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 CAPITOLO 2: "Accingersi ad amare"
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Paolo_Talanca
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CAPITOLO II

Accingersi ad amare

I

Quando la sera Giorgio tornò a casa erano passate da poco le otto, ed il lungo corridoio d’ingresso era impregnato dell’odore di spezzatino di maiale, che la signora Gianna aveva cucinato come pasto serale.
- Dove andate tu ed i tuoi amici stasera, uomo? - cominciò Antonio non appena i tre familiari si erano messi a tavola.
- Non lo so, lo stabiliamo sempre all’ultimo momento - rispose Giorgio, poi proseguì - ma tu perché me lo chiedi?
- Oh, nulla, perché verso le sette ha telefonato una certa Francesca che ha chiesto di te, non sapendo se saresti tornato o meno per cena, le ho detto di richiamare domani a pranzo.
All’udire del nome della ragazza si smosse in Giorgio un’agitazione dei sensi, trasalì, spalancò gli occhi d’un colpo, poi, per pudore dei genitori che lo osservavano, si finse impassibile, ma ormai tutta la famiglia sapeva; a Giorgio passarono per la testa molte cose in quel momento: avevano intuito il nome della persona che attirava ogni attimo della sua attenzione? Come potevano ogni volta leggergli tutto dagli occhi, i suoi stati d’animo, le sue paure, i suoi segreti? Poteva mai essere, quella, solo una coincidenza? Però lui sapeva che solo la madre avrebbe potuto percepire il collegamento tra i suoi occhi e Francesca, che si era sforzato di celare in quel modo. A convincerlo di questo suo pensiero fu lo sguardo del padre, fisso su di lui, ansioso solo di una risposta che lo discolpasse da un’eventuale accusa di avere sbagliato a riferire quelle parole a Francesca.
- Hai fatto bene papà, come avresti potuto sapere del mio ritorno? - rispose Giorgio senza avere il coraggio di guardare la madre.
Appena ebbe finito di cenare, Giorgio uscì di casa per recarsi al caffè, ma un solo pensiero abitava nella la sua mente durante il breve tragitto in autobus: “Che cosa avrebbe mai potuto volere Francesca? Come mai quell’insolita telefonata? Infine, come mai quel pomeriggio la ragazza non si era presentata al campo per vedere la partita?” Continuava a pensare a quella chiamata e quasi non guardava il marciapiede davanti a se, appena sceso dall’autobus. Era confuso, continuava a pensare a Francesca senza sosta, vivamente, mai come allora, nei suoi pensieri, la ragazza era forte, sicuramente più forte di lui, dopo tutti quei mesi nei quali l’aveva vista debole rispetto al proprio essere, quasi in balìa del suo volere, adesso lei stava prendendosi una tanto agognata rivincita in tutto il suo animo. Credette, confortato dalla sua ingenua giovinezza, di sentire il bisogno di sfogare la pena dei suoi pensieri confidandosi con un amico. Noncurante della forza del proprio animo e nella più piena modestia inconscia, pensò che quell’amico doveva essere Giulio, il suo grande fratello, il suo vero e unico “compagno dalle orecchie a punta”.
Giorgio arrivò al caffè alle nove in punto e, dopo aver attraversato il confortevole corridoio della cassa e, come da suo solito, strizzato l’occhio alla signora Matilde in segno di saluto, si avviò verso la stanza della televisione; il vano si sviluppava in lunghezza, in modo che chi entrasse potesse trovarsi il televisore proprio di fronte. L’ambiente era scuro, con la sola luce dell’apparecchio che illuminava con un fascio bianco ed a tratti intermittente, le poltroncine antistanti ed una testa china da una parte, che sbucava da una di esse. Era Giulio, appunto, che Giorgio aveva riconosciuto da dietro e che, ci avrebbe giurato, si era appisolato, conciliato dal buio della stanza. Senza far tanto baccano l’Oltrini si sedette vicino all’amico, il quale, svegliandosi dal leggero sonno, esordì:
- Ma guarda un po’ chi si rivede, Giorgio, dove sei finito oggi dopo la partita? - chiese con aria sonnacchiosa ed interessata, sfregandosi l’occhio destro.
- Siamo andati, Andrea ed io, a fare una passeggiata lungo il mare, perché cosa è successo?
- No, niente, è solo che non ti ho visto più ed ho pensato a qualche appuntamento galante.
- Ed invece ti sbagliavi, ma dimmi, piuttosto, che storia è quella del militare?
- Si, parto appena dopo gli esami. - Rispose Giulio sorridendo e con aria quasi rassegnata.
- Dai, ripensandoci alla fine toccherà a tutti. - Disse Giorgio cercando di consolare l’amico.
- Certo, ma cambiamo discorso, c’è ancora tempo.
- Va bene Giulio, infatti devo proprio parlarti di una questione abbastanza seria - rispose l’Oltrini, d’un tratto più pensieroso del solito.
- Sicuro, ma facciamoci una passeggiata, si parla meglio.
I due amici uscirono dal caffè per discendere le scale fatte il giorno stesso con Andrea, ma questa volta si fermarono a metà della gradinata. Quel posto permetteva di vedere il porto canale in tutta la sua lunghezza, ma lo sguardo, il più delle volte, si fermava sui pescherecci che riposavano vicino alla banchina, pronti, di lì a poche ore, a riprendere l’infinita ed invincibile battaglia con le onde del mare, a largo dell’Adriatico.
- Dimmi Giorgio, che c’è? - principiò Giulio.
- Il discorso è semplice - disse Giorgio, cosciente che l’amico conoscesse il suo rapporto con Francesca - oggi pomeriggio, in effetti, io e moneta abbiamo avuto un casuale incontro con due ragazze, le abbiamo stuzzicate e siamo riusciti a rimediare un appuntamento per domani. Il fatto è che…. - Interruppe per un momento il giovane con aria malinconica, con lo sguardo verso l’orizzonte cupo del mare pescarese.
- Che? - Chiese Giulio con impaziente e curiosa espressione.
- Il fatto è che io oggi parlando con quelle ragazze, pensavo a Francesca. Non mi era mai successo prima, tutto è avvenuto all’improvviso, ma credo di essere innamorato di lei.
- Fantastico, niente di più facile per te, tutti sanno del debole che Francesca ha per te. Falle capire le tue intenzioni e mettiti con lei.
- Ma è proprio questo il punto: e se non le piaccio più? Se adesso fossi io a doverla rincorrere? Non credo che lo sopporterei.
- Confidenza per confidenza, Francesca è ancora stracotta di te. Fidati, vai sul sicuro.
Dopo aver udito quelle parole, l’animo di Giorgio parve rinfrancarsi di una fonte di vita tutta nuova. L’Oltrini non avrebbe mai messo in discussione le parole dell’amico a lui più caro; se Giulio aveva detto quelle parole significava che le sue convinzioni erano fondate. Sentì rinascere l’antica forza nei confronti di Francesca. Dopo aver distolto lo sguardo prima catturato dal mare, Giorgio guardò l’amico con aria soddisfatta.
- Mi hai convinto, torniamo dentro - disse, e tornarono al caffè.


