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 Il mio primo amore..
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Occhiverdi
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Inserito - 01/04/2003 :  14:59:18  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Occhiverdi Invia un Messaggio Privato a Occhiverdi
Era un soleggiato sabato pomeriggio di febbraio, anno 1988, quando mi innamorai per la prima volta.
Erano le 14, e l’appuntamento era fissato per le 15. Non sapevo cosa mettere, provai pantaloni su pantaloni, scarpe su scarpe. Cosa mettere in borsa?
Mi accompagnò mio padre, scesi dalla macchina e il suo occhio vigile mi seguì fino a quando non scomparsi dalla sua visuale.
Entrai dal grande cancello grigio, attraversai il cortile, girai a sinistra e attraversai un secondo cancello giallo. Ero arrivata.
Era li, di fronte a me immensa, io piccola piccola, mi sembrava di scomparire lì, in piedi, immobile.
Sotto i miei piedi il terreno diventò più morbido, sembrava di camminare sulla sabbia ben compressa. Percorsi una decina di metri prima di accorgermi di essere proprio lì sopra: una pista di atletica!
Raggiunsi un gruppo di ragazzi, più o meno della mia età, e mi presentai alla signora che stava parlando con loro. Dopo i primi convenevoli del caso mi disse di cominciare a correre una decina di minuti, insieme al gruppo, e dopo mi fece fare qualche esercizio. Ero scoordinata e impacciata, i consigli degli altri ragazzi arrivavano puntuali e anche l’allenatrice mi seguiva con occhio attento. Dopo circa un’ora e mezza il primo allenamento finì, ma fu l’inizio di un’amore.
Non c’era pomeriggio in cui non andavo a fare allenamento su quella pista, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Cominciò la bella stagione, cominciarono le prime gare.
Che emozione! A piccoli passi, dopo grandi sacrifici cominciarono le soddisfazioni, i tempi nelle diverse specialità migliorarono, il podio era sempre alla mia portata; le convocazioni nelle rappresentative regionali piovevano sulla mia testa.
Ma fu nel settembre 1990 che l’emozione e la soddisfazione toccarono il cielo, e con loro la mia felicità.
Avevamo vinto i Campionati Regionali nel maggio precedente con la staffetta 4x400; eravamo arrivate in settembre, dopo un’estate di duro lavoro, a quei Campionati Italiani. Felici solo di essere lì, senza pretese, un po’ perché eravamo le più piccole, le uniche al primo anno nella nostra categoria, un po’ perché il livello delle altre ragazze era alto.
Noi avevamo tutte 15 anni, soddisfatte solo per essere arrivate fino lì. Io, Tiziana, Claudia e Nicoletta. Per noi era stata dura rinunciare quell’anno alle vacanze, alle uscite con gli amici, alle gite, ma in quel momento nulla aveva più importanza.
Arrivammo sul campo di gara alle 16:30, eravamo a Rimini, facemmo un giro per il campo, dando un’occhiata anche alle altre ragazze di altre squadre. Avevano tutte, minimo, un anno più di noi, decidemmo di cominciare con calma a scaldarci.
La gara era alle 17:30.
Una ventina di minuti prima della partenza infilammo le scarpe chiodate, per la prima volta il nostro piede toccò quella pista, morbida. I blocchi erano già pronti nelle corsie, noi occupavamo la numero 5.
Si avvicinò un giudice, ci fece scegliere il testimone, noi scegliemmo quello color oro. Ci guardò male e Nicoletta disse <<sarà il nostro colore>>. Lui se ne andò.
Tiziana era la prima a partire, seguivo io come seconda staffettista, poi Nicoletta e infine toccava a Claudia. La tensione aumentava, l’adrenalina era al massimo.
Nemmeno il tempo di rendermene conto…PUM..Tiziana era partita, nelle sua corsia, stava andando forte, stava dando il meglio, mi passò il testimone:eravamo terze.
Corsi più che potevo, dopo cento metri ero ancora terza ma sentivo che erano alla mia portata, dovevo lasciare solo che le mie gambe si sciogliessero, via la tensione, via i pensieri, corri, mi dissi, corri e basta.
Sentii dentro di me una molla, scattai, mancavano duecento metri, ne superai una, superai poi anche l’altra, ormai stava finendo, intorno a me il buio, il silenzio, c’ero solo io, la mia corsia. L’ultimo rettilineo, intravidi Nicoletta pronta a ricevere quel testimone color oro. Non mollai, le braccia facevano male, ma non potevo mollare in quel momento. Ecco, la mano di Nicoletta ora era vicina, aperta, pronta ricevere quel testimone. Glielo passai, per prima.
Lei prese ancora più vantaggio, andò forte, e poi Claudia, concluse. Avevamo vinto. Scoppiammo in lacrime. Lo stesso giudice che ci aveva fatto scegliere il testimone, venne a riprenderlo: <<Complimenti, avevate ragione, è il vostro colore>> ci disse.
Eravamo al settimo cielo, lo toccavamo, con un dito, anzi a piene mani.
La fatica, due ore di allenamento ogni giorno, lo sconforto nei pomeriggi in cui ci domandavamo perché a quell’età dovevamo sacrificare il divertimento per la pista, cosa ce lo faceva fare, le sgridate dell’allenatrice quando la voglia di correre era poca, la tentazione di mollare tutto per una settimana di vacanza al mare. Ci portavamo avanti una con l’altra, era questa la nostra forza, era la squadra, ma nello stesso tempo era la voglia di sfondare individualmente, in fondo ognuna delle quattro aveva un quattrocento da fare, per le altre, ma anche, soprattutto per se stessa, per i sacrifici fatti fino a quel momento.
Vincemmo con 4 secondi di vantaggio sulle seconde, eravamo ancora più soddisfatte. Ci sentivamo importanti, in quel momento eravamo le star. Già l’anno prima avevamo vinto, nella categoria inferiore, i campionati italiani, un’altra staffetta, categoria cadette. Ma allora era stata più soft, eravamo le “vecchie”, le favorite, era solo questione di correre come eravamo capaci, non deludere le attese. Ora invece eravamo le sfavorite, le più piccole, le nuove, in Italia non eravamo ancora nessuno, quel pomeriggio nessuno ci conosceva, alla sera eravamo sulla vetta.
Ho smesso di fare le gare nel 1995 , andavo poi in pista solo per correre, allenarmi, ma senza scopo, senza motivo di preparazione, con l’arrivo del lavoro, piano piano smisi del tutto.
Ieri, dopo 5 anni, ho rimesso piede su quella pista. Che emozione ragazzi. Mi si è aperto il cuore, mi sentivo a casa mia. Sono stata lì quasi mezz’ora, vedevo i ragazzini che correvano, con lo stesso entusiasmo con cui correvo io, e la cosa che più mi ha stupito, è stata respirare ancora, a distanza di tempo, lo stesso odore di agonismo, di voglia di correre, non ho resistito; è come imparare a camminare, poi non smetti più. Un giro, uno soltanto, piano, corricchiando, con le lacrime agli occhi!


Miky

   
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