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 Il mirino
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I Topini di Rarotonga
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Il mirino

L’aria della stanza si era fatta pesante. Il fucile si era fatto pesante. Da ormai parecchie ore Steve stava immobile con la canna della sua carabina di precisione puntata attraverso la fessura della finestra scorrevole, coperto dalle tende veneziane.
L’occhio nel mirino non perdeva nemmeno una frazione di secondo di quello che accadeva quattordici piani piu’ sotto, all’ingresso del palazzo di fronte. Se avesse potuto evitare di battere le ciglia sarebbe stato ancora meglio. Steve era un perfezionista, tutto era perfetto, studiato fino nei minimi paranoici particolari; solo cosi’ potevi essere il migliore. E lui lo era. E voleva restarlo a lungo.
La camera 3113 presa in affitto era mediocre, spartana e nemmeno tanto pulita, ma non era quello che importava. La posizione era perfetta. La finestra era posizionata dove meglio non si poteva sperare di trovare.
Era primo pomeriggio, la giornata calda di inizio estate non era certo di aiuto per il tipo di lavoro che doveva svolgere. Ma per lo meno c’era il sole, e puntava dritto nella stessa direzione dove puntava il suo mirino. Un bell’aiuto, stavolta. Altre volte invece pioveva a dirotto, e si corre il rischio di sbagliare, con la pioggia.

Nello stesso momento, cinque insospettabili uomini d’affari stavano entrando nel palazzo nel quale era situata la camera di Steve. Sotto le giacche eleganti e a contatto con camicie bianchissime c’eano le fondine che sostenevano le pistole di ordinanza dell’FBI. Presero due ascensori differenti e su entrambi selezionarono il piano quattordici.

Ci fu’ del movimento nell’atrio del palazzo di fronte, ed un folto gruppo di persone usci’, prima poliziotti in divisa, poi eleganti individui, tutti molto vicini tra di loro, tutti molto di fretta.
Steve riconobbe il Presidente al centro del gruppo. Era circondato da decine di persone, tra scorta ed altri rappresentanti del governo. Tutti comunque un bersaglio facile da quell’altezza, per un professionista.

Gli ascensori stavano salendo rapidamente, fermandosi di tanto in tanto a raccogliere ignari passeggeri. Gli agenti misero le mani sotto le giacche per aprire le fondine e posizionare le dita sui grilletti. I pollici disinnescarono le sicure.

Il mirino circolare sezionava la scena in modo che vi entrasse solo il Presidente e quattro persone a lui adiacenti. Anche Steve disinnesco’ la sicura del fucile, l’indice si poggio’ bene a contatto con il grilletto.
Il gruppo sul marciapiede del palazzo di fronte camminava a passo sostenuto, dovevano percorrere duecento metri per arrivare alle automobili. Ne mancavano circa cento. Steve li seguiva nel mirino come una telecamera, senza movimenti bruschi, alla stessa loro velocita’, aspettando il momento giusto. Il segnale.

Le porte degli ascensori si aprirono quasi contemporaneamente, tre uomini uscirono da uno ed altri due dall’altro, tutti conversero verso lo stesso corridoio, tutti arrivarono davanti alla stessa camera. 3113.

Se Steve si fosse voltato verso l’ingresso avrebbe visto le loro ombre penetrare da sotto la porta.
Ma non si volto’. Non poteva. L’occhio era ancora concentrato sull’uomo nel gruppo. Improvvisamente vide che era il momento. Il centro del mirino puntava dritto al cuore. Il suo dito indice premette il grilletto. Ci fu’ solo un rumore sordo, e quasi alcun rinculo, la carabina rimase dov’era, ma l’uomo nell’obiettivo non c’era piu’. Si era accasciato.

Pochi secondi dopo lo sparo si apri’ la porta. I cinque uomini entrarono, Steve si volto’ di scatto, depose il fucile.
Quello che sembrava il capo stava parlando con un microfono nascosto. Guardo’ Steve e disse: “Ok, il Presidente e’ Ok. L’infiltrato e’ stato abbattuto appena dopo aver estratto la pistola. Tempistica perfetta. Le riprese lo inchiodano mentre punta al Presidente. Ottimo lavoro Steve, possiamo andare.”
Steve lo sapeva, aveva sempre fatto ottimi lavori. Era il numero uno.

   
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