Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 05/02/2004 : 23:22:50
Il silenzio pesante come un macigno, gelido come una notte in Siberia era sceso improvvisamente fra noi. Tenevamo entrambi gli occhi bassi, fissi al suolo. La tensione come spesso suole dirsi si poteva tagliare con un coltello tanto era palpabile. Eravamo nel salotto di casa sua, seduti sul divano uno di fronte all’altra. Fu Marisol a parlare per prima rompendo il ghiaccio che si era cristallizzato fra le nostre figure rendendoci simili a due statue, incapaci del più piccolo movimento. Lo fece lanciandomi uno sguardo aggressivo, furente ma nello stesso tempo addolorato, nel suo idioma che era un misto di spagnolo e italiano, tanto divertente alle mie orecchie. “Lo que no capisco es porqué? Porqué? Ti sei stancato di me, vero? Hai un’altra? Hablame, cocudo! Dime la verdad!” “No, tesoro! Niente di tutto questo. Ti amo come sempre e neanche per un attimo mi sono stancato di te.” “E allora, porqué? Porqué? Ti ho fatto qualcosa? E’ per quella storia dell’altra sera, quando sono andata a ballare con i miei amici?” Un risolino amaro mi sgorgò dal petto. “No, mi vida! E’ acqua passata. Il motivo è un altro, ma…….” La voce mi s’incrinò “…non so se voglio dirtelo.” “ME LO DEVI DIRE, POR DIOS! Mi lasci dopo tre anni e mi dici <<non so se voglio dirtelo>>” Mi fece il verso tentando un’improbabile imitazione della mia voce cercando di accentuare la “erre” alla francese. Il risultato fu estremamente comico ma nel momento meno opportuno. Lo stesso soffocai una risata e le presi le mani, guardandola negli occhi. “Ti prego, mi amor. Non vorrei lasciarti. Yo no queria lassarte!” “Si dice dejarte, non lassarte!” “Marisol, non è il caso di fare un corso di lingua spagnola proprio adesso!” le dissi in tono duro. Sorrise amaramente, mentre gli occhi le si riempirono di lacrime. Conoscevo quella situazione: era il preludio di un diluvio, tra poco sarebbe scoppiata a piangere. “Porqué, porqué? Tu me estàs engañando!” Le lacrime ora sgorgavano copiose. “Marisol, credimi è meglio adesso che fra un anno o due.” “Ah, avevi in previsione di lasciarmi comunque.” Il suo tono era decisamente e giustamente risentito. “Si, amore. Tra un anno, forse due, forse di meno, forse di più, ti avrei lasciato. Ma non solo te, tutti!” Mi guardò senza capire, interrompendo il pianto. Restai muto qualche istante. Poi estrassi dalla tasca della mia giacca un foglio e glielo porsi. Lei lo guardò, continuando a non capire. “Che cos’è? Lo sai che non conosco molto bene l’italiano.” Mi rischiarai la gola e poi con molta fatica iniziai a parlare. “Ti avevo detto, se ben ti ricordi, che era un periodo che non mi sentivo per nulla bene, diciamo un paio di mesi. Ebbene sono andato a fare degli esami e dopo averli visti, il mio medico me ne ha fatti rifare di più circostanziati, perché non si fidava del responso. Gli ultimi hanno confermato quello che si temeva, quello che hai in mano è l’esito definitivo.” Mi guardò allibita, spaventata mentre un oscuro pensiero cominciava a formarsi nella sua mente. “Y entonces? Allora?” “Ho anche paura a pronunciare il nome del male che mi sta lentamente divorando. In ogni caso, non mi resta molto, come ti ho detto un anno, forse due, chissà?” “Ma non……é…..possibile!” balbettò. Il colore olivastro della sua pelle si fece pallido come quello di una vichinga nordica. “Possibilissimo, per questo voglio allontanarmi da te. Voglio fuggire via.” “Non ti credo! Mi stai mentendo!” disse pochi istanti prima che scoppiasse il diluvio. Cominciò a piangere disperatamente, stringendosi