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 25 Concerto di Bimbi
 Bambini in difficoltà- I fiori gialli.. racconti
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Elena Fiorentini
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Il Papa in occasione delle Ceneri non ha mancato di ricordare le difficoltà in cui versano molti bambini.
Comincio una serie di storie di bambini in difficoltà.
Questa è la storia della emarginazione di un bambino, figlio della società dei paesi sviluppati, che, in linea teorica, non dovrebbe avere problemi.
di
Elena Fiorentini


Cuore di bimbo

Un mazzo di fiori gialli

Dell’amabile bambino
Che a scuola s’è recato
Batte forte il cuoricino.

Il papà è coricato
Ammalato giace a letto.
Marco è molto preoccupato.

Il ragazzino, che chiameremo Marco, con lo zainetto in spalla, si reca a scuola di malavoglia.
Stamattina il papà, reduce da lunghi ricoveri in ospedale, alternati a momenti passati in famiglia,non s’è voluto alzare.
Dice di avere un forte mal di testa.Il suo consueto brio, malgrado l’incidente invalidante, sembra scomparso.

“Chissà che cosa gli sta accadendo di nuovo”- pensa il ragazzino- “ voglio il mio papà. Non voglio che gli succeda più niente.”

Gli vengono le lacrime agli occhi, ma è un uomo, un piccolo uomo, cresciuto troppo in fretta. Inghiotte, si incupisce ed entra a scuola. Non saluta nessuno, si siede in silenzio e ripensa agli ultimi mesi.
***
Ha otto anni, ha fatto da poco il trasloco, aiutando la mamma a impacchettare libri e oggetti vari e a caricare l’auto.
La mamma fa tutto da sola. Dalla sua famiglia di cui era tanto orgogliosa, cinque persone tra genitori e fratelli,non viene nessun aiuto , nè morale nè pratico.

C’è solo il suo ragazzino a sostenerla. Lo sfratto, la ricerca affannosa di una casa, la mancanza di una posizione lavorativa stabile non le consentono di avere un mutuo per l'acquisto, poi, finalmente il miracolo.
Quando a Marco viene chiesto se gli piacerebbe il grande appartamento dove si è recato in visita, ha un malore per l'emozione.
Il trasloco è stato faticoso, Marco,la mamma e gli addetti al trasporto dei mobili.
Il marito è ricoverato in ospedale in Francia, ultima spiaggia per molti ammalati. Si spera che il piede , curvato dall’urto dell’auto investitrice, possa essere raddrizzato, dandogli la possibilità di appoggiare il piede e di camminare.
***
La scuola è nuova,le maestre non sono ben disposte , perché viene da altri metodi di insegnamento e tocca a loro fare un certo sforzo per abituarlo ai metodi nuovi.
I bambini con i quali vorrebbe tanto fare amicizia, hanno i loro gruppetti e lo ignorano.
***
La maestra lo richiama. Racconta anche una cosa buffa per far ridere i bambini.
Marco si mette due dita agli angoli della bocca per impedirsi di ridere.Marco è infelice,nessuno si occupadi lui, perchè ridere?

La sua mente è fissa su un punto solo:la stanza buia e il papà con il male alla testa.Deve occuparsi di suo papà.Deve difenderlo quando cammina molto lentamente per la strada,lo aiuta tenendo ferma la sedia perchè non la faccia cadere mentre si siede.Si sente padre di suo padre.
***
A casa nel frattempo tutto sembra risolversi per il meglio.
Viene preparato il pranzo, il papà è vestito a puntino,il mal di testa si è attenuato.
Marco invece tarda a rientrare.
Cinque, dieci ,poi venti minuti. La mamma indossa il cappotto, ma, mentre apre la porta, vede avanzare un grande mazzo di fiori, tenuti in mano da Marco.

“Papà, sono per te”
“ Ma che cosa ti viene in mente, non è una festa.
Lo sai che è tardi, ci hai fatto stare in pena?”.
“ Non resistevo più a scuola a pensare al papà al buio con il mal di testa. Non sapevo che cosa fare: volevo dargli un po’ di luce, un po’ di chiaro a quella brutta stanza buia..“

Il ragionamento non fa una grinza: i fiori scelti erano gialli.
" Non ti saranno nemmeno bastati i soldi"

Scoprimmo che i soldi non gli bastavano, ma il fiorista gli aveva fatto un considerevole sconto, commosso dal gesto di questo bimbo dal grande cuore.
***
Da allora, anche ora che il bimbo è diventato uomo, il fiorista non manca di fargli un piccolo sconto sull’acquisto dei fiori.

