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 I comici sono tristi: ma sarà vero?
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colibrì
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Inserito - 20/12/2002 :  18:45:01  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a colibrì
L’altro giorno leggevo un’intervista a Dario Ballantini, l’imitatore di Striscia La Notizia, i cui cavalli di battaglia sono Valentino, Dario Fo, Gino Paoli, ecc. Era fotografato a fianco di alcuni suoi dipinti, con i quali aveva appena tenuto una mostra in una galleria di Padova. Aveva fatto il liceo artistico e raccontava che era quella la sua vena più intima. Senza giudicare del valore dei quadri (de gustibus!), tuttavia l’intervistatore gli faceva notare che ne traspariva una certa angoscia, tanto da ricordare addirittura lo stile sofferto di Edvard Munch (l’autore de “L’urlo”) e di Egon Schiele. Come era possibile coniugare quella sua comicità spensierata a quell’insospettabile anima malinconica? E lui ha risposto una cosa che abbiamo sempre sentito dire: “perché insospettabile? tutti i comici hanno dentro di sé una vena triste, anzi la comicità è la sublimazione della tristezza”.

Immediatamente il pensiero è corso a Charlie Chaplin che certamente era un tormentato. E poi, chissà perché, a Stanlio e Ollio, a Buster Keaton, fino ai comici di oggi. Ho provato un po’ a immaginare chi potesse essere in fondo un malinconico, così, a semplice intuito e mi sono venuti in mente Paolo Villaggio, Leo Gullotta, Alessandro Bergonzoni, Massimo Troisi, Rowan Atkinson, più famoso come Mr. Bean.

Però quasi contemporaneamente mi capita di leggere un’intervista proprio a Rowan Atkinson (che fra l’altro è un brillante ingegnere plurilaureato a Oxford e Newcastle). Guarda caso, gli viene fatta la stessa domanda: “Si dice che i comici, nella vita di tutti i giorni, siano persone molto tristi”. E lui risponde: “Io mi definirei ragionevolmente serio e abbastanza tranquillo, ma questo non vuol dire (spero) che io sia triste e noioso. Conosco questo rinomato cliché e in effetti credo che sia una diceria messa in giro proprio dai comici per stare tranquilli. Infatti è raro che qualcuno mi fermi per strada perché tutti pensano che io sia poi del tutto diverso dal personaggio che interpreto!”

Io non so se sia vera questa storia che i comici nella realtà di tutti i giorni siano persone angustiate, tristi. Credo che la tristezza, intesa come travaglio interiore, ricerca di un senso da dare alla vita, sia un’esperienza universale, per cui passano tutti, forse qualcuno più di altri, forse quelli che pensano più che gli spensierati, ma che comunque di solito non viene mostrata esteriormente. Soltanto che nei comici questa cosa può notarsi di più, perché il contrasto è accentuato dalla faccia “pubblica” carica di allegria... come una mosca si nota di più quando si appoggia su un foglio bianco piuttosto che su una lavagna. Da qui l’alimentazione del mito.

Certo però che la tristezza di un comico ispira riflessioni affascinanti, come l’immagine del clown che fa divertire i bambini al circo mentre magari nel profondo sta piangendo. È un pensiero che mi ha sempre intenerito, e chissà perché mi viene spontaneo ogni volta che vedo uno di quei circensi addetti all’allegria.

La mestizia interiore che si stempera nella dolcezza esteriore a me sembra un regalo delicato fatto allo spettatore, una gentilezza. Mi ricorda il sapore così gradevole del caffè a cui si aggiunge lo zucchero, cosa che però non ne sopprime mai il retrogusto amaro che lo caratterizza... chissà se è vero.
Massimo Troisi: “ma no, nunné ‘o vero! a me il caffè mi rende nervoso!”