a me. Io l’accarezzavo la testa dolcemente, ma non c’era verso di calmarla. “Buona, buona, amore. Non fare così!” “MA COME NON FARE COSI’!” urlò staccandosi da me. “Come dovrei fare, secondo te?” “Non certo così, ti prego.” “Sembra la scena di quel film che abbiamo appena visto insieme, come si chiamava…ah sì <<Autunno a New York>>.” “No, tesoro, è tutto vero e sta scritto su quel foglio.” “Mi vuoi abbandonare? Ma io non ti lascio, ci sarà pure un rimedio. La medicina fa miracoli oggi.” Stranamente la disperazione la stava facendo parlare in un italiano fluido, come mai l’avevo sentita. “Nessun rimedio.” Le risposi. “Non ci credo. Io ti starò vicino, lotterò con te fino all’ultimo.” “Marisol non mi stai aiutando. Mi stai rendendo tutto più difficile.” “Ma come puoi parlarmi così? A me non ci pensi?” Le serrai le braccia costringendola a voltarsi e a guardarmi mentre un’ira sorda mi pervadeva. “IO NON PENSO A TE? Se ti lascio lo faccio solo per te. Sei tu che non pensi a quello che sto passando. Credi che mi stia divertendo, che per me sia facile? Adesso mi vedi quasi normale, ma fra un po’ di tempo il male mi corroderà, mi vedrai sfiorire, appassire, non sarò più lo stesso. Con che animo potrò starti vicino e pretendere che tu faccia altrettanto, me lo dici? Vedere e sentire la mia e la tua sofferenza ogni giorno che passa. No, mi spiace, mi basta la mia e credimi è quella più grande. Credi che sarà bello dover rinunciare a te, dover dire addio alle giornate calde d’estate, alle foglie colorate d’autunno, alle piccole cose della mia vita come che né so….il cioccolato fondente, il rum cubano che tanto mi piacciono, a tutto quello che mi circonda, a quello che vedo, tocco, all’aria che respiro. Sapere che domani potrebbe essere l’ultimo giorno, o forse no dopodomani. Lo sai come mi sento? Mi sento come uno zombie, un uomo morto che cammina. Vedi è più o meno la stessa sensazione che si prova quando si è all’ultimo giorno di vacanza: se sei al mare lo guardi, magari fai il bagno cerchi di assaporare gli ultimi istanti ma qualcosa dentro di te ti dice che quella non è più una dimensione reale, sei già altrove non sei più lì, c’è il tuo corpo ma ancora per poco, non riesci più a divertirti perché il tuo tempo è scaduto. Con la differenza che in vacanza hai la speranza di tornarci, in questo caso no, il biglietto è di sola andata. Tu soffrirai tanto, ma piano piano sempre di meno e fra qualche anno mentre sarai a ballare in qualche diavolo di festa sudamericana, tracannando birra a tutto spiano, io sarò solo pasto per i vermi.” Le ultime parole le avevo gridate. Lei s’accasciò a terra urlando con le mani nei capelli, in preda a una crisi isterica. Mi ero calmato abbastanza da ricompormi e da darle l’ultimo saluto. “E’ meglio così, credimi. Io solo so quello che mi sta costando parlarti così, ma lo faccio unicamente per te.” Mi chinai su di lei, la baciai e prima che potesse dire o fare qualcosa avevo già guadagnato l’uscita, lasciandomi alle spalle i suoi singhiozzi disperati. L’aria calda dell’estate mi accolse come un abbraccio. Mi sedetti su una panchina e mi accesi una sigaretta aspirando voluttuosamente. Mi giravo e rigiravo tra le mani il foglio il cui esito non lasciava dubbi: dovevo assolutamente mettermi a dieta se volevo far scendere i valori della glicemia e del colesterolo. Rischiando l’avevo usato come arma nei suoi confronti, sicuro che non avrebbe capito il significato. Ero troppo codardo per dirle la pura e semplice verità: che non l’amavo più.
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