di
Elena Fiorentini


Edited by - Elena Fiorentini on 08/03/2004 12:03:50

Edited by - Elena Fiorentini on 29/07/2004 13:03:37

Elena Fiorentini
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di
Elena Fiorentini
Le scarpine

^^^^VVVV^^^^VVVV ^^^^VVVV


Giovannino era il più piccolo dei bambini della scuola materna situata nel centro dell’ unica area verde della zona Ticinese, la storica zona dove l’acqua del Ticino, tramite una rete di canali , entra in città, portando con sé barconi pieni di merci.
Per decenni fu zona a residenza popolare: i vecchi quartieri con i piani bassi adibiti a magazzino di ricevimento e distribuzione, i piani alti ad abitazioni dei proprietari dei magazzini, di negozianti ,di artigiani e operai.

Giovannino abitava in una delle case del vecchio quartiere, come tanti altri bambini..Era un bel bambino, socievole e simpatico .
Le mamme notarono però l’abbigliamento particolarmente dimesso. Non era difficile in zona Ticinese vestire un bambino, anche per una famiglia di pochi mezzi.Magari si potrà notare la differenza tra l’abito firmato da quello del grande Magazzino,ma tutti hanno la possibilità di avere un abito grazioso e adatto all’età. C’era il famoso mercato del sabato, che partiva da via Calatafimi verso il centro e dove si trovava di tutto a prezzi accessibilissimi, anzi “stracciati” . Sul Corso S. Gottardo c’erano negozi di ogni genere dove trovare tutto secondo le proprie possibilità
Quello che aveva dato a pensare alle mamme erano le scarpe.Essere poveri non è un disonore, ma un paio di pesanti stivali di gomma del numero 38 indossati a settembre da un bimbo di soli tre anni e mai sostituiti con scarpe adeguate per un paio di mesi...un po' troppo....
Ne parlammo alle maestre, che accettarono di raccogliere abiti donati dalle mamme.
Venne formato un corredino che consisteva in abiti smessi da altri bimbi. Erano tutti abiti molto belli, donati dalle famiglie più abbienti che sostituivano con estrema facilità gli abiti ai propri figli, soprattutto se figli unici , senza fratellini pronti a riceverli .
Un cappottino delizioso, di calda lana in sostituzione della vecchia giacca a vento, fredda e grande; alcune camicine e maglioncini, salopette di velluto,biancheria intima in ottimo stato, calze nuove e due paia di scarpe.
Le mamme erano contente e desideravano addirittura che il bambino potesse già vestirsi bene. Le maestre approvarono, purché non lo facessero loro. Non lo potevano fare.
Mi assunsi la responsabilità. Se la mamma si fosse offesa, ne avrei risposto io. Condussi il piccolo in bagno, gli tolsi gli stivaloni. Sotto indossava un paio di calze, ragnatele stracciate, con più buchi che tessuto.
Feci scendere l’acqua calda, gli lavai i piedini, e lo rivestii completamente. Finalmente indossò le calze e le scarpine. Giovannino accettò tutto di buon grado, zitto - zitto.
La mamma non fece commenti. Più avanti la fermai perla strada, le chiesi se avesse avuto problemi, rispose, no… anzi… grazie…abbiamo avuto guai…
Quando incontravo Giovannino per strada mi correva incontro esclamando tutto sorridente : “:Le cappine, le scarpine.”
Passarono alcuni anni e cambiammo casa. I due bimbi non si rividero più per qualche anno. Un giorno, tornando nella vecchia zona, mio figlio già grandicello, lo incontrò per strada.Giovannino salutò sorridente e sentì ancora il bisogno di ricordare il regalo degli abitini e in particolare le scarpine.
- Te ne ricordi ancora? Sembra impossibile-
Passarono altri anni, oramai giovane uomo di 25 anni, di nuovo salutò con un grande sorriso e rammentò quel momento di grandissima emergenza nella sua famiglia e soprattutto quei terribili stivali che lo torturavano, sostituiti finalmente da vere scarpine da bambino.


