ophelja
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Italy
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Inserito - 20/02/2012 : 19:03:40
Un carnevale memorabile Il Carnevale: un grosso impegno per quella piccola cittadina in riva al mare. Decine di volenterose catechiste che preparavano drappelli di bambini in balletti, scenette e quadri figurati; le sarte del laboratorio parrocchiale a inventare, cucire, rifinire, centinaia di vestiti per I piccoli attori mascherati; falegnami a prestare la loro opera per addobbarei i carri allegorici che sarebbero sfilati nella domenica in cui tutta la cittadina avrebbe ammirato il lavoro di mesi di quella incredibile pattuglia di artisti sconosciuti fino all'apoteosi del grande falò, a chiusura della festa, in cui si bruciava un enorme pupazzo di cartapesta . Quell'anno, il secondo organizzato dalla parrocchia di San Giuseppe, c'erano undici carri . Il più bello, perchè completamente addobbato di edera e festoni colorati, era quello denominato “della primavera”. Sul camioncino utilizzato per la scarrozzata fra le ali di folla in festa, era stato montato una struttura con dei gradini su cui erano sistemate le dodici bambine che avrebbero dato vita ad un balletto sulle note del valzer di Strauss “Il bel Danubio blu”. Sul gradino più alto della struttura, in una specie di nido completamente intrecciato di edera, c'era la più piccola del gruppo, una bimba di cinque anni, il cui compito era quello di fare la regina dei fiori. Il ruolo, molto ambito da tutte le bambine del balletto, era – nelle intenzioni della volenterosa coreografa – l'evocatrice della primavera e , con suo aggraziato gesto delle mani , avrebbe dovuto svegliare I fiori addormentati nel lungo inverno. La scelta era caduta sulla piccola dopo estenuanti provini di tutte le ballerine in erba che avevano tramutato quel gesto di ineffabile grazia in un irruento saluto fascista e che pertanto erano state irrimediabilmente scartate per l'ambito ruolo. Le bambine erano vestite da fiori e precisamente rose, margherite e garofani. Le rose: vestitino di organza rosa, sulla cui gonna, doppiata da tulle rosa, spuntavano tralci di rose in carta velina . Dalle spalle partivano ali di tulle che finivano raccolte con un nastrino ai polsi delle bambine. Un cappellino da fatina e un arco di fiori da tenere in mano completavano il costume. Tutto bello, tutto graziosissimo, ma qualche problema c'era stato. Il più importante riguardava la stagione fredda. Anche se il carro inneggiava alla primavera, si era pur sempre in febbraio e bisognava evitare che durante il lungo giro per il paese e l'esibizione sul palco quelle piccole bimbette non rimanessero assiderate. Quindi via ad indossare pesanti maglie di lana sotto quei deliziosi abitini ma per le calze - in tempi in cui i collant erano un'invenzione da venire – il problema restava tutto. Pensa e ripensa, le organizzatrici interpellarono quanti a quei tempi erano studenti nella “capitale” per cercare calze coprenti per quelle tenere gambette. Finalmente, una delle studentesse, dopo tanto girare nelle mercerie di Roma, tornò con un intero stock di calze di cotone bianche, rimasuglio di tempi passati, quando le calze si portavano sopra al ginocchio, con un largo elastico rigirato al bordo superiore. “Bene” pensarono le coreografe, ad un primo sguardo. “Ma come le teniamo su? Con gli elastici?” Impossibile a farsi. Dodici bambine in movimento su un palco, no, non era possibile. “Cuciamole alle loro mutandine” suggerì l'antesignana della Golden Lady. Detto e fatto, dodici mutande dodici, divennero una specie di collant per evitare cistiti e raffreddori. Per la più piccola non ci furono problemi. La lunghezza delle sue gambette era giusta per la misura di quelle calze appena sopra al ginocchio di una donna di normale altezza. Per tutte le altre bambine con gambe più lunghe e sempre in movimento la poca elasticità del cotone divenne un tirante che impercettibilmente, ma con ineluttabilità, tendeva a ripristinare l'originaria lunghezza delle calze a scapito delle mutandine. Finchè le ragazzine rimasero appollaiate sui trespoli del carro allegorico, tutto sembrò andar bene ma quando salirono sul palco per esibirsi nell'armoniosa coreografia, il successo delle artiste in erba – e mai aggettivo fu più appropriato! - fu inficiato dal verde delle fresche frasche che aveva colorato le loro graziose mutandine e, per somma disgrazia, dai loro goffi tentativi di risistemarsi quelle benedette mutande che , sempre a suon di valzer, volevano ritornare alla loro inaturale lunghezza. Per fortuna non si era al Bolscioi e il contrasto fra la soavità della danza e la comicità involontaria di quei gesti di riassetto, resero ancor più divertente un carnevale memorabile.
Ophelja
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