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 I cannoni di giugno
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Roberto Mahlab
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Inserito - 20/05/2012 :  12:15:58  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Nel libro "I cannoni di agosto", la giornalista e scrittrice e premio Pulitzer Barbara Tuchman narrò le vicende che precedettero e seguirono le mobilitazioni generali del 1914 e le battaglie della prima guerra mondiale. Anche Ken Follett, nel recente volume intitolato "La caduta dei giganti", ricostruisce in modo romanzato quelle terribiii settimane. Durante gli ultimi giorni di pace, dopo l'attentato di Sarajevo e l'ultimatum dell'Austria alla Serbia, Russia e Germania, Francia e Gran Bretagna si scambiavano richieste e minacce, speranze che le altre parti facessero dei passi indietro e intimidazioni. Una guerra che nessuno voleva, ma di cui tanti provavano fascino, un salto in acque inesplorate, "non sappiamo che cosa succederà", era la risposta corrente alla questione di come sarebbe andata a finire. Una frase emblematica nel libro di Ken Follett approfondisce come nel giorno di fine luglio in cui gli utlimatum erano partiti e i governi si riunivano per decidere le mobilitazioni generali, gli alti ranghi degli eserciti premevano sui responsabili politici per compiere i primi passi verso la guerra e tutti i governi avrebbero poi detto che non volevano la guerra, ma erano stati forzati ad entrarci. Una guerra che fu una carneficina e durò quattro anni e cambiò il volto del mondo aprendo la strada a crisi economiche e finanziarie e all'avvento di mostruose dittature che rigettarono il pianeta in nuovi incubi che si riverberano fino alla nostra vita odierna.

Ai nostri giorni, la crisi dei debiti sovrani e l'illiquidità bancaria stanno scatenando parole gravi tra i governi europei uniti dalla valuta comune, l'euro. L'unica banca centrale fatica ad intervenire sui diciassette diversi mercati monetari che compongono l'unione, perché i diciassette paesi non hanno raggiunto una politica fiscale comune e tutti si trovano a dover scegliere tra spesa e tasse, tra austerità e crescita, per non essere travolti dalla mancanza di investimento sui loro titoli di stato. La Germania, con la casa in ordine, si ritrova a pretendere che gli altri paesi rimettano in ordine la loro, pena la disgregazione dell'unione monetaria. Gli altri paesi, bloccati dall'impossibilità di avere una politica monetaria indipendente, si trovano in una spirale negativa di debito e recessione, alcuni paesi più degli altri, fino alla soglia della bancarotta e dell'impossibilità di rimborsare i titoli emessi e i prestiti effettuati dagli altri paesi europei.

La Grecia è l'apice del dramma, una voragine che poteva all'inizio essere controllata con una perdita limitata e, come per il caso della banca Lehman Brothers negli Stati Uniti che scatenò il panico bancario e la crisi del 2008, è divenuta adesso incontrollabile. Il precedente governo greco aveva indetto un referendum per avere il via libera dei cittadini ellenici riguardo alla permanenza nell'euro, le cancellerie europee lo impedirono, il governo greco cadde e fu sostituito da un esecutivo autodefinitosi "tecnico" incaricato di varare manovre economiche austere per rimborsare i crediti delle banche estere. Il risultato, nonostante le decine di miliardi di euro pompati dagli enti finanziari europei, è stato una rovinosa recessione, il taglio forzato dei crediti agli investitori privati e la povertà che si diffonde sempre di più nel paese. Il governo tecnico è caduto e le libere elezioni hanno visto la rabbia dei greci punire i partiti che lo appoggiavano e il sorgere di movimenti che propongono la rinegoziazione del memorandum di intesa per la restituzione del debito. Mentre si dimostrava impossibile formare una coalizione e venivano indette nuove elezioni per il prossimo 17 giugno, si è assistito ad un crescendo di pressioni da parte di Bruxelles e Berlino per indurre i greci a ripensarci e a votare per i partiti filoeuropei. E come alla vigilia della prima guerra mondiale, nessuno sa che cosa avverrebbe se la soglia dell'uscita dall'euro da parte della Grecia venisse superata. Gli scenari che vengono proposti variano da una uscita controllata a vere e proprie scenografie dell'orrore con il crollo dell'intera struttura europea.