I I

- Ciao Francesca - esordì Giorgio verso la ragazza appena arrivata al caffè, cosa del tutto insolita poiché lei non andava mai lì il sabato sera. Infatti il ragazzo continuò - che ci fai qui tu questa sera?
- Ciao Giorgio, cercavo proprio te.
La ragazza diceva queste parole tenendo in mano una carta d’identità che, quasi da subito, Giorgio riconobbe essere la propria.
- Questa è tua - disse Francesca - l’ho ritrovata oggi proprio di fronte al bancone del bar.
- Grazie, ma è per questo che mi hai chiamato a casa stasera?
- Si, ho sbagliato a chiamarti a casa?
- Affatto, non intendevo dire questo. Volevo chiedere se non c’erano altri motivi. Sai, io già mi ero un po’ illuso - disse Giorgio con aria in un tempo ironica ed imbronciata, guardando il documento, restituitogli dalla ragazza ed aperto nelle sue mani.
- No, non ci sono altri motivi, non ti montare la testa.
Francesca disse queste parole con lo sguardo rivolto verso il basso, con in faccia stampato un sorriso racimolato a forza, quasi con aria seccata dal fatto di dover stare per obbligo allo scherzo, cercando palesemente di non illudersi. Guardando la ragazza in quella fantastica espressione, a Giorgio passavano per la testa i pensieri di lei, capiva che era il momento di finirla con i giochi di parole, le rincorse delle loro anime. Gli sembrava di aver sempre amato quella ragazza; il volto arrossato di lei gli faceva tenerezza ed ora più che mai avrebbe voluto stringerla nelle sue braccia ed accarezzarle il viso. Stette, per una trentina di secondi, fermo davanti a lei. La trovava perfetta con quella sua aria da bambina da proteggere, fragile e con quel suo corpo slanciato ed esile, costatando l’energia che nasceva dal contrasto tra quella sua esile apparenza, e la procacità dei suoi seni notevoli, celati sotto un maglione di lana di, almeno, due misure più largo, sul quale cadevano i capelli castani scuri e liscissimi di lei, proprio all’altezza delle spalle. Era bellissima. Ad un tratto la ragazza ebbe un sussulto, mise una mano sulla spalla di Giorgio e fece per andarsene. In quel preciso momento alzò lo sguardo verso il ragazzo ed i due si guardarono negli occhi, in un istante che sembrò non finire mai. Francesca salutò ed andò via ma i due capirono tutto in quel momento. Per ore, negli occhi di Giorgio, rimasero impressi gli occhi scurissimi di Francesca; ripensava a quell’istante in cui è concentrato l’amore, non era sicuro se l’attimo di eterno fosse quello, di certo però non aveva mai provato nulla di simile prima. Aveva bisogno di richiamare alla mente la profondità degli occhi di lei. A distanza di qualche ora gli sembrava di scorgerci mesi e mesi di tribolazioni dell’animo della ragazza, alla ricerca delle attenzioni del giovane; “le luccicavano gli occhi” ripeteva nella sua mente “guardava me e le luccicavano gli occhi, erano rifulgenti verso di me, mi chiedevano spiegazioni, mi supplicavano di non farla soffrire, di essere sincero; ebbene lo farò, l’amerò con tutto l’ardore di cui sono capace perché lo merita, perché è bella e con lei mi trovo bene”. Queste stesse parole passavano per l’animo di Giorgio, e nella sua mente vi era posto solo per gli occhi di Francesca, per il pensiero di un’imminente storia d’amore che era rimasta sospesa per molti mesi, prima di esplodere in lui, accompagnata da una voglia nuova e forte di stringere Francesca nelle sue braccia. Erano le dieci e mezza di un sabato sera inedito ed irreale.
- Andiamo al cinema Giorgio, poi, più tardi, si va a bere una birra - disse Sandro all’amico tenendo una mano sulla spalla dell’Oltrini e parlandogli da dietro.
- No, andate voi, io penso proprio che stasera tornerò a casa, non credo di stare bene.
Così lasciò gli amici e la loro voglia di libertà.

