EURIDICE
(Vecchioni) Morirò di paura a venire là in fondo,
maledetto padrone del tempo che fugge,
del buio e del freddo;
ma lei aveva vent'anni e faceva l'amore,
e nei campi di maggio, da quando è partita,
non cresce più un fiore...
E canterò, stasera canterò,
tutte le mie canzoni canterò,
con il cuore in gola canterò:
e canterò la storia delle sue mani
che erano passeri di mare,
e gli occhi come incanti d'onde
scivolanti ai bordi delle sere;
e canterò le madri che
accompagnano i figli
verso i loro sogni,
per non vederli più, la sera,
sulle vele nere dei ritorni.
E canterò, canterò finché avrò fiato,
finché avrò voce di dolcezza e rabbia
gli uomini, segni dimenticati,
gli uomini, lacrime nella pioggia,
aggrappati alla vita che se ne va
con tutto il furore dell'ultimo bacio
nell'ultimo giorno dell'ultimo amore;
e canterò finché tu piangerai,
e canterò finché tu perderai,
e canterò finché tu scoppierai
e me la ridarai indietro.
Ma non avrò più la forza
di portarla là fuori,
perché lei adesso è morta
e là fuori ci sono la luce e i colori;
dopo aver vinto il cielo
e battuto l'inferno,
basterà che mi volti
e la lascio alla notte,
la lascio all'inverno...
E mi volterò
le carezze sue di ieri
mi volterò
non saranno mai più quelle
mi volterò
e nel mondo, su, là fuori
mi volterò
s'intravedono le stelle
mi volterò perché l'ho visto il gelo
che le ha preso la vita,
e io, io adesso, nessun altro,
dico che è finita;
e ragazze sognanti m'aspettano
a danzarmi il cuore,
perché tutto quello
che si piange non é amore;
mi volterò perché tu sfiorirai,
mi volterò perché tu sparirai,
mi volterò perché già non ci sei
e ti addormenterai per sempre.
Questa mattina ha scoperto questa canzone di Vecchioni.
Di Roberto Vecchioni conosco non poche canzoni. Come sapete io vado a periodi e di solito in ogni periodo approfondisco la conoscenza dei vari artisti.
Nei periodi vecchioniani come questo mi piace approfondire il sapere su questo grandissimi scrittore d'arte, coltissimo professore universitario che da tempo svolge un grandissimo lavoro culturale. Ecco in breve la sua carriera culturale di Vecchioni presa dal suo sito ufficiale:
Nel 1968 si laurea in lettere antiche all'Università Cattolica di Milano presso la quale resterà per due anni quale assistente di storia delle religioni, proseguendo poi la sua attività di insegnante nei licei classici, dove tuttora insegna greco e latino.
Nel 1999 è stato relatore in un ciclo di incontri culturali e musicali sulla canzone d'autore in diverse università francesi.
Nella stagione scolastica 1999-2000 ha promosso oltre 40 appuntamenti con le scuole superiori e le università italiane incontrando oltre 50.000 studenti sul tema "Musica e poesia",illustrando l'evoluzione storica della canzone d'autore, impegnandosi a diversi livelli per il riconoscimento pieno della canzone come forma poetica a se stante,forma espressiva ricca e potente che muove sui tre canali semantici della scrittura poetica, del brano musicale e dell'interpretazione teatrale con forme e caratteristiche peculiari.
>>Il Prof<<
Nel 1998 Roberto Vecchioni ha curato la voce "Canzone d'autore" per l'appendice 2000 della Grande Enciclopedia Treccani e riceve il premio per la pace "Giorgio La Pira".