Edited by - Elena Fiorentini on 28/02/2004 11:56:32Vai a Inizio Pagina

Elena Fiorentini
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di
Elena Fiorentini
Storia di Mohammed

Il pulmann che porta i magrebini dal Marocco arriva a Milano e riparte dalla stazione di Lambrate ogni venerdì.
Accanto alla linea ufficiale fa servizio una linea di auto pulmann parallela, che trasporta i più disperati e gli irregolari.
Non so quale soluzione abbia adottato il padre di Mohamed quando si imbarcò per la prima volta sul pulman del venerdì.
Conobbi il piccolo Mohamed mentre se ne stava raggomitolo a ridosso della vetrina di un panettiere, aveva circa nove anni.
Seppi in seguito che era venuto a Milano con il padre e due fratelli maggiori. Dormivano in un container gelido non so in quale angolo di periferia e vivevano mendicando.
Mohamed non ha mai teso la mano e mi disse la verità sul suo nome, quando glielo chiesi.
Teneva lo sguardo basso, triste,le spalle incassate da bambino rachitico e malnutrito. A volte aveva le guance arrossate dalla febbre alta.
Era ben voluto da tutti.
C’era chi gli donava,con regolarità, della frutta fresca,del pane e del companatico, una volta mi mostrò un salamino.
Alla domanda se fosse andato volentieri a scuola, rispondeva i sì.
Se ne occupò un giornale milanese.
Venne alloggiato in una casa-famiglia e venne mandato a scuola per circa un anno.
Quando chiese di rivedere la madre, gli fu, naturalmente, concesso.
Riprese il pulman del venerdì e non fece ritorno. Lo vedemmo ancora, oramai quattordicenne stazionare nuovamente davanti alla panetteria, sempre con il suo modo di fare mite e un po’ triste.
Poi scomparve. Ora potrebbe avere venticinque anni.
Se il Tribunale dei minori avesse potuto intervenire avrebbe potuto aiutarlo ad inserirsi nella nostra società.

Milano ,ottobre 2003


Edited by - Elena Fiorentini on 27/02/2004 22:47:10Vai a Inizio Pagina

leda cossu
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Una calzamaglia rossa.


Non era ancora Natale, aveva nevicato. Appena tornata da scuola avevo infilato i piedi nel forno della cucina a legna della nonna per scioglierli dalla morsa del freddo.

Avevamo cambiato casa. Di argine in argine abitavamo da 3 anni vicino al Macello, oggi trasformato in Teatro.
Silvio Carraro, il figlio di Livia, non ci aveva dimenticato. Erano i nostri vicini di casa dell’argine di Ponte del Vaso. Avevo 6 anni quando ci trasferimmo nelle case dell’Ina Casa. Un ampio cortile centrale, una specie di piazza per i giochi collettivi, gli orti attorno, i giochi sull’argine della Brenta… mia sorella ripescata provvidamente da un ragazzo più grande… dopo una gara di rotolate dalla sommità della stradina al ciglio dell’acqua.

Silvio veniva a trovarci ogni tanto, non spesso e prima di Natale sempre, molto prima. Non parlava e non restava molto, una presenza quieta, un leggero sorriso. Ho saputo poi che la sua moto si era schiantata a ridosso di un camion, o di un bus che aveva frenato improvvisamente. Una passeggiata sulla terra finita a 21 anni.
Suo padre era un venditore di carni. Un mediatore. Lo trovavi al Mercato dei Cavalli, un luogo ombreggiato da alberi fra il Brenta e la Provinciale che va a Padova, davanti al vecchio ingresso dell’Ospedale. La trattativa aveva pochissime parole e molti gesti con le mani: 1, 2, 3 con le dita e una stretta di mano a sancire il buon esito dell’accordo verbale (“verbale”… si fa per dire).

Quell’inverno Silvio avrà avuto 18 anni. Erano i suoi primi mesi di lavoro, i suoi primi stipendi. Mi chiedo ora se io avessi desideri a 8-9 anni. Si, partecipare al sostentamento dei miei. Ho cominciato allora a cercar lavoro: Impiraressa (infilare le perle), raccogliere le verdure nei campi dei Mion, che erano in precedenza dei conti Carrara, di cui si diceva “nol xe bon gnanca par i cani dei Carara”, come a dire che erano cattivissimi come i loro padroni. E dagli undici anni finanziavo il cinema alla domenica per le mie sorelle, mia madre e mia zia ricamando veli da chiesa. Me li andavo a prendere a Pianiga da una signora che mi forniva tutto il materiale, diciotto chilometri anche d’inverno. L’indirizzo l’avevo avuto da una compagna dell’Avviamento Professionale, si chiamavano così le scuole per i poveri. Ricamavo vicino alla radio, un’immagine raccolta che mi sembrava quietare gli animi della nonna troppo volitiva e di uno zio... per nulla buono.
Avevo anche un grande desiderio: che nessuno dicesse ai bambini “quando sarai grande dimenticherai tutte le fantasie, i sogni… ed anche il Cielo”. Mi sembrava una cosa orribile, questa era per me la vera “Povertà”, dimenticare la bellezza, la bontà, il Cielo. Perché io non mi sentivo povera. Mai sentita. Grandezza di mia madre che ci faceva sognare e pregare per tutti. Era quella la ricchezza, pensare di poter fare qualcosa nel bisogno, anche solo un pensiero buono, solidale, amico.

