e sparò. Cosimo ebbe la fortuna di morire a causa del proiettile che gli perforò il cuore, appena prima di posare un piede su una mina che esplose con un rombo assordante.

"A terra!", Simon gridò a Lou che subito eseguì, dopo pochi secondi la loro radio informò il comando della quinta armata sulla posizione esatta del campo minato. Le torrette dei carri americani si rivolsero in quella direzione e aprirono il fuoco e le mine esplosero con una reazione a catena. I panzer tedeschi uscirono allo scoperto, ma era troppo tardi, l'effetto sorpresa era svanito, le pattuglie americane avevano risalito in fretta la stradina verso San Leonetto e bersagliarono i carri nemici con i bazooka.

Maria correva con il fiato in gola, i vestiti ridotti a stracci, le gambe graffiate, il viso annerito dalla polvere e dal fumo delle esplosioni, piombò nella piazzetta della cattedrale, finì letteralmente addosso a Lou con tale slancio che il gigante perse l'equilibrio :"i tedeschi, la fanteria risale il sentiero verso il paese", al sibilo dei primi proiettili Simon la prese per le spalle e la gettò a terra dietro il muretto, i due americani si misero al riparo anch'essi e risposero al fuoco dei reparti tedeschi, alcuni nemici caddero, gli altri si ritirarono di qualche metro dietro le case, i colpi di mortaio si avvicinavano alla cattedrale, fino a che centrarono in pieno la porticina del sotterraneo che si ridusse in pezzi, dopo pochi istanti vi si affacciarono Don Aldo e il rabbino e i tedeschi diressero i colpi verso di essi, Simon e Lou si levarono in piedi e si scagliarono verso la linea nemica, costringendo i tedeschi ad abbassarsi e a cessare di sparare, :"presto, uscite di corsa e venite dietro il muretto", gridò Simon mentre Lou annaffiava il terreno attorno di pallottole per non consentire al nemico di contrattaccare. Il parroco e il rabbino portarono fuori i dieci bambini proteggendoli con i loro corpi, il rabbino fu colpito e cadde senza un lamento. I carri americani avevano intanto raggiunto la cima della collina e lo scontro con i panzer tedeschi infuriava. Simon e Lou, dalla loro posizione privilegiata, guidavano l'avanzata alleata attraverso la radio trasmittente. Una granata piovve vicina, poi un'altra, Simon si sentì scagliato in aria e poi precipitò a terra.
Lou corse al suo fianco e gli tenne sollevata la testa :"Simon, dai non è nulla, stringi i denti, stanno arrivando i soccorsi, Simon!".

Simon si sentiva su una nuvola, di fronte ai suoi occhi passavano le immagini di New York, dei suoi amati libri di architettura e poi il volto di Liv. "Liv", bisbigliò, il sudore che gli calava dalla fronte e dall'intero corpo, non riusciva a muoversi, in particolare la gamba sinistra, svenne più volte. La battaglia durò per altri venti minuti, poi la superiorità numerica degli americani ebbe la meglio sui tedeschi, i loro panzer in fiamme, i soldati che si arrendevano, Lou osservava il paesaggio attorno con orrore, i tetti delle case sfondati, ovunque macerie, civili feriti. Poi udì vicino un suono di violino, si volse, David aveva raccolto lo zaino di Simon e ne aveva estratto lo strumento e stava suonando Moonlight Sunshine, prima con mosse timide, poi con sempre maggiore maestria, Simon aprì gli occhi e li volse verso il ragazzo che continuò a suonare fino a che arrivarono i barellieri.

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Roberto Mahlab
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IV

New York, Greenwich Village, aprile 1946

"Ce la faccio da solo, guarda che sono quasi tutto intero Lou", Simon cercava di svincolarsi dal saldo abbraccio del gigantesco amico, "il medico ti ha detto che per i primi giorni fuori con quella protesi qualcuno ti deve dare una mano", Lou non cedette fino a che si furono seduti su una panchina. "E ti voglio in perfetta forma la settimana prossima, non farmi fare brutte figure, che me ne faccio di un testimone di nozze che non si regge in piedi, Irma non ce la farebbe passare liscia!". Entrambi risero di cuore, Lou aveva incontrato Irma durante una serata in un locale jazz, ormai era lanciato come clarinettista e Irma stava scalando le hit parade come cantante soul. Simon aveva terminato gli studi e si era laureato a pieni voti ed era stato subito assunto dal più prestigioso studio di architettura di New York. Più volte aveva confidato all'amico di provare nostalgia per Liv e che il suo maggiore desiderio era poter adottare il piccolo David, aveva già fatto domanda presso le autorità che si occupavano dei profughi di guerra.