Oggi è docente, per il secondo anno accademico, presso l'Università di Torino, Scienze della Formazione con il corso di forme di poesia per musica. Argomento del corso é la canzone d'autore, lo studio delle peculiarità delle forme poetiche in musica, l'origine e lo sviluppo dal canto primordiale alla lirica greca, dai trovadori alla romanza all'oggi, con due monografici su Guccini e De André. Lo stesso corso verrà tenuto dal Prof Vecchioni anche per l'anno accademico 2002/2003
Dopo questi brevi cenni sull'attività dell'autore vorrei esternare tutte le sensazioni donatemi dall'ascolto di Euridice.
L'ho "intercettata" sul forum del Prof., avevo già l'mp3 ed ascoltandola non ho potuto fare a meno di restare estasiato di fronte alla capacità di sentetizzare emozioni di Vecchioni (della quale comunque non dubitavo).
Lo spunto è preso dalla storia di Euridice e Orfeo:
Euridice era una ninfa tracia sposa di Orfeo, precocemente morta per il morso di un serpente in cui si era imbattuta nell'erba tentando di sfuggire alle brame di Aristeo. Il suo sposo, inconsolabile, commosse con il suo canto le divinità degli Inferi, che gli consentirono di riportare Euridice alla luce a patto che nel tragitto di risalita non si volgesse a guardarla. Orfeo non seppe resistere alla tentazione e perdette Euridice per sempre.
(Atlante dei Miti dell'antica Grecia e di Roma antica, Angela Cerinotti, Demetra, 1998, pag. 374)
Si naturalmente con l'amore finito e la consapevolezza di paura da parte di Orfeo a scendere negli inferi per riprendersi la sua bella. Traslando, a mio parere, questa storia si può ricondurre a molti amori finiti, conclusi nella tristezza e convinzione che una forza superiore abbia fatto spegnere la passione: “Il padrone del tempo che fugge".
Mirabile l’immagine della tristezza fornita da Vecchioni, il sottolineare che Euridice non aveva colpa “aveva vent’anni e faceva l’amore”, lo sconforto dell’amato per il quale il “maggio odoroso” non porta più i fiori e colori soliti.
Qui inizia il canto disperato di Orfeo, tanto uguale a quella disperazione che ci prende dopo un amore finito, disperazione che ci sembra il pegno da pagare per riavere l’amato/a, dalla quale non vogliamo uscire, nella quale ci crogioliamo senza volerne venire fuori. Quel canto rispecchia il voler dimostrare all’amata che teniamo al suo amore, convincerla a tornare da noi, incuranti del fatto che magari l’amore è finito. In quelle situazioni però non si può essere lucidi e la sincerità del dolore di Orfeo convince perfino il destino avverso, “il padrone del tempo che fugge” a dare una opportunità di riavere l’amata. In quelle situazioni si pensa che perseverando si arrivi alla riconquista dell’amore perduto. Splendido una immagine su tutte a mio parere:
oltre al meraviglioso suono della descrizione dei suoi occhi “incanti d'onde
scivolanti ai bordi delle sere”, mi ha colpito quando dice:
“le madri che
accompagnano i figli
verso i loro sogni,
per non vederli più, la sera,
sulle vele nere dei ritorni”
Orfeo canta l’amore per Euridice attraverso l’amore di una madre che non ha nulla di egoistico. E’ fin troppo chiaro che una madre non vuole che il figlio la abbandoni mai ma l’amore verso di lui la spinge a rinunciare ai propri bisogni se il figlio riesce ad esaudire i suoi sogni, o anche solo a riuscire a sognare. Per la madre, anzi, il ritorno del figlio dal suo sogno è una sconfitta, la vela è nera, la madre è triste per lui che non ha realizzato il sogno, contro i propri desideri è triste per il figlio. Riportando il parallelismo all’amore finito forse possiamo avvicinare chi è stato lasciato a questa madre, questi che capisce le esigenze dell’amata, capisce di essere stato lasciato perché l’amore era finito e rispetta la sua decisione, rispetta i suoi sogni ed il ritorno sarebbe un non senso.
Abbiamo lasciato Orfeo che ritrova negli inferi la sua Euridice.
