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 "Che fine hanno fatto gli antichi egizi?"/2
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Roberto Mahlab
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Inserito - 14/03/2012 :  20:03:47  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab

Ringraziamo il signor Filippo Sammarco, la signora Isabella Bonfichi, la signora Lucia Caglioni e Don Luigi Airoldi che ci hanno invitato il 13 marzo 2012 al Centro Socio-Religioso del Quartiere Campagnola a Bergamo a ripetere la nostra conferenza dal titolo "Che fine hanno fatto gli antichi Egizi".

Siamo partiti ripercorrendo gli argomenti della prima conferenza
"Che fine hanno fatto gli antichi egizi?", tenuta a Milano, il 22 settembre 2012 e abbiamo proseguito con gli aggiornamenti da allora fino alla data odierna di quanto accade in quella parte del mondo e della situazione della comunità copta.

Segue la relazione dettagliata sugli aggiornamenti del secondo incontro di Bergamo.


Roberto Mahlab
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Inserito - 14/03/2012 :  20:06:04  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Aggiornamento dal 22 settembre 2011

Durante la rivoluzione, le vittime furono opera dell'intervento dei gruppi armati irregolari assoldati dal regime e che rispondevano agli ordini del ministero dell'interno che non fece altro che aprire le porte delle carceri per indurre la popolazione a pensare che non ci fosse più sicurezza a causa delle azioni dei fuorilegge, quando in realtà le bande repressive erano organizzate dal ministero stesso. L'esercito invece fece credere di essere al fianco del popolo ma, appena un mese dopo la caduta di Mubarak e cioè alla fine della primavera del 2011, gettò la maschera incaricandosi in prima persona della persecuzione violenta di tutti i movimenti liberali e rivoluzionari, nelle prime file dei quali militavano i copti. Di fatto si stava creando una saldatura tra le ambizioni di potere assoluto da parte dell'esercito e i partiti legati all'integralismo islamico. E' da notare che si è ripetuta la storia passata di quando Sadat si alleò ai fratelli musulmani dando loro il via libera per l'eliminazione della presenza copta, prezzo che i fratelli musulmani richiedevano per appoggiare Sadat contro i nasseriani. Ai giorni nostri, come pericolo mortale per il regime, ai copti si sono aggiunti i liberali musulmani e così l'esercito ha dato il via libera ai partiti integralisti islamici per riprendere a perseguitare i copti, con l'aggiunta dei liberali, quale prezzo da pagare per non avere il loro potere messo in discussione dai partiti islamici. L'esercito quindi adotta sempre il sistema di usare e mettere l'una contro l'altra le diverse anime del paese per mantenersi al potere.

Ai primi di ottobre la situazione subisce una modifica sostanziale perché l'esercito entra di persona nella persecuzione.
Tutto ha inizio ad Assuan, una città del sud dell'Egitto, dove scoppia uno scontro tra musulmani e cristiani sulla richiesta del restauro di una chiesa, lo scontro degenerò e i musulmani incendiarono la chiesa e uccisero alcuni copti. I copti, come già avvenne dopo la strage di Alessandria dell'inizio del 2011, non ascoltarono più gli inviti a mantenere la calma da parte delle autorità religiose cristiane e scesero nelle strade, in piazza Maspero al Cairo, proprio davanti alla tv di stato. L'esercito non aspettava altra occasione e ordina ai mezzi blindati di caricare ed investire i manifestanti e questo confermò nei copti l'idea che l'esercito stesso non fosse altro che il braccio armato degli integralisti islamici. I caduti tra i pacifici civili copti furono più di venticinque persone, senza contare i corpi scomparsi poi ritrovati nel Nilo. La televisione di stato, complice dell'esercito, fece appello ai musulmani di scendere in piazza per difendere i soldati dagli infedeli cristiani che li "stavano massacrando", la disinformazione totale. A questo punto esplose la protesta di tutto il paese contro la giunta militare. Anche i partiti integralisti parvero voler partecipare alle proteste e infatti scesero in piazza pure loro ma, a differenza di quanto accadde durante la prima rivoluzione della primavera, i movimenti liberali li cacciarono dalle loro fila.

