zanin roberto
Senatore
Italy
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Inserito - 30/11/2014 : 15:37:31
L'ingresso all'ospedale è sempre fastidioso, una barriera psicologica non senza dolore, le vetrate sono lì a far vedere tutto, trasparenti ma non rassicuranti, entro quel mattino con un fastidioso pensiero, le analisi che devo eseguire possono evidenziare uno stato di salute precario, peggio, possono indicare patologie devastanti, con l'avanzare dell'età certo l'organismo lentamente invecchia e peggiora. Seduti appena dentro la grande sala d'ingresso alcune persone aspettano, chi armeggia con il cellulare nella frenetica richiesta di venirli a prendere, chi si legge i responsi fiduciosi che il linguaggio di casta dei dottori lasci spazio a un minimo di comprensione, chi sa già tutto e guarda perduto i giardini dalle piante ingiallite dall'autunno e che non sembra avere un programma di vita, chi semplicemente si è seduto perchè le gambe non reggono e chi sta lì, al caldo, perchè non sa dove andare. No, non conosco alcuno e non ho l'obbligo di fermarmi a salutare, cammino dritto verso i laboratori dove eseguono i prelievi del sangue. Ho il passo veloce anche se non c'è nè bisogno, ma si sa, in ospedale bisogna correre sempre, da una parte all'altra, da una porta delle cento e cento che si affacciano ai tanti corridoi, esce un'infermiera, il camice bianco ad esaltare lineamenti sensuali e il golf bianco sulle spalle che la rendono delicata e fragile, è una donna della mia età e del mio stesso paese, il nostro sguardo si incrocia, ci sorridiamo e ci scambiamo il buon giorno poi sparisce inghiottita dalle infinite vie di fuga. Mi avvicino allo sportello dove raccolgono i campioni di urina e ti danno il numero di chiamata, conosco le addette per averle già viste le ultime volte, davanti a me in fila c'è una ragazza di colore visibilmente in stato interessante, le sedie della sala d'attesa sono quasi tutte occupate, si profila una lunga mattinata d'attesa. Seduta di lato una donna di mezza età esibisce una gonna corta con calze nere, una maglietta aderente color fucsia che ben evidenzia un busto davvero eccitante, due coppie di anziani alla destra discutono animatamente sulla prassi da fare per pagare il ticket, un signore maturo ben vestito, cravatta azzurra, scarpe lucide nere, dai modi raffinati, cerca di mimettizzare il flacone contenente l'urina che deve consegnare ma che ha ancora in mano, mi giro e una voce chiama: - "signore ... venga, venga tocca a lei " - mi accorgo di colpo che una signorina ha aperto un secondo sportello prendendomi alla sprovvista. Mi stizzisco, pensando che non dovevo distrarmi, mi sto invacchendo, anche l'attesa ha i suoi ritmi, per minuti e minuti non succede niente poi improvvisamente sei sollecitato ad uno scatto, mah ... - Saluto, consegno la provetta, ricevo il tagliandino di chiamata e adesso mi sono guadagnato l'attesa ufficiale. Guardo dalla parte della bellona e scopro che stà leggendo un libro di storia antica, un romanzo di Massimo Manfredi, cerco di leggere il titolo, mi viene l'idea di scambiare qualche parola, mi dico, proprio un autore del mio "credo" ideale, ma poco dopo, si alza e se ne va ... peccato ! Guardo l'orologio e sono le 8,15 stimo che ci vorrà almeno una mezz'ora, dunque ho il numero 130 e siamo al 118 ma ci sono tre postazioni prelievo, forse sarà più veloce l'attesa. Un ragazzo entra veloce nel corridoio, freme, si catapulta dentro il tunnel che porta alla sezione medicina nucleare, poco dopo riesce, gira a gomito sulla destra e prosegue verso la radiologia, ricompare ancora dal fondo alla ricerca frenetica di chissà cosa, si ferma, gira la testa tutt'intorno, squadra le persone li vicine poi mi fissa e chiede; - " Mi scusi. ma la cassa per pagare i tickets dove si trova ? " - " Torni indietro, all'inizio del corridoio sulla destra c'è il corridoio con le casse ! " - gli rispondo mettendo in evidenza la sua esagerata sicurezza caduta in sconforto e ponzata. Il tabellone digitale segna il numero 125, "bene" mi dico, sono a metà dell'attesa, leggermente sfessato, un medico con il camice bianco e il colletto alzato sul collo, come un ribelle all'università, passa solenne, con il passo cadenzato, le lunga braccia che mi suggeriscono l'appartenenza alla traumatologia o alla ortopedia e ai piedi gli zoccoli che usano i sanitari, di colore verde. Mi chiedo dove sia finito l'odore che sentivo da bambino quando entravo in ospedale, classico di etere etilico, mi convinco che adesso non lo usano più, adesso al massimo puoi percepire qualche flebile tono di cloro, ipoclorito, o anche di jodio ma ormai gli ambienti sono neutri. Mi siedo, osservo ancora il via vai di umanità che arriva, che se va, di chi è serio e preoccupato o di chi con i fiori probabilmente va in ostetricia a fare gli auguri alle novelle mamme, di chi con gli occhi lucidi e secchi per il copioso pianto si allontana sconfitto dalla perdita di un caro, di un amico, o di chi semplicemente non si fa coinvolgere. Un carrello di latta passa sobbalzando con un rumore di ferraglia, un elettricista si porta l'occorrente alle riparazioni di guasti. Un ascensore lontano si apre, esce un letto a rotelle con una anziana donna in mala parte, il volto deturpato dalla ormai avanzatissima età, due infermiere sorridenti la spingono oltre il corridoio e la scia si perde anonima e dolorosa disunandosi lontana, il tabellone digitale segna il numero 129, mi preparo, dopo tocca a me. Slaccio i bottoni dei polsini della camicia, faccio un profondo respiro controllo il documento sanitario da esibire, mi affaccio alla porta d'ingresso e provo ad indovinare il numero della saletta prelievo che mi toccherà ... 