Elisa Della Martire
Esploratore
Italy
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Inserito - 17/08/2004 : 21:41:51
Cercare di farlo stare alzato di notte era come cercare di mettere un vestito da sera ad un delfino. Del delfino, infatti, possedeva tutta l’eleganza ed il portamento, ma, come il delfino, non era motivato, ne' fisicamente incline, ne', tantomeno, predisposto. Nella pelle aveva infilata un’idea di sole, ma, i suoi occhi, che erano manciate di smeraldi screziati di cunei più scuri, erano voce di un istinto contenuto, un po’ tramortiti dalla luce diversa, ma fondamentalmente a loro agio. Un vecchio amico l’aveva invitato ad una cosa molto insolita per lui: un bagno nel lago di notte insieme alle ragazze. A lui le donne non piacevano in quanto esseri pesantemente lunosi, e, francamente, aveva timore di vederne di notte, quando tutto è coperto dove tutto è coperto,. Quel secondo dopo la chiamata aveva taciuto, grattandosi il dubbio se la notte fosse un luogo o un tempo della vita. La notte per lui era soltanto il tempio del sonno, dotato di spigoli vivissimi, certo, altrimenti come si spiegavano le ferite che si allungavano, appena appena rimaneva un po’ sveglio, e tutta la pelle che si allungava, e il cervello che pareva ingrandirsi, per lasciare il posto a nuove, sconosciute e incontrollabili lacerazioni? Indignato da sé stesso e da quell'espandersi, poi, si addormentava. Non si era mai messo alla prova perché capiva che di notte il mistero della vita si allargava, e tutti quelli che volevano estorcerlo ci cadevano dentro. Di notte, si diceva, pensare era come guardare le stelle, si sprofondava sempre di più… Poi, se voleva dimenticare qualcosa, la notte pellegrina non migliorava certo le cose, perché coprendo riapriva e dilatava ogni cosa; cadendo sugli esseri umani li rendeva a portata del più piccolo sgambetto, e plastici, deformabili essi stessi. No, la notte non faceva dimenticare, non era adatta a quel duro processo che si teneva dentro la sua testa. La notte era una foresta senza luce. Però era l’invito di un caro amico, e quindi prese la strada, una strada nera ventosa che gli si rimpiccioliva dentro le maniche e lo faceva tremare. Alcune luci elettriche sembravano litigare fra loro. Mentre il silenzio lo tormentava, e lui si supplicava di tornare indietro, i suoi occhi rimanevano spalancati e la stanchezza e il sonno erano spirati. Sentiva anche gli abiti troppo leggeri, e una rilassatezza delle robuste spalle, proprio dove usava appoggiare tutte le cose del giorno. Avvicinandosi al punto in cui, dalla finestra, aveva visto il sole cadere come un pesante singhiozzo, lo aspettavano gli amici: due ragazze chine sul lago giocavano con i cigni, una terza si osservava una spalla. Egli abbassò la testa in un lato, come i cani incuriositi, ed il suo fiato salì a balze formando una grata magica. Da lì la spalla della fanciulla risultava aperta e gonfia di nero di seppia, ma avvicinandosi la vide spuntare rosa, e spostò lo sguardo. L’amico era sul bordo della balaustra a far saltellare dei sassi su una mano, giù in fondo contro il muro aveva visto la sua bicicletta, ed ora capiva perché di colori talmente fosforescenti: lui, l'amico, sapeva come affrontarla, la notte. Si sentiva languido e spaventato, ma salutò sorridendo l’amico ciclista. "Ciao" “Oh, sei qui. Credo di non averti mai visto a quest’ora, i tuoi da piccolo ti venivano a prendere sempre alle dieci, e tu sembravi non protestare mai, anzi, ne eri sollevato.” L’amico lo osservò. “Sembri davvero una pantera, il buio ti dona.” La pantera gli ricambiò lo sguardo cercando di riprendere all’improvviso la leonina imponenza diurna. “Non volevo offenderti, Elios.” Elios scosse bonariamente la testa. “Misuravi il tempo che scorre con i sassi?” “Sì. Non finiva più.” L’amico gettò i sassi nell’acqua, ridendo. Le ragazze notarono il nuovo venuto, si tolsero i sandali lanciando urletti, nel buio bramoso tutti i loro corpi sembravano simili, soltanto piccoli particolari di luce e movimento li distinguevano deliziosamente. Ora, in mezzo alle persone, si sentiva meglio, e curioso di conoscere quelle ragazze, pur costringendosi a credere che fosse tutto un sogno semireale, e che le ragazze stessero cercando di cancellarsi e di ricominciare da capo, cosa che riusciva loro così bene, per affascinarlo, e tutti quei dettagli che prima a lui sembravano vere scoperte e che gli costruivano dentro forti desideri, ora parevano frutto di un’allenata fantasia delle fanciulle, che li aveva resi visibili, ma non reali. La sua attenzione però ora era