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Gabriella Cuscinà
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Italy
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Inserito - 26/10/2013 :  12:07:38  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
La paura di osare, la mancanza di temperamento, l’immobilità nelle azioni, il grigiore nell’approcciarsi agli altri non è altro che indolenza. Essa è figlia della scarsa considerazione di sé e la sua migliore amica è l’insicurezza. Una donna che si vede brutta, che è a disagio con il proprio corpo cercherà in tutti i modi di passare inosservata. La seduzione sarà per lei un’arte sconosciuta.
Beatrice era caduta in uno stato d’indolenza e di apatia dopo essere stata
vittima di ripetuti tentativi di violenza sessuale da parte del suo datore di lavoro. Costui era sposato e lei non aveva mai voluto denunciarlo per non procurare la rottura di quel matrimonio.
Bea, come tutti la chiamavano, aveva capelli biondi lunghi e ondulati, un paio di occhi verdi in un visino da bambola e un corpo statuario. Svolgeva le mansioni di segretaria in un albergo di cui il suo stalker era direttore. Questi la infastidiva da diverso tempo toccandola ogni volta che poteva. Poi un giorno, l’aveva afferrata e l’aveva spinta verso la parete del suo ufficio cercando di baciarla e di alzarle la gonna. Bea si era divincolata, ma proprio in quel momento era entrata la moglie del direttore. Lui si era giustificato dicendo di essere stato sedotto e circuito da lei. La moglie gli aveva creduto e Beatrice non aveva voluto discolparsi. Naturalmente era stata licenziata e da quel momento era caduta in un tremendo stato di sconforto e di apatia. Sua madre le consigliò di cambiare città, di andare a lavorare in un albergo della Riviera. Probabilmente l’aria di mare e l’ambiente turistico l’avrebbero aiutata a uscire dallo stato d’indolenza in cui si trovava.
Nel frattempo aveva cambiato il suo aspetto per non attirare più gli sguardi degli uomini. Si era tagliata i capelli, non si truccava più, portava degli orribili occhiali e si vestiva con abiti molto larghi e sformati.
Trovò un posto di segretaria in un albergo della Costa azzurra e seppe che il direttore ne era anche il proprietario. Si chiamava Massimo ed era un tipo alto, con gli occhi grigi e dai modi bruschi e scostanti. Quando Bea fu assunta, non la degnò neppure di uno sguardo. La cosa la tranquillizzò e cominciò a lavorare con nuovo entusiasmo, sistemando tutte le pratiche che trovò in sospeso. Le diedero una stanzetta dove dormire e mangiava insieme al personale. La mattina si alzava molto presto e andava a fare un bagno nella piscina dell’albergo prima di mettersi al lavoro. Una di quelle mattine, in piscina c’era pure Massimo che stava nuotando a lunghe bracciate. In un primo tempo, Bea non si era accorta della sua presenza e si era tolta l’accappatoio rivelando un fisico da mozza fiato. Subito il direttore era uscito dall’acqua, le aveva lanciato un’occhiata sprezzante e se ne era andato.
Trascorse un anno e nel frattempo le colleghe l’avevano informata che Massimo era divorziato e che l’ex moglie era una modella bellissima che lo aveva tradito.
La divisa dell’hotel le donava moltissimo. Di color pervinca, era composta di una gonna corta e una giacca attillata. Tutto l’insieme le si confaceva in modo singolare e Bea non poteva più nascondere di essere una ragazza molto attraente. S’imbatté spesso nel direttore e ogni volta notava che la guardava di sottecchi. Poi si trovò a lavorare al suo fianco per operazioni di segreteria e di marketing. Fu chiaro che lui subiva il suo fascino e si era accorto dei modi schivi e riservati della ragazza. Continuò a essere brusco ancora per poco tempo, poi le propose di darsi del tu, fecero amicizia, si scambiarono delle gentilezze e una mattina Massimo le raccontò la propria storia: - Vedi, mia moglie si serviva del suo corpo contro di me, cioè sfruttava il piacere che ne traevo con impudenza. In altre parole mi negava o mi concedeva il sesso come una disapprovazione o come una ricompensa. Spesso mi faceva ingelosire inviando ad altri uomini segnali inconfondibili. Ci trattava tutti allo stesso modo, attori, stilisti, fotografi, sempre con quel suo linguaggio del corpo che prometteva tanti piaceri. Poi cominciò a tradirmi apertamente con questo e con quello.