130 ... tocca a me, finalmente. Entro e mi prende una impercettibile tensione, guardo dal corridoio il numero della saletta prelievo ed entro, dentro non c'è alcuno, subito sento la voce femminile salutarmi calma e gentile e rispondo mentre sbuca dalla sinistra una infermiera nuova e davvero educata e sensibile, mi fa accomodare, mi parla con un tono rassicurante e saporifero. Mi fa allungare il btaccio sinistro e mi cerca una vena per procedere al prelievo, sento l'ago penetrare con il fastidio di una puntura e di colpo un silenzio irreale avvolge lo spazio sempiterno. Ora mi ritrovo in uno dei tanti corridoi di quell'ospedale bianco e freddo, cammino alla ricerca di un'uscita, l'ansia mi accompagna con un peso difficile da portare. Non riesco a vedere nessuno, svolto a destra e mi si para un lungo tunnel e due corridoi laterali, le tabelle indicative sono illegibili, il tempo le ha arruginite e le parole sono svanite, tendo l'orecchio ma non ci sono rumori, solo un lontano mugolio. Non riesco ad abbassare gli occhi ma ho l'avambraccio in fiamme, sento un bruciore molto doloroso ma non posso toccare la zona che fa male. Le lampade al neon ballano, alternando luce a buio, saranno diffettose, svolto a sinistra ma non c'è nessuna stanza, continuo il quel labirinto dove non c'è più tempo ma anche lo spazio è dilatato, disviticchiare e districarsi è impossibile. Sento il sudore colarmi dal collo giù nel petto, adesso ho il fiato corto, cammino velocemente, cerco di aprire porte ma sono tutte chiuse, avanzo ma non guadagno certezza, ansia e panico sono già in anticamera, non c'è un davanti e un dietro, ecco finalmente una grande stanza d'attesa, guardo le riviste nel basso tavolino, sono tutte in una lingia sconosciuta, ne sfoglio una ma non c'è nessuna immagine ma solo numeri. Sento un fruscio e subito un'ombra si eclissa oltre una vetrata. Continuo a camminare, scendo delle scale ma ancora non vedo un'uscita, sono in trappola. L'ansia si libera, mi assale, un groppo secco in gola, allora prendo una lunga pensilina di collegamento e la percorro con le ultime energie, cerco una via di fuga, inaspettatamente riesco ad aprire una porta, mi aggredisce un forte odore di anestetico, mi pervade, è una sala operatoria, al centro sul tavolo un lungo lenzuolo verde è macchiato di sangue, copiosamente uscito in vari punti, le lampade sono accese, il monitor pulsa vivo, ma non c'è una finestra, ho la sensazione di girare in tondo, di essere incline al caos. Esco e continuo a cambiare corridoio, salgo con un ascendore, ma non c'è traccia di persone. Due, tre, quattro corridoi lunghi parallelopipedi con il lineolum azzurro come pavimento, agli incroci nessuna indicazione leggibile, inizia a girarmi tutto, le forze mi abbandonano, provo un senso di precipitare nel vuoto, mi manca il terreno sotto i piedi, cado come un sasso in uno stagno sconosciuto e isolato nel bosco oscuto. Dove sono? ... in un vortice, in un turbine di doloroso malessere che non ho modo di controllare, nuoto in un etere impalpabile, fluttuo come una piuma nel centro dell'uragano, dove l'assenza di gravità mi sostiene. - " Signore. signore, ... fatto! " - la voce non è di un'aliena, è della garbata infermiera che mi congeda perplessa ma sicura di aver operato con professionalità. Mi alzo, premendo il pollice sulla garza che tampona il forellino della puntura, esco ma non incontro nessuno, la sala è vuota, mi guardo attorno ma non c'è anima viva, nel lungo corridoio le luci sono tremolanti, mi incammino verso l'ingresso ma è tutto vuoto, i monitor sono spenti, la fotocellula che apre la porta vetrata è inattiva. Spingo con le mani e la leggera pressione fa aprire la porta scorrevole, esco all'aperto, una folata di vento mi solleva i capelli, non sento rumore di automobili in strada, non c'è nessuno, solo allora mi assale un dubbio ... dove sono ? Guardo l'orologio al polso e mi accorgo che le lancette girano vorticosamente, in cielo le nuvole cambiano rapidamente, qualcuno, qualche cosa, stà riavvolgendo il tempo ... ovattata, lontana una voce mi apostrofa decisa: " Signore, signore ... tutto bene? " - Guardo in alto e mi accorgo che due occhioni dietro lenti spesse mi sorridono amichevolmente, sono aterra, seduto, e il signore mi aiuta ad alzarmi. - " Certo, sto bene! Grazie tante. " - - " 130 ... numero 130 ... tocca al numero 130 " - - " E' il mio ! "di Zanin Roberto zanin roberto
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