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 7 Riflessioni
 DE FELICITATE
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La_Zia_Cary
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Inserito - 20/01/2003 :  01:23:45  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a La_Zia_Cary
Felicità come “oggetto volante non identificato”: ovvero oggetto della prestazione del “contratto di donazione”. Ma, sorge spontaneo chiedersi, questa felicitò da chi ci è donata? Partiamo dal concetto di donazione: atto giuridico unilaterale, che proprio per questa sua natura può essere anonimo. Quanti ricchissimi benefattori arricchiscono fondazioni ed enti attraverso lasciti dei loro consistenti patrimoni, tenendo segreto il loro nome? Fondi costituiti per esempio con successioni a causa di morte per consentire a giovani ambiziosi, ma mancanti di mezzi, di proseguire nei loro studi. Oppure a favore di studi e ricerche in determinati campi. Le stesse borse di studio sono preziosi contributi, il cui donatario non è identificato con nome e cognome, ma è un più generico ed estensivo benefattore: lo Stato. Io diligente e studioso ragazzo non ricevo i soldi per poter frequentare la scuola dal signor Rossi o dal signor Bianchi, ma anzi più spesso la provenienza di questo denaro è il particolare con minore importanza. Non per questo trascurerei di usufruirne o dissiperei ciò che ho ottenuto con negligenza. Eppure quasi ogni singolo individuo che, all’atto della nascita, riceve il dono più importante e notevole, quello che così faticosamente ricercherà per tutta la vita, la felicità, molto spesso prende l’arbitraria e irrazionale decisione di respingerlo. Solo perché non siamo sicuri della sua provenienza, solo perché non possiamo avere prova scritta della donazione che abbiamo ricevuto, spesso siamo così spiazzati da un dono così grande che fingiamo di non riconoscerlo, di non averlo mai ricevuto. Noi, sosteniamo, non abbiamo avuto la felicità, ma la vita, vita che può, e per la maggior parte del tempo è considerata come dolore, sofferenza, fatica, lavoro. Chi, infatti, potrebbe essere così generoso da donarci la felicità? Essa è qualcosa da conquistare, che a volte non si raggiunge mai. Se forse conoscessimo l’identità del donatario, se questo contratto potesse essere fatto in forma scritta, ne avremmo la certezza, perché siamo esseri umani e non riusciamo a vedere quello che non appare immediatamente ai nostri occhi. E’ allora più comodo considerare questo dono come negativo per la maggior parte del tempo e , qualche volta, come piacevole. Ecco perché ho definito sempre la felicità come oggetto volante, perché non tutti riescono a coglierla, ma anzi molto spesso credono di averlo individuato nel baglievole fulgore di un attimo illusorio, come molti credono di scorgere nella momentanea luminescenza di una stella il passaggio di un UFO. E proprio attraverso questo concetto capiamo il significato del secondo aggettivo che ho accostato alla felicità: “non identificato”. Perché quella che alla maggior parte di noi appare come felicità, di solito sempre fuggevole e caduca, in realtà, non lo è. Non riusciamo mai a essere felici nel presente, rimandiamo sempre la nostra gioia e allegria ad un altro momento: bei tempi quelli dell’infanzia, ahhhh che spensieratezza quando ero adolescente. Colgo sempre in coloro che mi stanno accanto, un’impossibilità di godere di ogni piccolo bel momento, quasi rimandandolo a quando si avranno meno preoccupazioni. Facendo un esempio banale: oggi che è domenica è proprio una bella giornata, con il sole, un temperatura mite, ma c’è anche il blocco delle macchine, con questo tempo, potrei farmi un bel giro fuori Milano ma non posso. C’è sempre qualcosa che guasta la nostra felicità. In realtà non c’è mai nessun età della vita senza preoccupazioni o dolori o sofferenze. Molti credono che l’infanzia sia il periodo della beata innocenza, dei giochi, dell’assenza di cure e affanni, ma un’opinione simile è frutto di leggerezza e superficialità: leggendo un libro di psicologia infantile ho potuto capire come anche i bambini vivono con “dubbi, angosce e perplessità” (citazione dalla nostra cara e vecchia conoscenza, il filosofo Popper, che da zelante ex studentessa di liceo classico fingerò di ricordarmi alla perfezione). Queste paure, che affliggono l’uomo dalla notte dei tempi, sono incarnate, in streghe, orchi, mostri e fantasmi nascosti sotto il letto, che neanche la scopa più magica e potente riesce a scacciare. Come anche gli adolescenti, vivono forse il periodo più transitorio e instabile della loro vita: persino il loro corpo subisce cambiamenti così repentini e significativi, da lasciarli spiazzati e impauriti.
Da qui parto per ribaltare uno dei più importanti assiomi della filosofia epicurea: “la felicità è l’assenza di dolore”. Io penso invece che “il dolore è assenza di felicità”. Tornando, infatti, alla concezione di felicità come oggetto di donazione, ritengo che non sia la vita ciò che ci viene donato: essa è semplicemente un accessorio del dono vero e proprio, della felicità. E’ la sua ambientazione, il luogo in cui usufruirne, la scenografia. Ma ciò che davvero è lo scopo della nostra vita è godere della Felicità, con la F maiuscola, che ci viene donata nella vita, fin dalla nascita. La vita, come sintesi e composizione di momenti tristi e allegri, di gioie e sofferenze, di momenti di fatica e di ozio. Tutto questo è Felicità. Quando mi capita una disgrazia, è indubbio che soffrirò, ma molto spesso, sarò anche incapace di trarre frutti positivi da ciò che mi è capitato. Non sono un’inguaribile ottimista che vive nel paese di Eldorado, ma parlo della Felicità latu sensu, nella sua accezione più ampia, come “occasione” che ci viene data di gioire per ogni singola cosa, di apprezzare ogni attimo, anche grazie alla presenza del suo contrario. Se nella vita dovrò avere delle pene da sopportare, voglio che siano utili, che mi facciano godere ancora di più di quello che ho, a migliorare me stessa e i miei rapporti con gli altri, per vivere una vita piena, che contempli ogni esperienza e ogni occasione, ogni possibilità e ogni scoperta, ma in modo che tutto ciò sia vissuto intensamente, con la consapevolezza che è un grande dono. “Intensità” questa è la parola chiave che racchiude davvero il significato della Felicità, che non vuole dire gioia finta, ipocrita e momentanea, ma che racchiude in sé un insieme di sentimenti e sensazioni, che siano gioia, tristezza, dolore, malinconia, nostalgia, malinconia, allegria, che ci rendano davvero partecipi in modo vero di ciò che ci succede. Per sentirlo. Per questo, nella mia vita, ho spesso apprezzato molto di più gli accadimenti negativi: perché ogni piccolo passo che compivo nel superamento di quei momenti era uno scalino in più lungo questo tipo di consapevolezza. Ogni attimo di sconforto, ogni caduta, erano un attimo di felicità in più. Un’occasione imperdibile per capire me stessa, ma soprattutto per rendermi finalmente conto di quello che stavo perdendo e che non riuscivo a scorgere o che coglievo illusoriamente. Sono quella che sono grazie ad ogni attimo della mia vita. E proprio in quanto “sono” in ogni momento ho in mano la Felicità che tutti cercano. Esisto pienamente proprio in quanto “sono” costantemente, con tutto ciò che questo comporta. Intendo il verbo “esistere” con l’accostamento di “pienamente” per esprimere lo sfruttamento della Felicità donatami.