rapita da una delle ragazze, che si spogliava già, e i suoi vestiti, dai colori distrattamente abbinati, si rovesciavano su uno scalino, come una triste scorza. Si era messa sotto la luce di un lampione. Una delle voci femminili chiamò il suo amico, era la sua ragazza, che Elios aveva vista poche volte e che era bella e ricciuta, ed esile. L’amico si avvicinò a lei e la aiutò a slacciarsi il vestito, un’operazione lunga e divertente, che ad Elios fece sembrare tutto l’ambiente più caro. Ora c’era una donna-ragazza-ragazzina nuda sotto il lampione, ora si tuffava con gran sicurezza in acqua passando prima una mano sulla spalla del nottofobo, che ringraziò. Si chiamava Maria, ed i suoi vestiti giacevano come una pozzanghera sul marciapiede. Ma Elios non si sentiva del tutto a suo agio, tra lei e lui mancava una lunga maratona sotto il sole vero, sotto una luce più forte, con il sapore del sudore reciproco... Però, avendo abboccato, si tuffò anche lui, trattenendo un profondo respiro. Proprio con un fitto rumore di posate, l’acqua lo accolse, e un cigno, che stava a sentinella, si spostò soffiando. Nuotò a lungo finché si accorse di essere molto lontano dagli altri, e allora tornò sulle sue bracciate, versando il freddo dell’acqua nel calamaio dei suoi occhi, abituandosi. Intanto a riva era arrivato un altro compagno, che aveva rinunciato, insieme ad una delle ragazze, a spogliarsi, e parlavano, come stretti in un baco da seta. Elios vide che era pesto, perdeva fili di sangue dal naso, e sudore, e la ragazza lo cingeva donandogli la sua giacca e i suoi fazzoletti, Maria e i due innamorati non si vedevano più, ed il nottofobo scorgeva i vestiti per terra ma non era poi così sicuro che la consolatrice fosse una delle ragazze che prima giocavano con i cigni. Il tepore sparì, ed il sangue si distingueva perché era più nero del sudore, e raggrumato. Cadeva dal naso, ma anche dalla testa e dalla mano. Non si poteva distinguere la via che il ragazzo aveva preso per arrivare fin lì, Elios capì, con il fiatone ma capì, poi, che un motoscafo di nove metri con a bordo 46 emigranti si era arenato sulla spiaggia, il ferito era un kosovaro, e la ragazza lo aveva trovato mentre fuggiva, perdendo dietro di sé le borse piene di hashish per distrarre gli inseguitori. Eccola, la notte, nera onnivora signora, che smutandava tutte le sue abitudini e lo incantava con le donne, il sangue, il colore. Fece un passo indietro, perché il buio era avvolgente e lui voleva farsi inghiottire, ma urtò contro qualcosa di morbido. Dall'oscurità spuntò il viso della ragazza che lo fissava con enormi occhi nei quali incrociavano velieri. Il suo amico non lo avrebbe coinvolto, il kosovaro cercava solo aiuto, le altre due, rivestite di sollecitudine femminina, lo disinfettavano alla meno peggio, improvvisando tamponi sterili con fazzolettini di carta ed acqua di chiara fontana che conteneva il rarissimo balsamo di deiezioni e piume di cigno. Elios, che si sentiva al fianco la ragazza, la quale poco aveva di lunoso, sentì prepotente il bisogno di ingaggiarsi, e di trasportare tutto quel groppo di vita imbevuto di nero nel suo mondo di solo sole, giocando nel suo campo avrebbe dato il meglio di sé, e la ragazza alla luce gli avrebbe riservato chissà quale meravigliosa sorpresa. Stupito, l'amico, sollecite le ragazze, caricato il profugo alla meno peggio sulla bicicletta multicolore, tutti insieme si avventurarono nella gola delle vie di quella notte, cercando di raggiungere una speranza di calore, mentre, fredda, la notte tendeva loro tranelli di spigoli ed ombre, come una madre che ama i figlioli e per farli crescere forti non rende loro la vita troppo facile.Qualche millennio di briciole nere più tardi, che la bicicletta aveva attraversato fino in fondo, in un ballo leggero, ritornò, insolletichito e soleggiato, camminando più piano e più sapientemente. Conscio dei suoi passati pensieri vigliacchi, le palpebre si facevano mantelli rosa per comete, nell’alba proteggevano i pensieri. I giorni seguenti accadde spesso che la madre, donna magra e con tutti i fiati di una cattedrale ariosa, sulla quale cadeva spesso una neve che le faceva confondere i colori, aprendo piano la porta della stanza di suo figlio Elios, invece di sentire l’aria di caldo chiuso sonnifero che gonfiava solitamente la sua stanza, sentiva un sapore di avventure, di campagne sfumate nel buio, di lupi, e poi, con gli occhi temperati e calmi, arretrava, richiudendo la porta, con l’aria di aver scoperto il fuoco per prima.
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