colibrì

Paolo_Talanca
Senatore



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Inserito - 21/12/2002 :  13:09:32  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo_Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo_Talanca
Quello del riso e della tristezza è un argomento che di recebte mi ha molto affascinato.
Allargando un attimo la tua riflessione si potrebbe giungere a chiedersi il perché della risata.
Perché si ride?
C'è un bellissimo saggio di Bergson in titolato proprio "Il riso" che prova a dare una giustificazione passando dal comico delle parole al comico delle situazioni e notando che comunque è sempre un atto eseguito meccanicamente a generare la risata: se non ci si confà ad un atteggiamento umano che tenda a seguire il flusso del pensiero comune si cade nel risibile: ecco che chi non vede una buccia di banana vi mette il piede sopra e scivole (il flusso del pensiero comune obbligava a schivare quell'ostacolo). Poi il sagio sfocia nelle situazioni patetiche che sono meglio spiegate in un'altra opera, questa volta di Pirandello: "L'umorismo".
Credo che a tutti sia capitato di sentir parlare del "sentimento del contrario". Qui mi sembra di accostarmi alle tue parole quando avvicini i comici alla tristezza, perché credo che il passo sia brave: Pirandello nel suo saggio dice che qualsiasi cosa è contraria al costume comune fa ridere (Bergson). Si ha così l'avertimento del contrario e nasce il risibile - esempio conosciutissimo della vecchia signora che si trucca come una ventenne. Se poi si vanno a scavare nei motivi che hanno portato quel contrario - ad esempio questa signora che vuole sentirsi ancora desiderabile per il marito molto più giovane di lei - ci si accorge che si crea spesso un alone di tristezza e di pena che Pirandello nomina "sentimento del contrario". Ecco la tristezza in stretto rapporto col riso.

C'è poi il "Controdolore" di Palazzeschi.
Questo grande poeta di inizio secolo - probabilmente alla stregua di Pirandello e Bergson - nel suo manifesto del controdolore parla del riso e dice che il riso è possibile solo come annientamento del dolore, che il riso è possibile solo come sberleffo dopo però che si è attraversati e si è presa coscianza del dolore.

Comunque ancora una volta consiglio sull'argomento la lettura del libro di Bergson che permette di vedere il tutto sotto un punto di vista particolare attraverso la grandissima abilità di scrittore del grande Henry Bergson.

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colibrì
Curatore



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Inserito - 22/12/2002 :  19:06:07  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a colibrì
Mi sono piaciuti molto questi riferimenti colti. Se ne potrebbero aggiungere molti altri. Credo che tutti tenderebbero a mostrare che il riso, quando non è quello che abbonda sulla bocca degli sciocchi, ha sempre qualcosa di profondo e affascinante da dire: è un universo da esplorare e da rispettare.

Ma l’ottone non è oro, anche se gli assomiglia. Così come esiste la tristezza fine a se stessa, sterile, negativa e in grado solo di privare il prossimo di energie preziose, esiste anche il ridacchiare fatuo, o peggio, quello maligno di chi tenta di sopprimere una voce diversa dalla sua sotto una fitta coltre di beffe.

Avete mai conosciuto una persona che ha molto sofferto e che tuttavia sa sorridere? A tutti è capitato questo dono dal cielo e ogni volta se ne traggono tanti di quegli insegnamenti positivi da benedire Dio per quell’incontro e da chiedergli di diventare anche noi capaci di sorridere in quel modo meraviglioso. Avete mai visto il sorriso di un missionario che vi racconta della sua vita in mezzo ai più poveri della terra, vi siete commossi per la trama del film “la vita è bella”, vi ricordate la sensazione di profonda ammirazione quando sentivate raccontare la storia di una vita tribolata da una nonna che oggi è capace di insegnarvi col sorriso che il perdono rende felici?
Ognuno ha suoi ricordi in proposito, e potrebbe raccontarli: spesso sono semplici momenti di cui però vale la pena lasciare una traccia nella memoria.

Il carattere è carattere. Ci sono persone meravigliose ed esemplari incapaci di ridere. Ma quando le stesse persone riescono a trionfare sull’amarezza usando l’ironia o addirittura la comicità... beh, lo so che è un lusso, ma proprio per questo se ne rimane sempre molto colpiti.

Il sorriso di quanti portano delle cicatrici è qualcosa che spesso hanno imparato a fare dopo anni di lavoro su se stessi, dopo esperienze difficili, ma in genere chi lo riceve ne trae beneficio senza neppure accorgersi di cosa ci stia sotto: ecco perché è un vero e proprio regalo! Capita magari di rendersi conto più tardi del suo valore, forse così, per puro caso, e allora si rimane scossi e viene voglia di afferrarne il segreto per saper fare la stessa cosa.

