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 La Musina
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leda cossu
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Inserito - 31/08/2003 :  09:54:03  Mostra Profilo  Visita la Homepage di leda cossu Invia un Messaggio Privato a leda cossu


La musina

Seduta per terra, sulla “caesea”* del letto, rialzai il viso ribelle e bagnato. Avevo pianto a lungo con la testa rannicchiata fra le ginocchia. Mi rivolsi a me stessa, a quando fossi diventata adulta: mi devi ascoltare dissi, puntando severa l’indice all’insù. Da grande non devi dire: “ma” le persone cambiano, la gente è cattiva, è tutto inutile, la vita è dura, devi restare con i piedi per terra, gli ideali sono sogni. Soprattutto non devi dire che il cielo è lontano, perché i bambini non devono perdere la speranza.
Cercavo in me stessa una “bricoea”* alla quale “attraccare” la mia anima. Mi dicevo: devi vederle le immagini belle, le persone buone, le sensazioni piacevoli: i sapori, gli odori, i suoni. Te le devi mettere “in musina”*. Da grande la devi aprire e raccontare verità e non cose che nascono solo dalla bocca..
Iniziai lì il mio viaggio. Avevo 8-9 anni. Cercai nel passato, fotografai il presente, lo annotai per il futuro: una casa bella in montagna a Tai di Cadore e la sensazione di stupore che mi allargava l’anima. La vecchia madre di Giorgio-lontano che mi apriva la soffitta e il tepore che faceva nascere nel mio cuore. I libri sui vichinghi e la voglia di conoscere. Le “spiere de sol” che disegnavano ricami sulla parete…. Cercavo di essere precisa nel vedere perché il ricordo doveva essere vero.
Imparavo a dire “e” al posto di “ma”. Scoprii che si cresce per imitazione ed anche per differenza.
Vidi lo sguardo senza anima della mia terribile maestra che si apriva ad un silenzioso dubbio oltre i vetri della classe e sperai che le si aprisse il cuore. Vidi mio zio Bepi, non solo bevitore. Aveva occhi azzurri e parlava agli uccelli. Ce n’era sempre uno sul tavolo della sua cucina: un passero, o un merlo, o una cocorita. Gli facevano la guardia; all’ingresso ti svolazzavano attorno gridando ed atterravano sulla sua spalla. Li ospitava e curava se feriti. In osteria facevano capolino dalla tasca interna della giacca. Restauratore del legno, salvava con maestria anche quelli più fragili. Troppo fragile lui invece, per reggere le chiacchere sciocche dei compagni in un intero giorno di lavoro. Non sempre i gruppi creano comunità. Un pelandrone, diceva qualcuno, ma lui lavorava sempre. Morì il giorno di Natale del ’75, in ospedale. Era un bellissimo giorno di sole. Fui risvegliata dalla voce di mia madre, ai piedi delle scale. Le chiesi: era solo?
Mi stupii subito di questa domanda. Già adulta, non avevo ancora visto un morente, la mia famiglia era numerosa, che c’entrava la solitudine? Iniziai allora a rispondere ad una domanda di cui intuivo la risposta, ma che non avevo ancora portato a coscienza. Quando stai troppo male per vedere oltre il dolore, devi avere qualcuno vicino che ti riconosca, o che di te abbia un’immagine vera, antica, una foto prima del dolore. Almeno un volto amico che di te sappia il nome, veda la tua bellezza, ti ricordi chi sei.
Ho visto molto, spesso navigando “a vista”, ed ho imparato a scorgere, nella vita di sonno e di veglia, la bricola a cui buttare “la mia sima”: la presenza di Dio.
Una Presenza che a volte non si mostra subito.
Quando un dolore mi vela lo sguardo, quando mi trovo davanti la valigia aperta per un nuovo viaggio che non ricordo di avere organizzato io, mi guardo attorno. C’è sempre l’Angelo che mi siede accanto. Che punta l’indice sulla mia musina. Mi regge le mani con cui la apro tremante, una volta ancora. Dentro c’è accumulato il lavoro su me stessa, qualche talento in dono, molta bellezza vista, pensieri e sensazioni piacevoli, un vissuto memore. Non molto.
Risorse solo per una caparra, il resto so ormai che lo acquisterò in viaggio.

Leda, 30 agosto 2003

* Caesea: piccola calle veneziana. Qui lo stretto spazio fra due letti. Bricoea: bricola, palo di legno infisso in acqua, al quale attraccano le barche nei rii veneziani. Musina: salvadanaio. Sima: corda per attraccare la barca alla bricola.


Leda

   
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