I I I

L’indomani mattina, erano le dieci all’incirca quando Giorgio aprì gli occhi dal suo lungo sonno.
Pescara si era svegliata sotto un sole che allagava letti e cuori di una domenica mattina fresca e luminosa, che conciliava il rinnovare di sogni e speranze per ricominciar le strade, rigorosamente diverse, da percorrere e rincorrere. A Giorgio sembravano tutte uguali le domeniche mattina. Sperava in un giorno nuovo, ma doveva, consapevolmente, accontentarsi di un nuovo giorno. D’altro canto amava quel modo di essere vivo in una mattinata così luminosa, il camminare per le strade di Pescara, salutando le persone conosciute e trovandole tutte sorridenti, colmi di una felicita che, lui sapeva, era puro ed indispensabile inganno dei sensi.
Dopo essersi vestito in modo quasi estivo, Giorgio scese in giardino per cercare il padre ed uscire per la solita passeggiata in macchina. Antonio e Giorgio Oltrini usavano uscire in macchina la domenica mattina, per una scarrozzata che li portava ad ammirare l’entroterra pescarese; era inoltre un momento utile a Giorgio per levare, per qualche ora, l’attenzione dal vivere consueto ed addentrarsi nella leggerezza della domenica mattina. Certe volte le camminate in macchina erano completamente taciturne, tanto che l’unica preoccupazione di Giorgio era di non perdere nulla del breve viaggio; tutte le sensazioni, le chiare bellezze della natura illuminate dal sole, con chiazze d’un bianco eterno sui prati che da verdi cedevano colori ed umori alla primavera ed alla mente di un accorto osservatore. Anche quella mattina padre e figlio uscirono in automobile e, mentre il mangianastri passava l’ultimo disco di un cantautore tanto caro a Giorgio, la campagna che fiancheggiava la strada diventava palcoscenico inconsapevole dei sogni che le parole delle canzoni plasmavano in lui, davano forza alle sue idee e lo rassicuravano circa l’immortalità di tutti i poeti. Giorgio non sopportava che suo padre sentisse ma non ascoltasse quelle parole, che tanto si confacevano al suo modo di essere. “Come può crogiolarsi nella più bieca ignoranza?”, pensava “come riesce ad evitare ogni volta tutto quanto di più sublime la natura riesca a dargli?”, ma le sue rimanevano solo impressioni vaghe, presentimenti non fondati, per questo però ancora più inquietanti.
Giorgio passò quasi tutto il pomeriggio a casa, ascoltando alla radio le immancabili partite di calcio domenicali, per poi uscire la sera, verso le sei e raggiungere i compagni al caffè. Mentre si accingeva ad entrare, vide in lontananza la macchina del capitano, una fiat panda di colore bianco, che sopraggiungeva da Via Paolucci. Giorgio attraversò, così, la strada e fece fermare Sandro per parlarci.
- Ciao Sandro, venivi al caffè?
- Ciao, si, venivo a vedere se ci fosse qualcuno.
- Tutto completamente piatto, perché non andiamo in centro a fare un giro? - propose Giorgio.
- Va bene, sali.
Mentre l’Oltrini si apprestava a salire sulla macchina, nella sua testa meditava sull’idea che Francesca potesse essere o no in centro a quell’ora. Francesca era, in fondo, un’assidua frequentatrice di Piazza della Rinascita, dove di solito andava con le sue amiche di scuola. Per dirla tutta, il gruppo della ragazza non si era mai approssimato alla combriccola di Giorgio, ma l’idea balenava nella mente dei giovani da diverso tempo.
I due amici parcheggiarono la macchina sul lungomare, in prossimità del centro, e cominciarono ad andare a piedi per arrivare in Piazza della Rinascita. Pescara era molto affollata e la gente camminava in ordine sparso, manifestando un’allegria traviante, esternata dalla sicurezza tipica di chi sa di risultare esitante al prossimo. La piazza era piena di ragazze d’ogni età e di donne sole, ma anche accompagnate da uomini ben vestiti, perfetti guitti da copertina, signorotti imbellettati della domenica sera. La maestosa esibizione di bella vita era, però, mossa dalla presenza di diverse belle donne, vere attrici alla ricerca d’innocui spettatori, che potessero valorizzare il loro tronfio modo di proporsi e di pensare, sfoggio di sederi tondi e visi uguali tramandati di madre in figlia, boria interrotta, come il padrone che coglie sul fatto un ladro, da grida di rondini o innocenti schiamazzi di bambini che si trovavano nella piazza. Giorgio osservava inosservato quell’erronea esibizione di potenza, ancora inconsapevole della sua forza, che sarebbe scaturita dal suo animo nobile e dalla profondità di tutto il suo essere. In silenzio l’Oltrini guardava Sandro, che camminava alla sua destra con le mani in tasca e lo sguardo tutt’altro che ottuso per chi lo conoscesse bene. Gli occhi dell’amico parevano perdersi nella suggestione adulatrice che vi era intorno a loro, ma chi conoscesse il capitano sapeva che la sua mente era libera da subordinazioni verso il reale, che Sandro era un libero pensatore, che trovasse la forza nei miti creati da lui stesso, non di certo imposti da una società banale e spietata che costruisce modelli di facile imitazione ai quali il capitano non avrebbe mai ceduto. Sandro credeva molto nell’amore e nella bontà dei sentimenti assoluti e, nonostante si aprisse poco, uscisse di rado e parlasse ancora meno, i suoi compagni, Giorgio su tutti, conoscevano questo lato del suo carattere, sapevano della fermezza assoluta derivante da ogni sua decisione, l’essere capace di comportarsi da capogruppo pur riconoscendo la verità meramente esteriore del titolo. Era troppo perfetto Sandro, questo pensava Giorgio. Riteneva il carattere estremamente aggregante, senza mai un accenno di rancore e di ritorsione dell’amico, come una limitazione caratteriale, apportata dalla ricerca di assolutezza da parte del capitano che, per cercare di raggiungere il carattere perfetto, finiva con l’essere forzatamente buonista ed accondiscendente verso gli altri. Tutto questo, però, era Sandro e così, Giorgio e gli altri, lo apprezzavano e lo volevano.