Che nostalgia di queste persone! Soprattutto perché ti fanno stare bene... e non ti chiedono neppure il ticket!!!


colibrì

Edited by - colibrì on Dec 22 2002 20:30:46Vai a Inizio Pagina

Aquilone senza vento.
Emerito


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Inserito - 12/01/2003 :  16:48:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Aquilone senza vento.  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Aquilone senza vento.
Penso che l'umorismo sia una cosa meravigliosa, quando questo però non è forzato.
Allo stesso tempo credo sia impossibile dire se i comici saino dentro tristi o no,
credo sia una cosa relativa.

Per quanto riguarda Pirandello e Bergson, che io apprezzo molto,
credo che comunque il senso del riso per loro sia diverso, anche se in modo sfumato.
Il sentimento del contrario, è proprio quello che hai spiegato tu Clab,
il provare un certo divertimento in qualcosa,
quello stesso qualcosa che attraverso una successiva riflessione ci porta un senso di tristezza,
ma credo sia un sentimento che si riferisce esclusivamente a chi è spettatore di una scena umoristica.
Cioè, credo che il sentimento del contrario riguardi solo chi è spettatore di fronte alla signora travestita da ventenne,
e non la signora stessa.
Se hai capito quello che volevo dire, vedi che la questione è diversa.
Io sono abbastanza d'accordo con la concezione pirandelliana e bergsoniana,
ma credo che la questione sollevata da Colibrì sia diversa, e decisamente più complessa.

In definitiva credo che esistono comici interiormente tristi,
ma non credo questo riguardi tutta la categoria.

E poi, sono d'accordo con te Colibrì.
Ci sono persone che portano anche profonde ferite dentro di sè,
io ne conosco una. Non sai quanto mi fa felice vedere questa sorridere,
e soprattutto capire quanto è sincero e forte quel sorriso...Vai a Inizio Pagina

Paolo_Talanca
Senatore



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Inserito - 13/01/2003 :  20:40:21  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo_Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo_Talanca
Beh, caro aquilone, dall'alto del tuo librarsi in aria così magicamente senza vento, attraverso il tuo filo che ti lega a noi potrai leggere che comunque, dalla risposta di Colibrì si evince che io non sono andato molto lontano dalla giusta interpretazione del suo messaggio.

Io non sono d'accordo con te sul primo punto: a mio parere l'umorismo non è mai forzato, dunque non può esserci umorismo forzato, dunque a te l'umorismo dovrebbe piacere sempre. L'umorismo non è forzato perché, come giustamente spieghi tu, l'umorismo nasce dal soggetto risibile suo mal grado, non siamo noi con il nostro giudizio a renderlo umoristico (come potrebbe avvenire con l'ironia che è ben altra cosa). L'umorismo parte dal soggetto, è l'accentuare i difetti del soggetto, l'ironia è il sottolineare la differenza del soggetto con il comune pensare, è far presente del contrario per evidenziare il risibile e nasce dallo spettatore.

Mi spiace che tu non sia d'accordo con me ma credo (e per questo me ne dolgo io per primo) che io non sia stato molto chiaro altrimenti, da quello che dici, dovresti darmi ragione.
Nella fattispecie:
viene da sè che sia la donna che si trucca da ventenne che fa ridere. Pirandello ha intitolato il suo saggio umorismo mica a caso. E' il riso amaro che provoca il sentimento dopo l'avvertimento e questo riso è scaturito naturalmente dal soggetto risibile, tramite la sua situazione si è passati da avvertimento del contrario a sentimento del contrario. Noi che ridiamo potremmo anche non esserci, ecco tutto il genio di Pirandello.

Certo che i comici magari sono tristi per altri motivi e comici che non siano tristi. Ma si ride sempre e comunque dietro una reazione studiata da una scuola di pensiero... forse credi che i veri comici non siano artisti? credi che non abbiano studiato Bergson o Pirandello?

In definitiva voglio dire che credo di aver capito quello che vuoi dire e che per me le cose continuano a non essere diverse dal mio primo messaggio... però magari mi sbaglio, in fin dei conti è una mia opinione.
Un saluto

So che si può vivere
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