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 Rue Des Maitres Verriers
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luisa camponesco
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Rue Des Maitres Verriers


La Francia di fine ‘800, nella Terza repubblica, si dibatteva fra problemi politici, lotte interne di potere sopratutto dopo il suicidio del generale Boulanger. L’avventura coloniale, nonostante le sue vicissitudini coincideva con un periodo di prosperità economia e di fermenti culturali.
In questo contesto storico si sviluppa la vicenda di una ragazza venuta dalla campagna nella grande città. Una vicenda mai accaduta in una strada che non esiste, una storia d’amore come tante, ma forse con qualcosa in più.

°°°°


In quel mattino di gennaio del 1898 a Claudine Moreau la città dovette sembrare un gigante che inghiottiva cose e persone. La pioggia era cessata e sprazzi d’azzurro si intravedevano in cielo Le ruote delle carrozze schizzavano fango sui malcapitati passanti e le acque della Senna riflettevano un colore grigiastro. Per le strade non si parlava d’altro, il caso Dreyfus era esploso dividendo l’opinione pubblica fra innocentisti e colpevolisti.
Claudine non comprendeva questa agitazione, con i suoi sedici anni e la paura di affrontare l’ignoto, tremante per il freddo cercava l’indirizzo scritto su di un foglio . Claudine non sapeva leggere, ma tra le dita intirizzite stringeva un foglio di carta ormai stropicciato e consunto.
Alcuni uomini, fuori da un caffè discutevano ad alta voce, Claudine si avvicinò incerta.
- Scusate signori, sapete dirmi se è questa la strada che porta al Ospedale degli Invalidi?
La guardarono in modo altezzoso e con la mano le fecero cenno di allontanarsi. La ragazza si sentì smarrita, si strinse nelle spalle e riprese il cammino. Vagò per le strade, senza meta, camminando fra l’indifferenza dei passanti, iniziò nuovamente a piovere e si rifugiò nell’antro di un portone.
Si era addormentata o forse sognava semplicemente, ma qualcuno la chiamava con dolcezza
- Babbo sei tu?
- Mi spiace ma non sono il tuo babbo.
Lo sconosciuto la fissava, Claudine che istintivamente strinse i pugni.
- Non temere, non voglio farti del male ma sei tutta bagnata ti prenderai un malanno.
La ragazza si alzò con una certa fatica.
- Mi chiamo Albert e abito qui. Forse ti sei persa, devo chiamare qualcuno?
Claudine s’accorse di tremare poi tutto divenne buio.

La nebbia infittiva ad ogni passo. – “ Babbo, babbo aspettami! “
Le gambe pesanti come piombo, ogni passo una sofferenza, suo padre al contrario camminava speditamente, sapeva esattamente dove andare. –“ Babbo! Aiutami!” Vide suo padre girarsi verso di lei salutarla con la mano e poi sparire. Aprì la bocca per gridare ma non uscì alcun suono.