Quella sera Lou accompagnò Simon nella libreria Barnes&Nobles, una vera e propria mecca per qualsiasi testo fosse stato stampato sulla faccia della terra, Simon cercava un particolare volume di studi geometrici, una piccola folla era radunata vicino all'ingresso, un cartellone informava che la nota giornalista Liv Roth firmava la dedica al suo nuovo libro sull'epopea di una famiglia americana che aveva creato un ospedale nelle Filippine e, dopo l'invasione giapponese, era riuscita a fuggire e a raggiungere le linee alleate, fino al momento della vittoria e del recupero dell'ospedale.
Quando la vide, Simon provò un tuffo al cuore e gli cedette la gamba sana e Lou fece appena in tempo a sostenerlo. "Ehi, forza, vai a salutarla, è un'occasione", Lou tentò di scuotere l'amico. "No Lou, non se ne farebbe nulla di quello che è rimasto di me, guarda la sua bellezza, può avere di molto meglio". "D'accordo Simon, non starò a discutere con te, se questa è la tua decisione, ma allora comportati almeno da suo amico, da suo ammiratore, insomma, almeno la ricorderai senza affliggerti". E, dato che Simon pareva non volerlo ascoltare, aggiunse :"ma guarda, sconfiggi una divisione di nazisti e diventi una mammoletta di fronte ad una donna!". E, come al solito, Simon non potè trattenersi dal ridere alla battura dell'amico.

"Ehi, ragazzino, vieni un momento qui!", Simon chiamò un adolescente che bighellonava attorno, :"eccoti dieci dollari, vai a comprare una rosa al chiosco all'angolo e portala alla donna che sta firmando gli autografi insieme al biglietto che adesso scriverò". Il ragazzimo annuì ma, mentre Simon traeva dalla tasca un foglio e una penna, si impadronì delle banconote e poi scappò via, lasciando Lou e Simon a bocca aperta. "E adesso?", esclamò Lou e Simon vide che l'amico era sinceramente dispiaciuto, come non l'aveva mai visto e si rese conto che stavolta toccava a lui tirarlo su di morale. "Doveva essere una rosa con un biglietto, rimane il biglietto" e scrisse :"ho pensato di mandarti un fiore, ma il messaggero si è preso il pensiero del fiore e dieci dollari. Simon.". Poi si staccò da Lou e si avvicinò alle spalle di Liv e, senza che lei lo notasse, lasciò cadere il foglietto sul tavolo dove erano accumulate le copie dei suoi libri. Poi si volse e tornò da Lou :"ecco fatto, avevi ragione, mi sento meglio, insomma, ho o non ho sconfitto una divisione di nazisti?". E, sorridendo, salirono sulla scala mobile per raggiungere il piano delle pubblicazione scientifiche.

"Dove corri Cyrus?", Liv fu quasi travolta dall'editore del New York Times quel pomeriggio, mentre tornava al giornale. "Oh scusami Liv, sono di fretta, devo andare alla clinica sulla cinquantesima", le rispose. "Qualcosa non va Cyrus?", gli chiese preoccupata Liv.
"Oh no cara, grazie, sto benissimo, solo che mi hanno informato che ci andrà anche il presidente per una onoreficenza". "E ci sarai anche tu per puro caso, vero Cyrus?", ribattè ridendo la giornalista.
"Sì Liv, si può considerare anche come hai detto, sarà un incontro casuale e per puro caso io inciamperò sul piede di una guardia del corpo e il presidente mi chiederà se tutto è a posto e io, sempre per puro caso, otterrò una esclusiva dichiarazione di Truman sulla crisi in oriente". Liv estrasse da una tasca del soprabito il biglietto di Simon, gli diede una nuova ennesima occhiata, poi stampò un bacio sulla fronte dell'editore e si precipitò fuori.
"Ma che ho detto da meritarmi tanto?", mormorò l'esterrefatto editore del New York Times.