Nei fatti, si erano formati tre fronti, quello dell'esercito disposto a tutto per mantenere il potere soprattutto economico e di appropriazione degli aiuti finanziari esteri, in gran parte americani, quello degli integralisti costretti dalle circostanze sia a correre da soli, sia ad allearsi tatticamente con l'esercito e quello dei liberali, composti dalla minoranza copta e dai liberali musulmani.

I giovani e i liberali, più che lo slogan “l'islam è la soluzione”, vogliono lavoro e vita migliore e un paese laico. Le autorità speravano che i protestatari si stancassero e andassero a casa, ma non è avvenuto. I dimostranti adesso chiedono che Tantawi, il generale capo della giunta militare, se ne vada e si continuano a contare i morti negli scontri tra i manifestanti e la polizia e l'esercito. I copti sono al fianco di chi scende in piazza perché ormai ritengono che la situazione continuerà a peggiorare, perché continuano a non avere interlocutori.

Con questo equilibrio delle forze, si arriva alla fine del 2011, quando si svolgono le prime elezioni libere dal punto di vista dell'opinione internazionale, anche se dall'interno del paese risultava chiara l'alleanza tra fratelli musulmani e la giunta militare con la falsificazione di parte dei voti. Da notare che nei seggi nei quali potevano votare gli egiziani residenti all'estero e quindi meno soggetti ai brogli, vinse ampiamente con il sessanta percento la coalizione liberale. In Egitto invece i risultati, con il 54 percento di elettori andati alle urne, diedero la maggioranza assoluta in parlamento ai partiti islamici con il 45 percento ai fratelli musulmani e il 25 percento ai salafiti.

Curiosa una scena che si è svolta in una delle sedute del nuovo parlamento in cui un deputato salafita si alzò e gridò il richiamo alla preghiera, cosa che si fa solo nelle moschee e non certo in un parlamento e il presidente di turno dei fratelli musulmani lo richiamò severamente. Il parlamento egiziano è indicato come "il consiglio del popolo", da quel giorno corse la battuta tra gli egiziani che chiamano il parlamento :"la moschea del popolo".

Può apparire sorprendente questo incidente tra fratelli musulmani e salafiti che, dopo tutto, rappresentano entrambi ali integraliste dello spettro politico del paese. La differenza è che i salafiti pretendono che la legge islamica venga immediatamente adottata quale unica legge del paese, mentre i fratelli musulmani si rendono conto che i tempi non sono ancora maturi.

Intanto la magistratura, soggetta all'esercito, si comporta come se il paese fosse già divenuto a legislazione islamica, tanto che addirittura il più famoso comico di fede musulmana è stato condannato a tre mesi di reclusione con l'accusa di avere oltraggiato la religione. Senza contare i procedimenti aperti contro i copti, due preti sono stati addirittura accusati di aver fomentato l'odio religioso e di possedere armi.

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Roberto Mahlab
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Inserito - 14/03/2012 :  20:07:59  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Nelle future elezioni i partiti islamici rischiano di perdere voti?

Certo, i fratelli musulmani e i salafiti hanno approfittato della povertà e dell’analfabetismo soprattutto delle zone povere e, dopo aver ottenuto la maggioranza, anche i più poveri hanno visto che le loro promesse, a un mese dalle elezioni, non sono state mantenute. Nelle proteste cominciano a comparire cartelli :”fratelli musulmani, sono pentito di avervi votato”. “Tutti sanno che i fratelli musulmani sono opportunisti”, cominciano ad accusare i dimostranti e intanto si prefigura una alleanza sul campo tra esercito e fratelli musulmani che non scendono in piazza con i liberali. E con il passare del tempo, quando il vero volto dei partiti islamici si mostrerà, è probabile che la loro tenuta elettorale si eroderà.

La giunta non controlla i finanziamenti che vengono offerti anche dall'estero ai partiti islamisti, gli unici organizzati, mentre i liberali non lo sono. I salafiti proclamano beffardamente ai media :”noi siamo la maggioranza silenziosa, loro, i liberali, non sono venuti nelle nostre strade, non hanno vissuto nei nostri villaggi, non hanno camminato nelle nostre casupole, non hanno indossato i nostri vestiti, mangiato il nostro pane, bevuto la nostra acqua inquinata, vissuto negli scarichi o provato la vita in miseria e durezza del popolo”.