Non riconobbe nulla di ciò che la circondava, tutto le era estraneo come gli occhi che in quel momento la stavano osservando.
- Come vi sentite ? Bevete un po’ d’acqua ne avete bisogno e non cercate di alzarvi, siete ancora troppo debole.
- Ma dove mi trovo?
- Siete a casa mia, non ricordate? Sono Albert.
Claudine cercò di alzarsi ma la stanza prese a girare vorticosamente procurandole un senso di nausea.
- Vi avevo avvertito di non alzarvi.
- Da quanto tempo mi trovo qui?
- Siete qui da tre giorni, avete avuto la febbre alta, ma adesso dovete riposare.
- Io non posso, io devo andare….. tre giorni? Ho dormito per tre giorni? Impossibile!
- Eravate incosciente, in delirio avete chiamato vostro padre, siete ancora troppo debole per alzarvi, ancora giorno per il vostro bene.
- Non volevo recare tanto disturbo, avete detto che chiamavo mio padre, ho detto altre cose? – chiese Cludine arrossendo.
- No, state tranquilla non avete detto altro.
La ragazza, sollevata si lasciò andare sul cuscino e mise a fuoco ciò che la circondava.
La stanza era modesta ma pulita, oltre al letto c’era una stufa a legna che effondeva un gradevole tepore, una scrivania coperta di fogli, una tavola e quattro sedie.
- Ho dormito sul tappeto. – rassicurò Albert notando la preoccupazione aleggiare sul volto di Claudine.
Bussarono alla porta, entrò un giovane dai capelli scomposti e il volto arrossato.
- Lo hanno fatto! Hanno trasferito Picquart in Tunisia. Leggi! Il giornale si chiamava Aurore e nel centro, a caratteri cubitali riportava la scritta “J’ACCUSE” Vedrai puniranno anche Zola.
- È successo qualcosa? – Claudine era spaventata.
- Tranquilla, non agitatevi. Lui è Jean Pierre un caro amico.
- Vedo che sta meglio. – disse Jean Pierre avvicinandosi al letto. – Vi ho spaventata? Perdonatemi. Mi lascio prendere dalle notizie e non penso agli altri.
I due amici ripresero a discutere della situazione politica e del caso Dreyfus, a Claudine sembrava d’essere precipitata in un altro mondo. Completamente estranea a ciò che stava accadendo, rimpianse la sua campagna dove tutto aveva una logica e seguiva il ritmo naturale delle stagioni. Un colpe di tosse richiamò l’attenzione dei due uomini che accorsero al suo capezzale.
- Chi vi succede?
- Devo andare, ditemi solo dove si trova l’Ospedale degli Invalidi.
- Non è molto lontano da qui, vi accompagnerò io non appena starete meglio.
Claudine, che non si sentiva ancora in forze accettò, di buon grado, il consiglio di Albert.

I giorni passarono e a Claudine tornò il colorito, presto fu in grado di camminare.

- Siamo quasi arrivati! – Albert la sosteneva per un braccio ed infatti, girato l’angolo, si trovarono di fronte all’edificio grigio dell’Ospedale degli Invalidi.
Varcato l’ingresso, un odore pungente le fece lacrimare gli occhi.
- Grazie per tutto quelle che avete fatto, ma ora vado da sola.
Trepidante si diresse verso la scalinata, incontrò una donna con una cuffia bianca sul capo.
- Sto cercando mio padre, si chiama Alfonse Moreau, sa dove posso trovarlo?
- Provi in quella stanza, se non lo trova vuol dire che è morto.
Claudine rimase impietrita dalla crudezza di quelle parola, avrebbe voluto avere maggiori informazione, ma la donna si era già allontana in tutta fretta.
Percorse la stanza osservando quei volti uno ad uno.
- Cosa cerchi ragazza! – L’uomo che aveva parlato aveva i capelli bianchi e il viso smunto. Si era seduto sul letto e la guardava con curiosità.
- Sto cercando mia padre, Alfonse Moreau.
- Mmmm, Alfonse certo l’ho conosciuto, ma non è più qui.
- È forse…..
- Questo non lo so, ma di qua è uscito con le sue gambe.
- Sa dov’è andato?
- Qui nessuno fa conversazione e tantomeno dicono dove vanno.
L’uomo si coprì il volto con le coperte e non disse più nulla, Alfonse era vivo questa la cosa importante.
Uscì sollevata ma dove andare? Da quale parte dirigersi? Non aveva nessun riferimento solo la certezza che suo padre si trovava da qualche parte in quella città.
- Allora com’è andata?
Albert la raggiunse e Claudine fu lieta di vederlo
Strada facendo gli raccontò quanto era accaduto.
- Lo troveremo state tranquilla. Ma nel frattempo e se a voi sta bene potete alloggiare da me. Non avrete alcun fastidio da parte mia ve lo garantisco. Questa è una città difficile e può essere pericolosa per una giovane come voi.

