"Ma che sei venuto a fare anche oggi?", mi chiese scherzoso l'addetto al guardaroba della palestra, mentre mi porgeva la chiave del mio armadietto. "Sono a pagina 400, devo pur andare avanti", sorridendo gli mostrai il libro "Fall of giants" di Ken Follett, novecento appassionanti pagine sulla Storia romanzata del novecento. "E così invece di seguire la scheda che ti ha preparato l'istruttore, ti siedi sulla panca a leggere, vero?", ribatteva lui di rimando.
Riposi anche il libro nell'armadietto e per poco più di mezz'ora mi avventai sul tapis roulant e poi i soliti mille addominali e gli esercizi ai pesi. All'uscita il solito richiamo ironico :"non si vedono proprio i progressi nel fisico, l'ho detto io che in palestra tu ci vai a leggere".Premetti il tasto di chiamata dell'ascensore e si avvicinò la bella ragazza dai capelli rossi che frequenta la stessa palestra e mi feci da parte per permetterle di entrare per prima e lei mi osservò con uno sguardo piacevolmente sorpreso, "a che piano?", le domandai galantemente, seppur ci fosse solo un pulsante perché l'uscita era al piano superiore. Lei stette al gioco e mi rispose :"al tuo stesso piano". Il suo sguardo si appuntò sul pesante libro che tenevo sotto il braccio e notò il mio sguardo sognante al pensiero che tra poco avrei potuto proseguirne la lettura. "Grazie", mi sussurrò quando le diedi spazio per uscire per prima. Corsi all'autobus che stava partendo e mi sedetti su uno dei sedili, tolsi il segnalibro e mi tuffai nella pagina che avevo lasciato il giorno prima. Salì anche la ragazza dai capelli rossi, si sedette sul sedile vicino e mi lanciò uno sguardo di apprezzamento per il fatto che non mi ero lanciato a farle la corte con chissà quale scusa, continuando a leggere con serietà il mio libro.
L'autobus, di fermata in fermata, si riempì, e una voce preoccupata distolse la mia attenzione dalla lettura, "non funziona la macchinetta", sospirava una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri, vestita con un elegante completo composto da maglietta e pantaloni pure di colore nero, con un ipod alle orecchie, "per caso ha una penna?", mi chiese mostrando il biglietto, evidentemente voleva scriverci sopra la data e l'ora, di modo che se fosse salito un controllore, non le avrebbe dato la multa. "Purtroppo non ho con me una penna, ma non si preoccupi", la rincuorai, "sono testimone che la macchinetta obliteratrice non funziona e se per caso sale un controllore, testimonierò per lei". "Grazie", sussurrò rimanendo a bocca aperta. Riportai nuovamente i miei occhi sul libro, ma la donna frugava nela sua grande borsa e all'improvviso esclamò :"ecco, che fortuna, ho trovato una penna!" e appoggiò il biglietto sull'angolo arrotondato della sedia e cercò di scriverci sopra, un'impresa che mi resi subito conto essere improbabile. Chiusi il libro, ero esattamente a pagina quattrocentocinquanta e, dato che l'intervento era di emergenza, non pensai a inserire il segnalibro e tenni solo le dita a separare le due metà, "si appoggi sul libro", le proposi, e lei fu contenta e posò il biglietto sulla copertina, si accorse che leggevo in lingua originale e notai che lo apprezzava, si accorse di fare un poco di fatica perché i bordi erano rialzati a causa delle mie dita in mezzo al libro, premette con la penna e io non feci una piega, non avrei gridato per il dolore delle dita appiattite. "Non scrive", la sua voce mostrava panico, "aspetti, provo a vedere se la sua penna scrive sul questo foglio" ed estrassi il segnalibro, le presi con cortesia la penna e provai a scarabocchiare, ma non rimase alcun segno, perché probabilmente l'inchiosrto era finito e gliela restituii, con uno sguardo di incoraggiamento, mentre il mio pensiero vagava già alla scena del controllore spietato dalle dimensioni di Hulk che sogghignando respingeva la giustificazione della donna per la mancata stampa sul biglietto e io che mi frapponevo con sprezzo del pericolo tra lei e lui. La mia fantasia fu interrotta dal suo grido di trionfo :"ho trovato una matita", esclamò estraendola trionfalmente dalla capace borsetta.