Ho scritto tutto ciò perché mi piacerebbe aiutare persone che in questo momento sono magari tristi e si chiedono in continuazione il perché di tante sofferenze, di tanto dolore nel mondo. Certo non è una spiegazione sufficiente a livello globale, ma nel mio caso mi ha aiutato a raggiungere un giusto equilibrio di soddisfazione.
Senza presunzioni, grazie a tutti.


Aquilone senza vento.
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Inserito - 28/01/2003 :  19:40:23  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Aquilone senza vento.  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Aquilone senza vento.
Ho trovato questo che tu hai scritto pregevole.
Io penso la felicità non sia solo assenza di dolore, ed il dolore assenza di felictà.
Può sembrare assurdo, ma credo che il dolore sia l'essenza della felicità.
Perchè la felicità non è che saper imparare ad apprezzare le piccole cose.
La vita è un succedersi di attimi, attimi bergsoniani, irriversibili,
uguali quantitativamente ma non qualitativamente: attimi che si alternano in dolore e felicità.
La gente non è felice, ma solo perchè non ne trova il tempo. E' troppo occupata.
Attraverso gli occhi di quella stessa gente, la gente "ricca" non può che essere felice, quella povera "triste".
Ma credo che questo si possa riassumere nella frase: "Avevo tutto, ma mi mancava sempre qualcosa...".
Sai, io ho fatto un'esperienza di servizio a Lourdes.
Sul piano spirituale mi ha dato poco, molto poco (Ho visto solo merificazione e sfruttamento);
ma sul piano umano mi ha dato molto. Non credo vedrò mai qualcuno più felice di un disabile.
Questo dimostra come la visione comune della vita sia paradossale.

Io sono scout. Lo scoutismo non è solo andare a fare gli Indiana Jones in cima al Monte Bianco,
ma è soprattutto servizio, il donare alle persone di cui tu parli.
Ti assicuro che non è molto difficile, basta volerlo.

Buona Strada!
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Aquilone senza vento.
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Inserito - 28/01/2003 :  19:41:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Aquilone senza vento.  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Aquilone senza vento.
A Elena piaceva moltissimo passeggiare nel bosco. Era una ragazzina dolcee un pò svagata e il bosco dietro il paese era diventato il suo rifugio preferito.
Un giorno, mentre camminava, vide una farfalla impigliata on un rovo. Con molta cura, facendo attenzione a non rovinarle le splendide ali, la liberò.
La farfalla volò via per un tratto, poi improvvisamente tornò e si trasformò in una bellissima fata.
Elena rimase a bocca aperta, perchè fino a quel momento le fate le aveva viste solo nei libri per bambini.
"Per ringraziarti della tua gentilezza d'animo", disse la fata, "esaudirò il tuo più grande desiderio".
La ragazzina riflettè un istante e poi rispose: "Voglio essere felice".
Allora la fata si piegò su di lei, le mormorò qualcosa all'orecchio e scomparve.
Elena divenne donna e nessuno in tutto il paese era più felice di lei. Quando le chiedevano il segreto della sua gioia, si limitava a sorridere e diceva: "Ho seguito il consiglio di una buona fata".
Gli anni passarono, Elena divenne vecchia, ma era sempre la più dolce e felice vecchina del paese.
I vicini anche i suoi nipotini temevano che il favoloso segreto della felicità potesse morire con lei.
"Rivelaci cosa ti ha detto la fatina", la scongiuravano.
Finalmente, una volta, la deliziosa vecchian, sorridendo, disse: "Mi ha rivelato che, anche se appaiono sicuri, tutti hanno bisogno di me!"

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