I liberali insistono che il problema dell'Egitto è il lavoro, una vita migliore, ma si ritrovano tra l’incudine dei militari e il martello degli islamici di cui i fratelli musulmani rappresentano la classe media e i salafiti le classi povere.
A un anno dalla rivoluzione, chi appoggia invece la giunta militare sostiene che i giovani rivoluzionari che continuano a protestare nonostante il regime sia caduto, sono anarchici e traditori e non giovani idealisti. Invece essi sono i leaders che hanno creato l’azione che ha condotto al mutamento, sono i copti stanchi dell’oppressione, le donne stanche della misoginia. Oggi sono tutti disillusi dal cambiamento e denunciano che alla fine in Egitto rimarrà lo stato nello stato e cioé i militari al potere.

E i media indipendenti che accusano i canali di stato di falsificare i fatti, quanto sono diffusi tra la popolazione?

L’esercito è molto spaventato dal proliferare di tantissimi media indipendenti, tv libere specialmente, sulle quali si dibatte liberamente di economia e politica e situazione sociale. Il pericolo, secondo il punto di vista della giunta, è che la popolazione venga informata degli avvenimenti che si svolgono dietro le quinte del potere.

La rivoluzione è finita?

Secondo il giornalista Thomas Friedman, dopo decenni in cui il regime perseguitava i liberali, il risultato delle elezioni non deve sorprendere.
La domanda è se siamo di fronte alla fine della rivolta democratica o a una fase di inevitabile coesistenza tra militari, religiosi e liberali.
I liberali hanno ottenuto il 15 percento dei voti al parlamento e affermano che l’obiettivo è la stabilità e la rinascita economica.
Quello che è paradossale è che i liberali hanno abbattuto Mubarak, ma i generali sono ancora al potere. E sono stati i partiti islamici ad ottenere la maggioranza dei voti di una rivoluzione fatta dai liberali.

La tensione tra Stati Uniti ed Egitto

Sulla base di una vecchia legge promulgata sotto Mubarak che prevede che i finanziamenti esteri debbano essere approvati dal governo, alcuni cittadini americani, appartenenti a delle ong che operavano nel campo dei diritti umani, sono finiti sotto inchiesta e per lungo tempo è stato loro impedito di lasciare il paese, i loro computers sequestrati. Il congresso americano è disposto a continuare gli aiuti solo a patto che in Egitto ci sia una reale transizione democratica con libertà di associazione.

Dato che il vero leader è sempre Tantawi, gli osservatori si domandano se fosse stato al corrente dell’inchiesta contro gli americani. La giunta afferma che gli Stati Uniti, come diceva Mubarak, finanziano gruppi umanitari per destabilizzare l'Egitto, sembra il ritorno al passato in cui serviva dare la colpa a interferenze straniere per gli scontri di piazza. In febbraio la magistratura fa sapere di voler processare i 19 cittadini americani e i media del regime accusano gruppi finanziati dall’estero di aver dato denaro a lavoratori analfabeti per scendere nelle strade a protestare.

Il presidente Obama informa il generale Tantawi che l'Egitto sta mettendo a rischio oltre un miliardo di dollari di aiuti annuali e gli egiziani hanno risposto rilanciando con un ricatto e cioé che in tal caso metteranno in discussione il trattato di pace con Israele.

Ai primi di marzo le pressioni sulla magistatura da parte della giunta militare, timorosa di perdere gli aiuti, consentono che gli americani vengano lasciati andare dopo aver promesso di tornare per il processo e aver lasciato un deposito di 5 milioni di dollari.

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Roberto Mahlab
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Inserito - 14/03/2012 :  20:10:01  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Il passo indietro dell'Egitto

Thomas Friedman nota come la controrivoluzione sia in pieno svolgimento e che anziché dedicarsi alle richieste dei giovani e cioé a economia, scuole e università, la giunta si scaglia contro gli stranieri, la vecchia usuale carta nazionalista del regime. Le ong vengono accusate di essere al soldo della Cia e di Israele per abbattere il governo, ed ecco l'incredibile accusa ai rivoluzionari di piazza Tahrir di non aver agito di iniziativa propria.