Richiusi il libro e ci rimisi in mezzo le dita per non perdere il segno e soffrii in silenzio mentre lei appoggiava il biglietto sulla copertina per scriverci la data e l'ora, si arrestò perché non si ricordava la prima e non poteva, carica com'era, rilevare la seconda dal suo orologio da polso. Sgombrai la mente da qualsiasi altro pensiero e mi concentrai sulla sequenza temporale delle mie azioni dall'inizio dell'anno fino a quel momento e calcolai la data e l'ora corrette che riferii alla ragazza. E sul biglietto comparvero finalmente le cifre giuste. "Grazie, che gentile, carinissimo ad aver fatto tutto questo per me", il suo sguardo era adorante e non c'è come lo sguardo adorante di una donna per far dimenticare ad un uomo il dolore di avere le dita in mezzo ad un libro schiacciate dal peso di quattrocentocinquanta pagine. "A me sembra di aver fatto solo quanto era normale fare", risposi con tono deciso, come avevo ascoltato dire nell'ultimo film che ho visto dal marine alla donna incredula di essere stata salvata dalle orde dei cattivi extraterrestri.
Alla fermata successiva, la ragazza scese e dal finestrino la osservai allontanarsi con eleganza tra la folla dei passanti impegnati nelle personali vicende della vita. Riflettei che anche il nostro incontro si era svolto tra la folla sull'autobus, ma era come se per quei lunghi minuti fossimo stati soli, senza alcuno attorno, a parlarci e scambiarci gentilezze e lei si era fidata di uno sconosciuto.
Tolsi le dita dal centro del libro, le massaggiai per far riprendere la circolazione del sangue e ripresi a leggere, pensando che un giorno da qualche parte ci saremmo incontrati nuovamente e ci saremmo salutati con piacere come vecchi amici.
Hara Mati, era il suo nome, si allontanò tra la folla dei passanti, sollevata dello scampato pericolo grazie alla gentilezza di uno sconosciuto, nella grossa borsa aveva la copia dei piani di difesa dell'occidente, sottratti dalla scrivania di un ammiraglio poco accorto ad un party d'ambasciata, il suo compito era consegnarli al capo della sezione dei servizi segreti nel consolato dell'Arpagonia del Nord, era pagata profumatamente per operare per quella potenza straniera e per chiudere un occhio sulla mancanza di scrupoli della cospirazione. "Non hai avuto difficoltà vero?", le chiese l'uomo spietato e crudele che i rotocalchi descrivevano come un ingenuo vanesio tombeur des femmes senza sospettare che fosse una recita per nascondere la sua vera mansione. Hara Mati non rispose subito, la casualità avrebbe potuto mandare a monte la missione, lei che studiava i piani con ossessività fino all'utlimo dettaglio, quella macchinetta obliteratrice guasta avrebbe potuto cambiare le sorti del tenebroso gioco che stava per modificare le sorti del pianeta, se fosse salito un controllore e avesse controllato il biglietto e le avesse chiesto i documenti per farle la contravvenzione, i servizi avversari avrebbero potuto risalire a lei anche dopo un controllo fortuito agli archivi dei mezzi di trasporto. Per un attimo il suo bel viso fu attraversato dall'ombra oscura di un brivido. "Che c'è?", le domandò la spia nordarpagonese, "non ti starai rammollendo", sapeva di ferirla, ma si divertiva a comportarsi in quel modo, "nel nostro mondo è normale non avere scrupoli, mia cara Hara", e la sua risata si trasformò in un ghigno perverso.
"Normale...", sussurrò la donna, "è la seconda volta oggi che sento questo termine da due uomini, un concetto opposto di normalità, forse un giorno da qualche parte...". Poi alzò le spalle, come a togliersi di dosso un pensiero che rischiava di mettere in discussione la sicurezza necessaria per il suo lavoro.
Si scrivono tanti libri su come abbordare le donne, milioni di pagine sprecate, non c'è alcun bisogno di alcuna tecnica, le donne si innamorano di chi i libri li legge.
Roberto Mahlab
(I racconti della palestra)