I V

Francesca era seduta su di una panchina posta ai bordi di Piazza della Rinascita, e guardava, apparentemente, le persone di passaggio lungo la via vicina. Era vestita in maniera divina, con una maglia aderente di colore turchese, quasi nascosta sotto una specie di corpetto fantasticamente bianco e molto stretto in vita, il che evidenziava la sua figura snella ed il suo grande seno. Indossava, poi, dei pantaloni blu a zampa d’elefante, come non se ne portavano più da dieci anni, simbolo evidente della sua impossibilità a scadere nella banalità. Giorgio la vedeva celestiale. Conversava con due amiche, di sicuro sue compagne di scuola, anche loro molto graziose, che erano in piedi dinanzi a lei.
- Buonasera, - esordì Sandro verso le tre ragazze - come stai Francesca?
- Ciao ragazzi, - rispose la giovane - come mai siete soli? Gli altri dove sono?
- Perché, noi non ti bastiamo? Che te ne fai degli altri quando hai la fortuna d’intrattenerti con due come noi? - rispose Giorgio ironicamente, poi continuò - Piuttosto presentaci le tue amiche, che aspetti?
Giorgio pronunciò quelle parole con il chiaro scopo di far ingelosire Francesca. Indubbiamente era riuscito nel suo intento. In realtà i due ragazzi conoscevano, almeno di nome, le amiche di lei e la cosa era reciproca.
Le ragazze si chiamavano Arianna e Barbara. Arianna era abbastanza alta, con biondi capelli lisci ed un viso che, per quanto molto abbronzato, non perdeva per niente il suo essere grazioso. Barbara, invece, era una ragazza di media statura; aveva capelli lunghi e molto ricci che le arrivavano fin dietro la schiena, di un nero molto acceso e molto ben portati. Era bella in viso e la sua scura carnagione si abbinava al colore ebano dei suoi capelli, sempre sorridente senza risultare stupida nelle espressioni e nel portamento. Francesca, un giorno, aveva confidato a Giorgio l’interessamento di Barbara verso Sandro e l’Oltrini, dal canto suo, notava i fugaci sguardi che il capitano dedicava alla ragazza, sbirciate transitorie che presagivano un interessamento particolare.
Dopo che i ragazzi si erano formalmente presentati, la conversazione si fece subito più confidenziale e piacevole, forse anche per via del carattere interessante delle tre femmine, mai banale ed insofferente. Giorgio però leggeva un’espressione di leggera tristezza negli occhi di Francesca. Avrebbe voluto rassicurarla sul suo nuovo ed inaspettato sentimento, donarle gioia con le sue parole d’affetto, risvegliare in lei la felicità dei sensi e la rilassatezza dell’animo. I due si ritrovarono a parlare in disparte.
- Non sembri molto contenta di vedermi, mia cara Francesca - disse Giorgio. Egli fece una pausa lunga; ma Francesca non parlò. “Forse ha capito tutto”, pensò il ragazzo, “forse ha letto nei miei occhi quanto io la desideri. Ma no, non è possibile, tutto ciò sarebbe assurdo”. Lei continuava a tacere pensosa, così Giorgio proseguì.
- Ma che hai Francesca? Mi sembri triste.
- Lo sono, perché domani devo partire per Roma da mia madre, rimanendovi per due lunghe settimane.
- Allora! Non sei contenta di rivederla?
I genitori di Francesca erano separati e la madre, da quasi due anni, si era risposata e viveva a Roma, precisamente a Montesacro.
- Lo sarei, - rispose Francesca - solo se avessi la certezza che tu restassi innamorato di me al mio ritorno.
Ella alzò gli occhi verso di lui. Aveva capito tutto dalla sera prima, da quell’istante che era valso di più di mille e mille ragionamenti. Quando Francesca proferì quelle sue ultime parole, il cuore di Giorgio ebbe un sussulto, tutto il suo spirito rinvigorì; provò una sensazione del tutto nuova, una strana liberazione, inaspettata e rigenerante, come una folata di vento fresco in un’afosa giornata estiva, che rinnova orizzonti e percezioni. Sentì i suoi sensi salire dallo stomaco fin su nel petto, accompagnati da un respiro profondo. Trasalì. Le regalò i suoi occhi, li pose su di lei; ella lo guardava profondamente, triste e senza pretese, indifesa ma dolcissima, con un brillare che cercava d’essere audace negli occhi. Giorgio si avvicinò. La baciò sulle labbra e sentì tutto l’amore di lei che gli invadeva lo spirito e gli empiva i suoi dubbi e le sue incertezze. Ora Francesca era la sua ragazza, ora sarebbe iniziata una nuova fase della sua vita. Quella sera i due novelli amanti tornarono a casa insieme e, l’indomani mattina, Francesca partì alla volta di Roma.