Claudine iniziò un nuovo modo di vivere, Albert, mantenne la promessa lasciandole i suoi spazi e, dal canto suo la ragazza si rendeva utile mantenendo la casa pulita e cucinando.
Anche le visite quotidiane di Jean Pierre divennero una piacevole abitudine. I due amici discutevano di tutto e Claudine ascoltava ed imparava.
- Brava Claudine, continuate così e presto imparerete a leggere e scrivere meglio di noi.
La primavera portava profumi e colori diversi da quelli della campagna ma altrettanto gradevoli. La gente sedeva ai tavolini all’esterno del vicino bistro, spesso anche Albert e Jean Pierre vi sostavano ed invitavano Claudine ad unirsi a loro.
- Oggi ho venduto un quadro e offro io. – Jean Pierre dipingeva sulla strada che portava a Montmartre per lo più ritratti di passanti, era bravo ma i compratore erano sempre pochi. Albert aveva da poco iniziato a scrivere per un giornale locale ma i soldi non bastavano mai e Claudine non voleva pesare sulle spalle di Albert e così accettò con gioia la proposta fattale dal proprietario del locale di servire ai tavoli.

L’estate del 1898 vide Claudine rifiorire nell’aspetto, ora vestiva alla parigina, e correva felice lungo la Senna, inseguita da Albert così, giorno dopo giorno il loro rapporto cambiò. All’inizio se ne accorse solo Jean Pierre che diradò i suoi incontri con gli amici e divenne sempre più triste.
- Credo che Jean Perre sia ammalato, ha uno sguardo strano.
- L’ho notato anch’io ma non sarà nulla di grave, vedrai Claudine presto tornerà quello d’un tempo.
Quando si è innamorati il mondo è come la cornice d’un quadro che si guarda distrattamente perché quello che conta è il dipinto. Così Claudine e Albert vivevano le loro giornate, in attesa della sera quando finalmente potevano stare insieme in quella stanza sotto i tetti, al lume delle candele, e passò l’autunno e venne l’inverno.
La legna crepitava nella stufa mamdamdo un piacevole calore.
- Questo pezzo è il migliore che ho scritto fin’ora, un giorno la mia firma potrebbe apparire sul “le Figaro” che ne dici Claudine? Ma cosa c’è, come mai sei silenziosa?
- Sono preoccupata, è parecchio che Jean Pierre non si fa vedere.
- Domani lo andremo a cercare.
Quella notte nessuno dei due dormì, un presagio, qualcosa di oscuro stava per accadere. La felicità a volte si paga e la vita presenta il conto.

Jean Pierre viveva nel quartiere degli artisti, in una grande stanza luminosa che dava su di un terrazzo. Scale strette ed anguste talmente ripide da togliere il fiato. Bussarono più volte alla porta senza ottenere risposta. Albert fece forza sulla maniglia e la porta si aprì.
Il sole filtrava dalle ante ancora chiuse, oggetti sparsi per terra, unico rumore quello di una goccia d’acqua che scendeva dal rubinetto del lavandino.
- Jean Pierre, Jean Pierre! Apri le finestre Claudine fa entrare aria.
Lo videro ai piedi del tavolo, pareva stesse dormendo.
- Cos’è quest’odore?- chiese la ragazza.
- Assenzio!
Claudine non capiva e continuava ad ispezionare la stanza.
- Dobbiamo andare Claudine,
- Perché non si sveglia? - si chinò, lo chiamò più volte.
- Fai qualcosa Albert, chiama qualcuno.
- Non c’è più nulla che possiamo fare per lui..
- Ma è nostro amico, dobbiamo aiutarlo.
Lo disse urlando, con le lacrime agli occhi .
- Credi che non lo sappia – anche Albert s’era messo a gridare, a singhiozzare. – Aspetta qui vado a cercare gente. – Uscì correndo e Claudine sedette accanto al corpo di Jean Pierre.
Pensieri cupi affollavano la sua mente, domande senza risposta, nulla aveva senso, perché proprio Jean Pierre? Uno scalpiccio per le scale segno che qualcuno stava arrivando. Entrò Albert, seguito da un uomo e una donna.
- Ce lo aspettavamo, prima o poi doveva succedere qualcosa del genere. – disse l’uomo – Da un di tempo non era più lui, se ne stava chiuso qui dentro, non mangiava e non dormiva.
- Si era innamorato di una ragazza, ma senza speranza. – soggiunse la donna, poi guardò Claudine -. Ma è lei! – lo disse con gli occhi sgranati.
- Io????
- Si guardate voi stessa! – Si diresse verso un cavalletto sul quale era appoggiato un quadro coperto da un telo che tolse immediatamente. Apparve la figura di una giovane sorridente, seduta in un prato colmo di margherite. Non c’erano dubbi quella giovane era proprio Claudine.
- Dovete andarvene adesso, qui ci pensiamo noi. Attento Albert, il vostro ultimo articolo ha dato fastidio a qualcuno di molto potente, guardatevi le spalle. – L’uomo aprì la porta e li invitò ad uscire.
Con gli occhi velati di lacrime Claudine non vide nemmeno la strada, tutto era annebbiato, come i suoi pensieri, ma quando furono in vista della loro abitazione i gendarmi piantonavano la strada e facevano domante a tutti i passanti.
- Nasconditi Claudine, cercano me. – la spinse di lato e si mise ad urlare – SONO QUI! -
- Eccolo là, fermatelo!
I gendarmi si misero all’inseguimento mentre Albert spariva in un vicolo. Claudine,, appoggiata al muro tremava, due spari la costrinsero ad allontanarsi e a confondersi tra folla. Sperò che Albert fosse riuscito nella fuga., un giorno forse si sarebbero nuovamente incontrati anche se tutto era cambiato, tutto era diverso.