I greci dovranno decidere se restituire ai partiti filomemorandum il potere di continuare a legiferare l'austerità che li sta impoverendo oppure se porgere il governo ai partiti di opposizione che propongono di rimanere nell'euro, ma di rinegoziare il memorandum di intesa per la restituzione dei debiti, risultato considerato a parole inacettabile da parte dei creditori europei. Il 17 giugno voteranno anche gli elettori francesi per il rinnovo del parlamento, dopo che le elezioni presidenziali hanno visto la sconfitta della linea di aderenza all'austerità per rimanere ancorati alla Germania e la vittoria della tesi di Hollande di una rinegoziazione del "fiscal compact", la richiesta tedesca di pareggio in bilancio, richiesta che potrebbe avere seguito solo con una tassazione ossessiva e recessiva dei cittadini. La divaricazione tra la formica Germania e il resto dei paesi cicale d'Europa è divenuta una voragine.

Gli Stati Uniti, allarmati dalla dimensione planetaria della crisi, ripetono che la soluzione si trova nelle misure per la crescita del prodotto interno lordo, ma i leader europei sono ormai divisi e la pressione delle banche per rientrare dei loro debiti si ripercuote sui crediti alle imprese che vengono centellinati, con una situazione sociale che sta divenendo simile a quella della grande depressione degli anni trenta del secolo scorso e tensioni sociali che sono al limite del punto di rottura delle coesioni nazionali.
Ma la ricetta della crescita nessuno pare averla, perché l'interesse nazionale si scontra contro il muro della costruzione europea che è divenuta una prigione, anziché la libera e ricca prateria idealizzata dai suoi creatori.

Non si comprende come si possa concepire una uscita della Grecia dall'euro e pare che non ci siano altre altrernative che attendere la scelta dei greci su quale sarà il loro governo per poterci trattare e stabilire come permettere al paese sia di onorare i propri debiti che di non morire per farlo, dunque un accordo con gli altri paesi d'Europa dovrebbe essere l'unica alternativa, ponendo fine alle intimidazioni da parte di una unione europea che ormai condiziona e sospende la democrazia.

Ai giorni nostri, continuando la similitudine con i prodromi della prima guerra mondiale, nonostante che le scelte dovrebbero essere di riconsiderare e di trattare, è possibile che i governi ricevano pressioni, anziché dai militari, da un altro esercito, da entità finanziarie per esempio, che premono per misure drastiche? Sperando che il paese si pieghi e senza avere idea di che cosa avverrebbe dopo?

Non viene analizzato che, a parte la questione finanziaria, la Grecia è il bastione mediterraneo della Nato, è interessata all'accordo firmato tra Israele e Cipro per lo sfruttamento condiviso degli immensi giacimenti di gas naturale scoperti al largo delle coste dei due paesi. In Grecia esistono diverse basi di appoggio per la marina e l'aviazione americana, l'aviazione greca e quella israeliana conducono esercitazioni comuni.
L'uscita della Grecia dalla zona euro e la possibile conseguente guerra finanziaria ad opera degli alleati europei della Nato contro il paese, come modificherà i rapporti diplomatici e militari? Come si sposterebbero gli equilibri geostrategici, specialmente se le elezioni le vincerà la coaliazione dei radicali di sinistra che vorrebbero modificare sostanzialmente le modalità di gestione della crisi? La Grecia deventerà interessata ad alleanze diverse, ad esempio con i russi o i cinesi o altre entità del Mediterraneo che certo non è un mare tranquillo?
E Cipro, la parte di Cipro greca, che fine farà dopo l'affondamento economico del paese madre? E gli appetiti della Turchia per le piattaforme energetiche non verranno aumentati dalla considerazione che le difese greche saranno divenute deboli?

La Nato rischia di perdere l'intero est del Mediterraneo.

Se la politica si trasforma in mera tecnica di aderenza a direttive centralizzate da Bruxelles e si distacca dalle necessità dei cittadini e se la finanza diventa una variabile indipendente incapace di gestire i flussi monetari, il senso originario della costituzione dell'unione europea e del'euro come tutori di democrazia e prosperità diffuse, vengono distorti. Il rischio è la creazione di un cocktail esplosivo a causa del quale la Storia del prossimo futuro assomiglierà ai "cannoni di agosto".

Roberto Mahlab


   
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