V

Passavano lente le giornate di Giorgio, nella stasi festosa di quei pomeriggi di sole primaverile. Francesca telefonava ogni sera all’amato per sapere sue notizie e i due ragazzi parlavano per molto tempo, prima di salutarsi. Ogni giorno della nuova vita di Giorgio sarebbe stato terreno fertile per la felicità apportata dalla sua nuova storia d’amore, ogni respiro colmo d’ansietà avrebbe lasciato il posto alla consapevolezza che l’animo di Francesca lo avrebbe accompagnato verso la contentezza dei sensi, una pace interiore tanto agognata, tanto sospirata, vagheggiata con tutte le proprie forze dal vecchio e povero Giorgio. Ed egli era sicuro che Francesca sarebbe stata portatrice di benessere, l’amante tanto attesa, la persona in grado di far battere il suo cuore con un timbro diverso, atteso da chissà quanto tempo, tanto che ora si prometteva indivisibile all’amante. Certo, tutte queste sensazioni di diletto avrebbero dovuto aspettare il ritorno di Francesca per realizzarsi, il tempo e l’abitudine avrebbero poi fatto il resto, rendendo i due ragazzi assimilabili all’eterno, uniti da un amore senza trapasso e, di sicuro, non un sentimento banale che lega mille e mille persone solo per brevi o lunghi periodi, senza un’ispirazione divina, bensì anche un’eternità interrotta sul nascere o un istante che non muoia mai, purché accompagnata da un consapevole e totale abbandono al fervido istinto, ad una devozione continua e crescente, momento dopo momento, verso l’amore amato, verso una persona nella quale veder concentra la propria stessa vita, verso la pace dei sensi, verso l’infinito. Tutto questo sarebbe accaduto al ritorno di Francesca e l’aspettazione aumentava il desiderio, la lontananza accresceva la bramosità del momento perfetto; di lì a pochi giorni l’amore avrebbe creato un nuovo Giorgio Oltrini. Già si chiedeva come sarebbe stato il ritrovarsi a volare con ali libere di sorvolare i tramonti delle sue tristezze, il combattere con successo le angosce del male d’universo, che dal nulla lo assaliva in una lotta impari contro la vuotezza del reale, che gli portava via i propri sensi fino ad un arido deserto, una terra di passaggio, dove combattere una battaglia che non credeva di poter vincere da solo, contro una forza sibillina che lo abbatteva, lo svuotava, scempiava le sue risorse fino a ridurre il suo essere ad una carcassa di pensieri scemi e nefasti, per poi ritrovarsi, senza apparente motivo, a piangere lacrime di metallo in qualche notte troppo lunga, quando i sogni e la speranza erano stati assassinati già da qualche ora, nello stesso momento in cui il sole si uccideva dietro le montagne. Adesso non aveva più timore, non balenavano in lui pensieri di una pusillanime condotta, era sicuro della vigoria che gli avrebbe donato Francesca al suo ritorno, ed aspettava l’amante con assoluta consapevolezza di un futuro migliore; se lo immaginava roseo il suo futuro. Intuiva la presenza di un domani vincente. Immaginava già come sarebbe stato prendere la strada ed andare via dal suo dolore, oppure andare incontro alla realtà facendosi travolgere da un vento di temerarietà, stringere i denti ed i pensieri con tutta l’energia datagli dall’amore di Francesca. Avrebbe spaccato il mondo a metà, andando a pascare nei meandri più reconditi del suo male di vivere, con quell’ingenuità delle sue convinzioni e del suo cuore incredulo, avrebbe vinto ogni sorta di guerra futura. Doveva solo aspettare che tornasse Francesca.