Attese la sera e con il freddo pungente accelerò il passo verso casa. Dal bistro filtrava una luce, segno della presenza di alcuni avventori. Passò accanto al locale, lo sguardo attento al più piccolo movimento. Entrò nel portone e salì correndo le scale, prese fiato solamente quando chiuse la porta dietro di se. Accese una candela e si lasciò cadere sul letto, esausta.
Doveva essere, un brutto sogno al mattino si sarebbe destata con Albert al suo fianco, come sempre. Con questa speranza si addormentò

Un leggero ma insistente bussare alla porta la svegliò. Guardò subito al suo fianco ma era sola. Il chiarore del mattina rendeva visibili i contorni della stanza, le travi a vista, il tavolo, i piatti sul lavello. In punta di piedi si avvicinò alla porta e appoggiò il capo.
- Claudine, mi apritemi sono Therese, è importante.
Therese, la moglie del proprietario del bistro, due brave persone che l’avevano accolta come una figlia. Entrando le consegnò un fagotto.
- Vi ho portato qualcosa da mangiare e questa è la paga della settimana. Dovete andare via di qui, lasciare la città, stamattina stessa per il vostro bene.
- Ma io…. – balbettò Claudine.
- Voi adesso avete altre responsabilità!
La giovane si sentì avvampare e le mani scivolarono istintivamente sul ventre. Non c’era bisogno di dire altro, le donne si capiscono.
Era trascorso un anno da quando era arrivata a Parigi, e cosa aveva combinato? Non aveva trovato suo padre ed aveva sconvolto l’esistenza di due giovani .
In un così breve lasso di tempo aveva sperimentato tutte le emozioni di una vita, amicizia, amore, dolore, morte. Avrebbe lasciato lì, in Roue des Maitres Verriers, una parte di se, una parte importante e niente sarebbe stato più come prima.
Therese aveva ragione, non poteva pensare a solo a se stessa. Il denaro datole era molto più di quanto avesse meritato, questo la commosse.

Con lo scialle si coprì il capo, era un freddo mattino di gennaio proprio come un anno prima, la città sembrava immobile in attesa di chissà quali eventi, un futuro che non la riguardava, non per il momento e Claudine Moreau dopo aver dato un ultimo sguardo alla strada che non avrebbe più scordato, si diresse decisa verso sud.

Era ora di tornare, di tornare a casa.









Luisa Camponesco

   
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