Il ricevimento per il fidanzamento di Ruth Edelberger e di Max Epstein ospitava la crema della buona società della città, Lou e Simon avevano rinnovato il loro sodalizio e quel pomeriggio avevano suonato magistralmente per gli ospiti, Simon si era avvicinato zoppicando e con l'aiuto del bastone al tavolo dei rinfreschi e si fece versare dal cameriere dello champagne. Mentre si voltava fu urtato e metà del liquido a bollicine finì sul pavimento, :"oh mi scusi...", una voce di donna lo fece sobbalzare. "Liv...", mormorò sorpreso. "Simon!", fu la volta di Liv a mostrarsi meravigliata, fu la prima a riprendersi e continuò :"sai, una reporter non si poteva certo lasciar scappare una occasione per orecchiare i bisbigli dei politici presenti, ci potrebbe scappare un pulitzer!". "Ho seguito la tua fama, ho anche comprato il tuo libro", le disse Simon, arrossendo.
"Ma che combinazione... voglio dire... ritrovarci qui, così... ma dimmi Simon, che fai di bello, sono curiosa, per esempio domani, che fai domani?". "Domani ci sono i quarti di finale del campionato di basket", le rispose lui con tono di qualcuno che dice l'ovvio.
"E come hai fatto a trovare il biglietto, in redazione io conosco chi ucciderebbe per trovare un biglietto, mi hanno detto che sono andati esauriti", celiò Liv, cercando di ravvivare il dialogo. "Ci vuoi venire?", le chiese Simon. "E come potrei Simon? Senza biglietto, non dirmi che hai un biglietto per me!", anche Liv era arrossita, sentiva il suo cuore battere velocemente. "Sì che ho il biglietto per te, eccolo" ed estrasse dalla tasca due biglietti. Liv rimase sbigottita :"è tua abitudine comprare due biglietti dovunque tu vada?", gli chiese. "Sì, ecco qui" e trasse dalla tasca un serie di biglietti per diversi spettacoli teatrali e sportivi a cui si era recato da quando era tornato da oltremare. "Che cosa sono quei biglietti Simon...", Liv gli aveva preso una mano tra le sue, accarezzandola dolcemente. "Ho acquistato sempre due biglietti, dovunque andassi, uno per me e uno per te", il tono di Simon era rassegnato e i suoi occhi guardavano verso terra.

Due mesi dopo Liv e Simon si sposarono.
Adottarono David che andò a vivere con loro in America fino a quando scelse di proseguire gli studi di ingegneria aereonautica in Israele, continuando a coltivare la sua maestria nel violino, di giorno volava, di sera suonava nell'orchestra sinfonica di Gerusalemme e ben presto la sua fama si sparse nel mondo della musica.

New York, 3 giugno 1967

"Siamo in ritardo Simon", Liv gli tirò un cuscino per costringerlo ad alzarsi, Simon rise e la osservò con gioia, il tempo non aveva scalfito la sua bellezza, "Cindy e Matthew sono già al Metropolitan", continuò Liv, alludendo ai due figli, "non stanno nella pelle di rivedere il loro adorato David, lo ammirano". Simon si asciugò una lacrima di orgoglio, ogni volta che veniva pronunciato il nome di David, si commuoveva e lui e Liv si recavano in Israele ogni volta che il rispettivo lavoro di architetto e di giornalista lo consentiva. Quella sera era una occasione speciale, David avrebbe suonato con la filarmonica di New York e nel programma era stata inserita anche Moonlight Sunshine. Sarebbero venuti Lou e Irma, dall'Italia aveva mandato un telegramma di congratulazioni Don Aldo e Maria e la famiglia erano stati invitati ed erano arrivati in città il giorno prima.

"Scaraventeremo gli ebrei in mare", la tv riproponeva gli allucinati discorsi che i leader dei paesi arabi rilasciavano alle radio del medioriente, Nasser aveva chiuso lo stretto di Tiran alla navigazione delle navi israeliane e gli eserciti di tutti gli stati confinanti stavano convergendo verso Israele. Simon impallidì e Liv lo sorresse, poi spense l'apparecchio e lo trascinò fuori dalla stanza.

"David, telefono!", un addetto al ricevimento del Metropolitan chiamò il giovane che stava provando alcuni accordi. David prese la cornetta e rimase in ascolto, poi disse :"stavolta è per davvero?". "Devi tornare entro domani", fu la lapidaria risposta.

Il teatro era esaurito in ogni ordine di posti e quando iniziò l'assolo di David che interpretava Moonlight Sunshine, un brivido percorse le centinaia di persone che lo ascoltavano, David aveva il dono di farli sentire vicini al cielo. La pagina degli spettacoli del New York Times del giorno dopo avrebbe innalzato un inno al musicista pilota dell'aereonatica israeliana, che subito dopo la fine del concerto, ebbe appena il tempo di salutare i famigliari prima di salire sul primo volo per l'aereoporto di Tel Aviv.

Penisola del Sinai, 6 giugno 1967

Il Mirage di Simon rullava sulla pista segreta del Negev, dopo pochi secondi guidava la sua squadriglia verso occidente.

Greenwich Village, 6 giugno 1967

"Fonti militari affermano che l'aviazione di Israele avrebbe distrutto al suolo l'intera forza aerea dei paesi arabi, si combatte su tutti i fronti, dal Sinai, al Golan, a Gerusalemme", Simon abbassò il volume della radiolina che aveva portato con sè e si volse verso Lou che annuì. E il violino di Simon e il clarinetto di Lou suonarono per David. Due scoiattoli correvano su un ramo sporgente e si fermarono all'improvviso, le orecchie tese a captare le prime note che si levavano nell'aria.

Roberto Mahlab

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