“Non avrò più la forza di portarla là fuori”. Orfeo ha tanto sofferto. In qualche parte qui su concerto ho parlato di quel momento che ci spinge a rialzarci dopo la disperazione per un amore finito; ecco, intendevo pressappoco questa cosa qui.
Ovviamente la canzone di Vecchioni ha varie interpretazioni. L’amata è morta, questo è quanto. Può essere morta veramente o dobbiamo cancellarla solo dalla nostra memoria, fa poca differenza.
Orfeo l’ha riconquistata, pensa all’amore riavuto ma non è più la stessa cosa. Dopo il momento in cui si capisce che si deve risalire si vede che “là fuori ci sono la luce e i colori” ed invece il ricordo di lei è una nera immagine di morte.
Questo è possibile solo “dopo aver vinto il cielo e battuto l'inferno”. E’ il discorso di dover attraversare il dolore, a tutti i costi. Ma quando si capisce di averlo battuto questo dolore non ha senso vivere nel ricordo di lei ed è ovvio lasciarlo nel buio e, anche se la si ricorda, ricordarsi di lei come un qualcosa di bello, che è stato, che ci ha fatto soffrire, per la quale abbiamo cantato dei versi infiniti, sofferto da pazzi, ma dalla quale ci divide la consapevolezza di essere stati più forti del dolore.
Ecco che Orfeo si volta perché:
“le carezze sue di ieri non saranno mai più quelle”
Ho letto poco fa il messaggio dove il nostro Beppe parla della sua esperienza. Lui scrive che dopo essersi lasciati non era più la stessa cosa il rapporto con lei: verità assoluta.
Orfeo si volta perché il suo destino è vivere, perché intravede le stelle là fuori, perché ha visto il gelo nei suoi occhi, quegli occhi che gli parlavano d’amore non avevano più la poesia dell’amore, ecco la splendida frase:
“tutto quello che si piange non è amore”
che vorrei collegare col Baglioni di Tamburi lontani
“non piansi mai davanti alla tristezza ma verso l’onestà”
Ecco, in amore il rimpianto è una cosa che stringe il cuore, ma la disperazione per il rimpianto non merita la bellezza dell’amore. L’amore è tale nel trasporto che ci dona l’amata, nella bellezza dei suoi gesti, anche i più naturali, innati di meravigliosità quando si è innamorati. Il piange con tristezza per un amore finito succede a tutti, non è un mistero ma quello non è più amore. Baglioni è ermetico in questo caso: quel “non piansi” probabilmente sta a significare “non avrei mai voluto piangere” davanti alla tristezza. Ciò che ci può far disperare è la fine dell’amore, quella onestà del riconoscerlo, non il fatto in sé di essere stati lasciati, non si deve avere il rimpianto per colpe da dare ad un destino beffardo, semplicemente l’amore è finito. Punto. Certo che semplicemente mica tanto quando ci si trova faccia a faccia con questi sentimenti: questo lo so.
e io, io adesso, nessun altro,
dico che è finita;
Orfeo capisce che è finita (scusate se ho messo prima l’altra frase ma mi è venuta così).
Io, nessun altro. La propria coscienza capisce la situazione, attraversando il dolore si è forgiata una nuova forza ed il ricordo di lei, quel ricordo di tristezza per l’amore che è finito è morto per sempre con la morte del nostro non accettare la fine.
Mi è sembrato giusto commentare questa canzone in un momento in cui nella nostra isola si parla molto della tristezza per gli amori finiti, credo sia un altro mattone utile a chi cerca serenità nella nostra isola, un mattone per la costruzione di quell’edificio nel quale l’anima di chi è in difficoltà possa rifugiarsi ed uscirne con una nuova freschezza e vitalità.
Anche se è solo una canzone, può essere utile.
Una canzone veramente molto bella.
Un grazie sincero a Roberto Vecchioni.
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta,
da un fondale,
da un fuori che non c'è se mai nessuno
l'ha veduto.