Io ce l’avevo un amico: Silvio. Da molti anni non c’era più suo padre, sua madre era molto preoccupata perché diventasse bravo… ma bravo lo era già. Uno bravo senza tante parole, come suo padre. Prendeva iniziative, come un ragazzo che si sente già grande, uomo.

Quel giorno, dopo un po’ che era seduto a capotavola aprì un pacchetto. C’erano alcune cose e una confezione piatta, lucente… per me. Aprila, mi disse. No, aprila tu, risposi. Davanti ai miei occhi stupiti si srotolarono un paio di calzamaglia rosse di lana, bellissime. Da bambina grande. Della misura giusta, un po’ più grandi, come si usava allora per i bimbi che crescono sempre troppo per gli abiti che portano. Forse l’aveva consigliato sua madre, o forse no. Non so. Mi vedo ancora con la bocca dischiusa in una enorme 0hhh.

Non ricordo la voce di Silvio, solo i suoi occhi dolci che sapevano sorridere. E “Grazie Silvio” lo dico ancora oggi a quel ragazzo grande, per quel “di più” che ci ha regalato con i suoi primi stipendi. Sapeva leggere nel cuore dei bambini anche i desideri che non pensavano di avere. E li realizzava con le sue risorse.


Edited by - leda cossu on 26/02/2004 16:06:03Vai a Inizio Pagina

Elena Fiorentini
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flash

- 1 -

Qualcuno ricorderà la storia di Graziella, che smaniava e si staccava le flebo dalle braccia, mentre io ero in fin di vita all'ospedale, nel letto di fronte al suo.
Ho già raccontato parte della sua storia ,ma omisi la parte riguardante i suoi bambini, in particolare sua figlia di dieci anni.
***
Graziella era disperata, il marito le aveva fatto firmare un pezzo di carta di nessun valore legale e con quello le aveva detto che si sarebbe portato via i due più piccoli, i due maschietti.
I fratelli di Graziella erano tutti andati a scuola, fino alla terza media ed erano tutti operai.
Le sorelle maggiori non abitavano più nei carrozzoni,lavoravano ed erano persone che avevano acquistato una dignità,finalmente fuori dalla vita di degrado in cui gli Zingari sono costretti a vivere e da cui alcuni cercano di evadere, grazie all'opera della scuola che lavora di fianco all'Opera Nomadi.

Graziella avrebbe voluto una buona vita per i suoi bambini, che le vennero portati via in modo brutale.
Le fu lasciata solo la piccola Ada, la chiameremo così, di dieci anni.Non la conobbi.
Ai numerosi parenti era concesso di entrare nella camera di terapia intensiva, anche due alla volta, malgrado sia vietato entrare più di una persona alla volta, date le sue particolari condizioni.
Furono fatti entrare anche i più giovani.
Non fu una specie di punizione tuttavia l'avere tunuto lontana la figlioletta, ma un tentativo di salvaguardare Ada dal rimorso e dal dispiacere che già provava nell'avere portato il bicchiere d'acqua con il quale la mamma aveva ingoiato una confezione di compresse di gardenal.


-2-

Un altro flash di vita di bambini in diffocoltà riguarda quelle piccole creature che vedevo ogni lunedì mattina al mercato che va da piazza Gorini a viale Romagna a Milano, zona città Studi.
In mezzo all'incrocio un bambino, molto piccolo,lo si capiva benissimo, con la testa rasa e segni di ferite e mutilazioni gravissime nel corpo lasciato appositamente scoperto, nel mese di gennaio.Un cartello segnalava che era un bambino vittima dell guerra in Yugoslavia e si pregavano i passanti di buon cuore a lasciare un aiuto.
In altri angoli del mercato altre creature ugualmete ferite mutilate.
Non sto riproponendo una pagina di un libro di Victor Hugo, ma sto raccontando ciò che vidi inorridita lo scorso anno in un mercato a un Kilometro da casa mia.