V I

Erano passati cinque giorni dalla partenza di Francesca. L’orologio dell’atrio segnava le dieci in punto del mattino al liceo classico G.D’Annunzio di Pescara, in un sabato piovoso e piuttosto fresco. Giorgio aspettava con svagato entusiasmo le ultime due ore della giornata, visto che sarebbe uscito da scuola un’ora prima. Erano due ore d’italiano, niente di meglio per chiudere una settimana scolastica, secondo l’Oltrini.
Mentre spiegava Pirandello, il nasuto ed anziano professor Guglielmi ebbe la necessità di aprire una delle sue note e lunghissime parentesi, che alla fine duravano l’intero tempo rimasto alla lezione. La divagazione di quel giorno riguardava Gabriele D’Annunzio.
- Erano finte le sue donne - incalzava il professor Alessandro Guglielmi - rappresentavano le sue sconfitte amorose, personificavano il fatto di volere, ma non riuscire d’essere l’oggetto sessuale di ogni persona di sesso femminile che gli si avvicinasse. Il suo genio era immenso, la sua cultura illimitata, scriveva con una tal enfasi, facilità e trasporto che ci si poteva innamorare persino di una sola frase, anche se non incastonata in una situazione d’ideale bellezza perfetta, e mai nessuno potrà mettere in dubbio il suo irreprensibile gusto estetico. Tuttavia le sue teorie sul superuomo ed il meccanismo di corteggiamento dei protagonisti dei suoi romanzi, erano spie ineluttabili di una mancanza di realismo e sana modestia. D’Annunzio era un maniaco sessuale, non censurato solo perché non censurabile e si nascondeva dietro i suoi versi, beceri strumenti di lussuria.
Giorgio udì con molto trasporto tutte le frasi del professore. Non credeva alle sue orecchie .“Come si può essere così cinici ed irritanti nelle vesti d’insegnante d’italiano?”, pensava. Ebbe il bisogno d’intervenire. Alzò la mano ed il professore diede la parola con piacere e sorriso sulle labbra, al suo miglior alunno, aspettandosi domande che gli permettessero di continuare il suo fastidioso monologo.
- Mi scusi professore, ma non sono affatto d’accordo con lei. - esordì Giorgio accorgendosi dello sguardo stupefatto del suo insegnante, poi proseguì - Io vorrei sapere da lei come potrebbe un poeta, romanziere ed animo così profondo come D’Annunzio, essere un banale realista, cullarsi nell’ipocrisia di una modestia che assolutamente non può appartenergli. I poeti sono sognatori, vivono d’intuizioni, chiudono gli occhi e stringono fra le mani un vento di certezze irreali, bevono un oceano di domani migliori, oppure esternano le proprie sensazioni rifacendosi ad una malattia di vivere od un sentimento sfiorato, idealizzato e tramutato in versi. D’Annunzio è un poeta. Io non le permetto di assimilarlo ad un malato di sesso o ad un mascalzone qualunque e, per favore, non parli al passato riferendosi a lui. Fino ad oggi pensavo che solo le donne potessero muovere una critica, clericale ed ottusa, di questo tipo. Lei è un insegnante d’italiano, magari apprezzato per la sua enorme cultura, ma per giudicare i poeti si deve essere sognatori, ci si deve saper immedesimare all’infinito, nell’immensità che solo l’astrattezza simbolica può dare. Non ci si può assurgere a psicologi da strapazzo o, cosa assai peggiore, predicare con saccente ed apodittica prepotenza in un’aula scolastica, riparato dalla sicurezza derivante dal fatto che gli interlocutori non possano rispondere, solo perché non all’altezza sul piano culturale. Ho letto i suoi romanzi, le sue poesie professor Guglielmi e le assicuro che non ho provato alcun trasporto emotivo, nessun’ebbrezza passionale, solo un susseguirsi di luoghi comuni, costruiti ad effetto su un'orgia di aggettivi, che sortiscono in chi legge un effetto di immedesimazione, ma non hanno nulla a che fare con la poesia, cosa ben più semplice che risveglia l’istinto perenne, immortale dell’uomo.
- Come ti permetti di rivolgerti a me in questi termini?! - rispose il professore con un’ira inconsueta e tutto rosso in volto - Potrei sospenderti per ciò che hai detto!
Così fece, il professore. Diede a Giorgio due giorni di sospensione con obbligo di frequenza. L’Oltrini stette seduto in silenzio per tutto il resto della lezione, guardava, teso e mesto, fuori dalla finestra l’acqua che, avvilente, zampillava sui balconi del palazzo accanto, ripensando a quello che aveva detto poco prima. Le parole erano venute fuori da sole, lui aveva solo ascoltato la sua ragione, difeso quello in cui credeva e che vedeva attaccato ingiustamente. Non avrebbe mai cambiato niente del suo discorso, giacché avrebbe significato cambiare se stesso. Andava tutto perfettamente bene così.
Le cose, Giorgio sapeva, sarebbero state complicate tornato a casa. Al cospetto del padre lui avrebbe dovuto esporre l’andamento dei fatti e la sua punizione, consapevole della possibile reazione del professor Antonio Oltrini.