Nulla viene deciso verso i veri nemici, povertà e analfabetismo. Nonostante infatti negli anni di Mubarak gli Usa abbiano versato 50 miliardi, ancora il 33 percento degli uomini e il 56 percento delle donne sono analfabeti.

La rivoluzione che non finisce mai?

Una consulente dell'Onu viene uccisa al Cairo, il crimine sale nelle parti della città più affluenti, durante una partita di calcio avviene una strage, è evidente l'incompetenza della gestione della legalita da perte della giunta. Le autorità fermano cittadini stranieri con l'accusa di fomentare i tumulti, la giunta grida alla cospirazione estera.

I dimostranti a Tahrir appaiono demoralizzati. Amnesty International pubblica un sondaggio tra i parlamentari che mostrano assai poco interesse per i diritti delle donne o l'uguaglianza tra donne e uomini. Gli egiziani cominiciano ad aver di nuovo paura di parlare, temono di essere ascoltati dai servizi. Il potere è tornato ai militari e i sogni dei dimostranti paiono infranti, anche se hanno assaggiato il gusto delle rivoluzione.

Si contano 800 egiziani uccisi e 22.000 deferiti alle corti militari nel solo 2011 (Human Rights Watch). Dopo le elezioni, i militari hanno rifiutato di cedere il potere fino a che a giugno 2012 si ratificherà la costituzione e sarà eletto un presidente, il loro problema è trattare con i fratelli musulmani su che cosa la costituzione dirà sul controllo civile dei militari.

Steven Cook parla di similitudini con il 1954, il Cairo in tensione, i militari che valutano i problemi politici ed economici, le opposizioni divise, i fratelli musulmani che cercano di galleggiare mettendosi d'accordo con l'esercito, le promesse di elezioni presidenziali e di costituzione : la rivoluzione dell'Egitto che non finisce mai?

Il costo di una rivoluzione

La crescita economica è debole e il debito in aumento, le riserve di valuta in calo da 26 a 10 miliardi e si teme una svalutazione in un paese che importa petrolio e cibo, gli investimenti esteri sono fermi e l'inflazione in aumento.
Prima della rivoluzione l'economia cresceva al 7 percento, ora è al due. La disoccupazione è salita dal 9 al 12 percento, quella giovanile è al 25 percento. Il turismo scende del 42 percento dagli usuali 15 milioni di visitatori.
Il governo sta trattando un prestito di tre miliardi con il fondo monetario i cui emissari sono stati ricevuti addirittura dai fratelli musulmani. Si prospetta un futuro a debito. Le richieste di pane e burro che hanno scatenato le rivolte sono ancora senza risposta per i disoccupati e i giovani. Le spese dei matrimoni da parte delle coppie si riducono di un terzo, "nessuno si sposa più dopo la rivoluzione", commenta un commerciante di auto per le cerimonie. Alcuni iniziano a maledire la rivoluzione.
Il governo cerca di vendere buoni del tesoro all'interno con tassi ormai al 16 percento, mentre le aziende sono affamante di credito. Gli egiziani evitano di versare denaro alle banche, gli enormi sussidi per l'energia, 15 miliardi l'anno, sono a rischio e un piano governativo vuole ridurli alle imprese, in previsione delle richieste del fondo monetario. "La rivoluzione è stata bella, ma nessuno ha previsto le conseguenze", dicono i tour operators locali alle piramidi, lo scontento ha preso il posto dell'euforia. Stagnazione nel mercato, inazione del governo, disordini e scioperi aggravano il senso di disperazione.

I generali offrono 1 miliardo alla banca nazionale, notizia incredibile se si pensa che si tratta di denaro pubblico che era gestito dai militari senza scrutinio alcuno.

I partiti islamici invece, hanno idea di come far ricrescere l’economia?