Ne parlai ad un commerciante. Mi disse che alle otto del mattino arrivava un pulmino che scaricava nei vari angoli del mercato questi bambini.
Andai a casa e decisi di muovermi.
Prima telefonata: Charitas Ambrosiana.

" Cara signora,conosciamo il problema. Abbiamo più volte tentato di intervenire. Portiamo il bimbo in una casa-famiglia, o in ospedale, dove potere aiutare i mutilatini anche con delle protesi, ma non si sa chi sono. Si presentano degli adulti, dicono che sono i genitori e se li riprendono, continuando la loro vita di miseria.
Non creda che vengono dalla ex-Yugoslavia.Sono bianchi,hanno la pelle molto chiara, ma non è detto che siano Slavi e che vengono dalla Yugoslavia. Lo sa solamente il Signore da dove vengono.
Parlano lingue o dialetti che non siamo riusciti ad identificare."
Mi sembro di vedere la mia interlocutrice allargare le braccia con grande rassegnazione.

"...e il tribunale dei minori?" azzardai

" Provi pure, ma vedrà che la risposta non sarà molto diversa"

Seconda telefonata: tribunale dei minori

" La questione è legata alle leggi vigenti che non tutelano i minori che non sono Italiani "
Questa la risposta del tribunale dei minori di Milano.

Terza telefonata: vigili urbani

"Cara signora, se Lei ci dice che sono in un incrocio, mettono in pericolo il traffico automobilistico. Va bene, facciamo uscire una pattuglia."
Forse uscì una pattuglia, l'unico intervento ottenuto.
I mutilatini non si videro più, dove furono fatti emigrare dai loro aguzzini?

Passò del tempo, ne comparvero ancora , ma mai più di uno o due, sui mercati, con maggiore discrezione.

Non ho idea se nel frattempo sono state proposte altre leggi per la tutela di minori.
La questione è delicata, difficile, e intanto molte piccole creature innocenti continuano a soffrire.

Edited by - Elena Fiorentini on 05/03/2004 09:45:25Vai a Inizio Pagina

Elena Fiorentini
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- 3 -

Medici, psichiatri, pedagogisti, insegnanti si stanno attivando per tentare di rimediare ai gravissimi danni psicologici di bambini che si trovano in grande difficoltà.
Bambini che sono vittime e testimoni degli attentati kamikaze che vengono effettuati quotidianamente in Israele.
Gli specialisti sono impreparati a fronteggiare questi problemi del tutto inediti.

La devastazione a livello psicologico non ha precedenti, i danni fisici dagli esplosivi dei Kamikaze provocano danni all'organismo che i medici non sono ancora in grado di curare.

***

Milano, agosto 1943
Gabry aveva appena sette anni e non aveva amici.
***
Avrebbe dovuto valicare insieme agli zii e ai genitori il passo impervio,il famoso Passo del Muretto,incastonato tra il ghiacciaio del Forno, che lambiva il passo e quello delle propaggini dell'altissimo ed impervio massiccio del Bernina.
Per arrivarci bisognava percorrere un lunghissimo sentiero in fondo alla valle di Chiareggio, scendere in Svizzera, in val Bregaglia, raggiungere S. Moritz e cercare di essere smistato in uno dei numerosi campi profughi che la Svizzera aveva messo a disposizione.
L'anziana nonna non era in grado di superare il passaggio in cui la strada si trasforma in un enorme muro roccione di pietra e ghiaccio.
L'intera famiglia cercò di sopravvivere alla meglio, passando da un rifugio precario all'altro.
***
Gabry era in strada quel giorno del l'agosto del 1943 , tenuto stretto per mano dalla mamma, quando suonarono le sirene ed iniziò l'inferno.
La mamma doveva prendere una decisione rapida.Un po' ovunque nelle case c'erano dipinte sui muri le scritte "RIFUGIO", erano gli ingressi delle cantine. Se la casa sopra la testa non crollava,si poteva evitare di essere feriti od uccisi.
Qualsiasi passante avrebbe potuto entrare e sperare di essere ancora vivo alla la fine dei bombardamenti.
Entrare poteva anche significare un controllo di documenti o forse no. Se qualcuno si fosse accorto che erano stati falsificati?
Sarebbe stata la deportazione e la morte. Le voci erano arrivate, si sapeva quel che stava accadendo...ne era consapevole anche Gabry che percepì la paura della mamma.
Restarono in strada, appoggiati a un muro, Esterina, la piccola maestra con il suo bambino.
Davanti a loro le luci dei bombardamenti erano paurose, non evocavano certamente i fuochi d'artificio. I boati dei bombardamenti di bombe terribili,il cielo illuminato a giorno dalle luci giallastre, rossastre, a volte vagamente arancioni facevano venire la pelle d'oca.
Ci furono molti morti quel giorno infausto a Milano, per non contare della devastazione di case, edifici pubblici e privati, oltre alla demolizione di alcuni dei monumenti di grande prestigio per la città
***
Gabry non diceva nulla, tratteneva il fiato.
Quando rientrò nell'umido e freddo abbaino si trovò ricoperto di chiazze. Era un tipo di malattia della pelle,di cui non avev mai sofferto. Era simile alla psoriasi e da quel giorno ricomparve anche dopo le cure.
Questo disturbo e altri stati d'ansia che gli impedivano di parlare perdurarono finchè visse. Comparivano quando era sotto stress durante i normali momenti di tensione che accompagnano i vari momenti dell vita.