Arrivato a casa pose lo zaino sul canapè, si sedette al fianco della borsa, inarcò la schiena in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Aveva le mani chiuse a pugno sotto il mento ed il suo sguardo era assorto, quasi perso. Non pensava. D’un tratto la sua vista fu sorpresa dalla perfetta bellezza di un mazzo di genziane maggiori, poste su di un tavolino, gentile regalo del fratello di Gianna, che era stato loro ospite il giorno prima. I fiori venivano direttamente dai pascoli alpini e sbalordirono il casuale osservatore. Arrangiati in un vaso di terracotta, con terra nera ed umidiccia, i fiori parevano giovarsi del fresco secco e rasserenante della veranda. In tutto il loro splendore, i fiori si sviluppavano indipendenti dal punto dove erano legati, con boccioli solitarii o inflorescenze con corolle a campana allargata, fiori gialli disposti in verticilli sopra un paio di foglie. Questa disposizione, tipica della pianta, colpì in particolare l’attenzione di Giorgio. Era stagliata la differenza di bellezza tra fiori che appartenevano al medesimo stelo. I boccioli inferiori erano più stabili, sorretti da un gambo più forte, ma presentavano un colore giallo sbiadito ed un tenue appassimento che il tempo aveva tenuto conto di donar loro e che riflettevasi nelle foglie sottostanti il bulbo, lunghe ed afflosciate, tanto da apparire quasi secche. Da questi, appunto, si levava uno stelo che permetteva la procreazione di un nuovo fiore che, quando era l’ultimo, si presentava incantevole in ogni sua parte, vigoroso nonostante il sottile gambo che pareva sottrargli stabilità, di un soave giallo acceso, con le due foglie sottostanti che erano ben dritte, che lo cullavano e lo rassicuravano; non sembrava per nulla essere nato dal fiore inferiore, tanto erano diversi creato a creatore.
- Mamma ho preso una sospensione di due giorni con obbligo di frequenza.
Esordì Giorgio appena vide Gianna entrare nella veranda.
- Cosa?! - disse la madre spalancando stralunati gli occhi scuri, con un eccelso inarcamento delle sopracciglia, aprendo appena la bella bocca di in tutta la sua magnificenza.
- Sì - rifece Giorgio - è così e, ti giuro, mi spiace per te e papà.
L’Oltrini si affrettò a spiegare in ogni insignificante particolare l’accaduto, indicando tutte le sensazioni che lo avevano portato a dire quelle cose al professore, riuscendo alla perfezione a descrivere il suo stato d’animo al momento di proferire quelle frasi. Fece capire a Gianna la sua assoluta certezza di aver difeso esclusivamente quelle che per lui sono verità assolute, di essersi comportato per quello che il suo carattere gli imponeva. Gianna capì, sapeva che Giorgio non sarebbe potuto essere stato punito che ingiustamente, assolse il giovane imputato perché leggeva nel suo sguardo l’accesa luce della verità assoluta.
- Sai, Giorgio, - cominciò Gianna - non ti biasimo per quello che hai detto al tuo professore, sono sicura che eri certo di agire per una giusta causa, d’altronde sei un ragazzo impulsivo e non servirebbe nemmeno dirti di calmarti in certe occasioni; a volte, però, la vita ci mette di fronte a tremendi spettacoli, alla stupidità della gente che si tramuta in massacri spaventosi, e può darsi che ad essere oppressa non sia solo una propria idea, ma anche la dignità. Tu ti sei scagliato contro il professor Guglielmi perché aveva calpestato una tua idea, ma a volte le circostanze ci portano a gesti esagerati come il tuo e, dopo, ci si rende conto di aver sbagliato. Col tempo imparerai a dominare i tuoi istinti.
Giorgio ascoltava attentamente le parole della madre, ma non l’assecondava, lui non si sarebbe mai rassegnato. Non potevano essere giuste quelle affermazioni. Lui stesso, dopo ciò che era successo a scuola, non era pentito, era contento, invece, di aver lottato per le sue idee. Capì che, forse, aveva sbagliato il tono e si era fatto trasportare oltremisura dall’enfasi di sapere di aver ragione, ma era certo che quell’istinto non era pura e semplice indole selvaggia, piuttosto l’ingenuità della sincerità, l’arma implacabile della verità. Avrebbe lottato proprio per lei fino alla fine.
Proprio allora si sentì la Giulietta del professor Oltrini che si spegneva. Giorgio era in ogni caso rasserenato dalla comprensione della madre e capì che non sarebbe stato impossibile che il padre lo perdonasse. La porta si chiuse e Antonio, stranamente, attraversò il corridoio d’ingresso per arrivare nella veranda. I suoi passi erano frettolosi e l’andatura pronta.
- Questa volta l’hai fatta veramente grossa! - proruppe Antonio Oltrini - Sappi che ho parlato al telefono con il professor Guglielmi e trovo ciò che tu hai fatto a dir poco riprovevole!
- Papà - cercò di difendersi Giorgio - era quello che sentivo. Le mie convinzioni, le mie verità….
- Non puoi sentire delle assurdità simili. Sei un mascalzone. Rischi l’anno scolastico per aver detto delle idiozie circa un maniaco sessuale. Che razza di convinzioni sono queste? Che verità persegui?
- Dai, Antonio - intervenne Gianna - sai benissimo che Giorgio non rischia l’anno, ha tutti voti altissimi.
- Per favore Gianna, non cercare di difenderlo. E’ intutelabile!
- Caro uomo mio, - proseguì il padre di Giorgio - stavolta non la passerai liscia. Se il buon Guglielmi ti ha dato due giorni di sospensione, io farò di più. Starai una settimana in casa senza poter uscire, così potrai studiare D’Annunzio tutto il tempo che vorrai. Ed andarono a pranzare in cucina, in un’atmosfera avvilente come la pioggia sui balconi di quella mattina.