- Mi dispiace Massimo - una donna non dovrebbe mai comportarsi così.
- Anche se alla fine l’ho lasciata, anche se mi sono liberato del suo fascino, giurai a me stesso che non avrei mai più permesso a una donna di trattarmi a quel modo.
- Ora capisco il tuo comportamento brusco e scostante.
- Tuttavia mi sento attratto da te, credo di essermi di nuovo innamorato, ma tento di razionalizzare questo sentimento. Quindi cercherò di essere chiaro: se anche tu mi desideri, potremo avere una relazione, ma alle mie condizioni. Cioè non potrai essere nient’altro che un’amante. Non ti farò mancare mai niente, ma sarai solo la mia amante.
Quelle parole furono per Bea, come uno schiaffo in pieno viso. Se avesse usato la parola amica, compagna, convivente, non ci avrebbe fatto caso e forse avrebbe accettato poiché anche lei era innamorata. Però sentirsi proporre di diventare una specie di mantenuta, la feriva profondamente. Ricordò di quando sua madre le raccomandava di non svendere mai il proprio corpo e la propria anima, ma di riservarli a chi li avrebbe veramente meritati. Il suo volto si era rabbuiato e aveva assunto un’espressione mesta e disincantata.
- Grazie, Massimo, ma non posso accettare. Io sono affascinata dalla tua personalità e devo confessare che anch’io mi sono innamorata di te. Non sono all’antica e non voglio fare la moralista. Solo che non mi sento pronta a diventare un’amante. Ti desidero, mi piaci moltissimo, ma continuerò a lavorare come una tua semplice dipendente.
Il ragionamento lo aveva colpito e, di certo, non se lo aspettava. Cercò di ribattere e di insistere, ma Bea fu irremovibile.
Quando nei giorni successivi, Massimo volle circuirla e provò a baciarla, lei si sottrasse con violenza e diede le dimissioni. Il direttore non voleva accettarle e allora Bea fu costretta a raccontargli la sua storia di persecuzioni e vessazioni da parte di uno stalker.
Massimo si profuse in mille scuse dicendo di non aver immaginato una cosa del genere. La pregò di non andare via giurando che l’avrebbe lasciata in pace: - Non privarmi della tua presenza, Bea, non te ne andare. Lascia che io continui a vederti e ad averti accanto a me.
- No, sarebbe peggio. Soffriremmo molto entrambi. La lontananza ci aiuterà a dimenticare.
Tornò a casa dalla madre la quale l’accolse con il solito affetto, ma non volle indagare su cosa le fosse ancora accaduto.
Bea ripiombò in un grave stato d’indolenza e di nuovo nascondeva la propria bellezza. Dopo circa due mesi trovò lavoro in un piccolo albergo e iniziò a condurre una vita triste e solitaria. Si sentiva angosciata e provava un profondo strazio nel cuore. Pensava sempre a Massimo e ogni tanto si diceva di essere stata stupida a non accettare di convivere con lui. Ormai lo facevano tutte le coppie. Ma se ricordava le parole offensive e perentorie con cui le aveva proposto di diventare la sua amante, si sentiva umiliata e messa alla stregua di quella sgualdrina della moglie.
Trascorse così un altro anno, poi una domenica mattina, mentre fuori nevicava e lei era alle prese con le faccende domestiche, suonarono alla porta. Andò ad aprire e si trovò di fronte Massimo, pallido e dimagrito. Restò con la bocca spalancata a guardarlo e non riusciva a parlare. Fu lui che disse: - Bea, posso entrare? Ti devo parlare.
Lo fece accomodare e sentiva le mani che tremavano e il cuore batterle forte nel petto.
- Non posso vivere senza di te, Bea, ci ho provato, ma non ci riesco.
Sono venuto a chiederti di diventare mia moglie. Vorrei conoscere tua madre e assicurarla che cercherò sempre di farti felice e di rispettarti.
Bea lo contemplava con gli occhi lucidi ed era commossa per quelle parole. Si gettò tra le sue braccia e il bacio che seguì fu talmente lungo che la madre, entrando, li trovò ancora avvinghiati l’uno all’altra.

Gabriella Cuscinà

   
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