- 4 -


Ci si abitua a tutto?
Non fanno quasi più notizia gli autobus di linea che in Israele, in un crescendo di inaudita violenza saltano per aria. Non fa quasi più effetto sapere che i bambini che con i loro zainetti si recano a scuola possono vedere i loro compagni di viaggio sbriciolarsi, che restano a loro volte feriti.
Nessuno va più a vedere se dopo un mese sono vivi o morti.
Se però un nostro vicino di casa racconta che è morto un suo parente stretto in quella stessa circostanza,allora , forse,la coscienza si riscuote.Allora forse viene in mente che potrebbero essere i nostri figli, non sono poche parole sulla stampa, sono persone vere.
A me non resta che raccontare in questi veloci FLASH, quello che per un istante, come illuminato da un raggio di luce per un solo istante viene visto.
Flash che vogliono essere un grido che possa essere udito in ogni angolo della terra.

-


Edited by - Elena Fiorentini on 12/03/2004 11:19:56Vai a Inizio Pagina

Elena Fiorentini
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Inserito - 26/03/2004 :  09:51:05  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini
- 5 -

Ci si abitua a tutto?
Ci si accorgerà anche qui in Europa di che cosa viene fatto a questi bambini?

Il bambino che veniva rimandato ai genitori dai soldati del posto di blocco in Israele pianse.
Lo zainetto conteneva un giubbetto pieno di esplosivi e il bambino non era riuscito a farsi esplodere.
Alcuni giorni dopo il macabro spettacolo si ripetè con un ragazzo di alcuni anni "più vecchio".


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Grazia
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Inserito - 29/03/2004 :  13:42:00  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Grazia

L'Iniziativa "Adotta una Pigotta"...una bambola per la vita, nasce più di dieci anni fa, la bambola di pezza, in dialetto lombardo, diventa un simbolo di solidarietà a livello nazionale che si perpetua tutti gli anni nel periodo natalizio.

Questa bambola di pezza è comune a tutte le culture del mondo, oggi è la bambola dell'UNICEF che rappresenta un bambino, in un paese in via di sviluppo, da aiutare o da salvare: le Pigotte sono realizzate da grandi e bambini, nel periodo natalizio si offrono al pubblico pagando un contributo, per raccogliere fondi da inviare all'UNICEF.

Molte scuole, Centri anziani e famiglie si offrono volontarie per realizzare queste bambole e quindi, questa nobile iniziativa, ha reso i bambini protagonisti di un evento che sicuramente ha insegnato loro molto, la proposta dell'UNICEF ha come obiettivo quello di aiutare i bambini sfortunati, la vendita della Pigotta, perciò, è un piccolo passo in più per aiutare un bambino, ogni bambola contribuisce al costo di una serie di vaccini.

Ma la creazione della Pigotta è stata un'occasione per i bambini di dedicarsi ad un gesto di solidarietà e per un momento le Barbie sono state dimenticate e TV, computer accantonati, mentre mamme, nonne, zie e insegnanti si sono impegnate ad aiutare i bambini in questa impresa ad intrecciare fili di lana, tagliare e imbottire sagome di stoffa, annodare nastri, confezionare vestitini e quindi riscoprendo un antico mestiere, nel ricamare e cucire.

Una bellissima iniziativa che, oltre a riscoprire queste stupende bambole, aiuta i bambini bisognosi di cure.

Ogni Pigotta ha un certificato ed è un pezzo unico.

Per saperne di più:


http://unicef.mclink.it/aiuta_unicef/tu/pigotta_come.asp

GrazyVai a Inizio Pagina

   
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