V I I

Fece i conti circa il periodo di prigionia, Giorgio. La sua Francesca sarebbe tornata il sabato della liberazione. Ora, come mai, lui era convinto che la ragazza sarebbe stata la sua salvezza. A dire il vero egli non soffrì molto per quella punizione. Il giorno ascoltava la musica, le canzoni che da sempre avevano il potere di rasserenarlo, di capirsi meglio, di farlo sognare. Leggeva molto, come sempre e passava sempre più tempo in compagnia di se stesso e del pensiero di Francesca. L’immaginava sul suo letto, quando lui era seduto su di una sedia che la osservava. Era bella e amena. Lo seduceva, l’attirava, sapeva che lei aspettava solo lui e, forse per questo, le si negava ancora per pochi attimi, giusto il tempo di ammirarla nuovamente e di saperla sua. Quella della ragazza era la pura ed elegante bellezza femminea. Le scrutava i piedi, accavallati e nudi, e saliva lo sguardo per vedere gli stinchi, d’un bianco virtuoso che luccicavano obliqui. Le ginocchia erano leggermente piegate, appaiate come oggetti preziosi ordinati a mestiere, che iniziavano cosce avvenenti e dritte. All’altezza dell’inguine la sorgente della vita era pudicamente coperta da una mano penzolante, che partiva dall’avambraccio poggiato delicatamente su di un largo fianco. Si poteva notare, a questo punto, la sinuosa curva dei fianchi attorniare il ventre, che piatto sarebbe stato all’infinito ed i seni, stranamente più piccoli del solito, ma capaci di scomodare la più rara delle espressioni della grazia e della proporzione. Il collo pareva la giusta prosecuzione dei seni, lungo e sottile, morbido alla vista di lui, con la testa poggiata sulla mano ed i capelli, più mossi del consueto, ma che abbellivano ulteriormente il suo viso da bambina ed amante. La desiderava.
Sabato era giunto, la prigionia era finita, l’amore poteva scoppiare e vivere di palpitazioni immense. Francesca sarebbe arrivata a Pescara nel pomeriggio verso le sedici, e Giorgio le aveva promesso di andarla a prendere alla stazione. Come di consueto, verso le quattordici e trenta l’Oltrini andò al caffè Versailles per non perdersi le chiacchiere e gli scherzi degli amici nel primo pomeriggio.
- Oggi torna l’amore.
Esordì Giulio rivolto verso Sandro, ma con chiara intenzione di far vergognare Giorgio.
- E’ vero - rispose Sandro - oggi è il gran giorno.
- Sì - si limitò a dire Giorgio con un’espressione del tutto rilassata, grattandosi il collo, tranquillo - arriva alle quattro e la vado a prendere alla stazione.
L’Oltrini aveva intuito il tranello degli amici, così da riuscire a rimanere calmo nonostante l’emozione che provasse per il ritorno dell’amata.
L’atmosfera al caffè Versailles era splendida, del tutto amichevole, perfetta per Giorgio, i suoi amici c’erano tutti: da Giulio a Sandro, fino ad Andrea e Silvio e gli altri ragazzi della combriccola, il clima era sereno e scherzoso, come tutti i sabati pomeriggio. Tutti sapevano cosa dire, avevano la risposta spiritosa per qualunque argomento ed ogni situazione era motivo di divertimento.
Alle sedici in punto Giorgio era alla stazione ad aspettare il treno che gli avrebbe riportato Francesca, seduto su di una panchina, gambe accavallate e cuore tutt’altro che disteso. Il treno si vedeva in lontananza, arrivava spedito. Quando stava per fermarsi una subitanea paura lo assalì, un aereo presentimento lo colpì; ma svanì tutto in un attimo, quando guardò gli occhi di Francesca e la baciò, senza dire una sola parola.


So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta,
da un fondale,
da un fuori che non c'è se mai nessuno
l'ha veduto.

   
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