Mentre i fratelli musulmani appaiono meno dottrinari ma fanno fatica a decidere tra i motivi religiosi e l’apertura all’occidente, i salafiti si intestardiscono a pensare ai divieti alle donne e per gli alcolici.
Ma l'Egitto non ha il petrolio come l'Iran, se non parte una libera economia, mentre rimane la corruzione e un terzo degli egiziani è analfabeta, come si esce dallo stallo?


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Roberto Mahlab
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Inserito - 14/03/2012 :  20:12:03  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Pensiamo che una vignetta del disegnatore Chappatte sia una perfetta sintesi della situazione dell'Egitto :

I militari e i fratelli musulmani dicono ai rivoluzionari sgomenti :"noi siamo la vostra migliore difesa contro questa gente", indicandosi l'un l'altro.

Conclusioni

Quello che avviene comunemente è : le forze dell'ordine intervengono con ritardo o non intervengono affatto quando si tratta di proteggere i cristiani, i copti vengono intenzionalmente cacciati dai loro villaggi da parte degli integralisti islamici per impedire che votino per i partiti liberali, otto famiglie addirittura sono state espulse dal loro villaggio perché accusate di aver costruito una casa di accoglienza scambiata per una chiesa, una commissione parlamentare poi revoca la misura, ma come possono difendersi i copti sempre minacciati a tutti i livelli?

A fronte dello scenario che abbiamo riportato in precedenza, i copti diventano uno dei dettagli del caos che regna sotto il cielo dell'Egitto, non esiste ancora la tanto aspirata costituzione che ne sancisca l'uguaglianza, sono sempre soggetti alle condanne dei tribunali militari, sempre sottoposti alle passate vessazioni sociali e legali, a quale interlocutore si possono rivolgere o in quale istituzione avere fiducia?

Non certo l'esercito che li utilizza come pedina di scambio e neppure i fratelli musulmani che a volte si alleano con i salafiti e a volte fanno la faccia dolce in modo opportunista.
Quale differenza per essi dai tempi di Mubarak ad oggi?
Esiste la possibilità che vengano riconosciuti come cittadini del loro stesso paese, oppure non esiste speranza e saranno o stranieri in patria o costretti ad una sempre maggiore emigrazione?
La loro sorte è legata a quella dei liberali, ai quali sono a questo punto obbligati di guardare come al punto di riferimento.
La costituzione è in scrittura, le elezioni presidenziali sono ancora lontane, la giunta militare ha il potere assoluto ammantato di apparenza democratica, il parlamento è a maggioranza dei partiti islamici, i partiti liberali sono minoritari e devono per forza cercare la comprensione almeno dei fratelli musulmani. Ma se le leggi discriminatiorie contro i copti sono ancora in vigore, esisterà mai una maggioranza in grado di riformarle?
In questo momento sono solo interrogativi angoscianti che si sono sostituiti alla speranza che sortiva dalla rivoluzione: una rivoluzione a metà, una controrivoluzione, o una rivoluzione rubata? Si è sempre detto che senza l'Egitto non esiste il mondo arabo, le sorti dell'intero medio oriente saranno segnate da quanto accadrà al Cairo, ma la crisi economica e politica assume un aspetto immane e non potrà essere risolta che dal concorso di tutte le forze sociali, militari e politiche.

Oggi, purtroppo, come scrive anche Thomas Friedman, possiamo solo essere i notisti della realtà, perché non si capisce quale sarà il futuro, il caos favorisce chi sobilla per mantenere il potere, per il quale sono antagonisti l'esercito e i partiti islamici. E della situazione dei copti, a queste forze a volte conrrapposte e a volte alleate, non interessa nulla.

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Roberto Mahlab
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Inserito - 14/03/2012 :  20:13:48  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Ringraziamo le fonti :

- Associated Press
- Asia News
- International Herald Tribune/New York Times e i giornalisti e gli inviati:
Neil Macfarquhar
Sara Hamdan
David D. Kirkpatrick
Mayy El Sheikh
Thomas L. Friedman
Tim Sebastian
Liam Stack
Steven A. Cook
Anthony Shadid
Khairi Abaza
Nicholas D. Kristof
Jon B. Alterman
Moez Masoud
Matthew Ingalls
Michele Dunne
Shuja Nawaz
Steven Lee Myers


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