E se anche non ho più bisogno di te, se anche questa mia felicità è insolente e fastidiosa. E di certo anche egoista.
E forse insopportabile, nonostante l’affetto, per chi non riesce più a trovarla.
Se anche non ti leggo più nel pensiero, se anche le nostre vite sono così distanti e diverse,
e il tuo malessere si allontana sempre di più ogni giorno dalla mia gioia e ci rende incompatibili, e se anche sono la colpevole principale, quella che ha sacrificato tutto per salvare se stessa, anche te, cosciente del rischio di non riconoscerti al ritorno.Non so più domandarti, ma ho ancora voglia di ascoltarti, e non mi rassegno a tutta questa distanza tra di noi, e ti prego, ti prego!, non rimproverarmi con il tuo silenzio se non ho la tua sensibilità, se so essere intuitiva ma non lenitiva, se le mie parole sono troppo piene di una vita mia che non riesco più a condividere con te, se sono infinitamente troppo mediocre per restituirti tutto quello che mi hai regalato finora.
La tenerezza. Solo quella vorrei avere ancora per te. La tenerezza nostra.
Tenerezza negli abbracci fraterni, negli sguardi sopra al tavolo, nei sorrisi canzonatori, nei diminutivi, nella stima. Persino negli scontri.
La tenerezza di quando mi hai insegnato a guidare sulla neve.
Quella della sera che mi hai abbracciato, sconsolata, su una terrazza a picco sul mare.
La tenerezza di un pomeriggio di carnevale, fermi in un parcheggio a raccontarci per la prima volta.
La tenerezza di quando mi chiamavi “dolcissima”.
La stessa di adesso, che mi eviti per non umiliare il nostro rapporto con discorsi formali.
E invece io sono qui, e non so in che modo raggiungerti ancora. E vorrei solo riabbracciarti, anche in silenzio, perché non so più parlarti.
Riabbracciami.
Come allora, come sempre. Di quegli abbracci rifugio tuoi che sono sempre caldi, e sempre morbidi, e sempre forti.
Abbracciami, come mi hai promesso tante volte, come mi hai scritto, come mi hai offerto.
Abbracciami per lasciarti abbracciare.
Guarda queste braccia spalancate e chiudimele, chiuditele intorno.
Fammi provare ad accudirti. Fa’ provare me, questa volta, ad essere il tuo conforto. Lasciati restituire il tepore, l’affetto, la comprensione, il tempo.
Riabbracciami.
Vieni a cercare quello che hai perso regalandolo a me, cerca la mia spalla laddove ho annusato la tua, vieni ad attingere a quello che abbiamo in comune.
Guarda ancora nei miei occhi, tu che eri l’unico a sapere come farlo.
Avrei dovuto essere acqua, se non per dissetare almeno per lavare le ferite.
Medicamento, se non so curare ma forse attutire il dolore. Balsamo, non per guarire ma almeno per profumare la pelle.
Ma ancora…
Lasciati abbracciare, accarezzare, canzonare, riposare.
Riabbracciami. Abbracciami.
Non ho altro modo per offrirti quanto ti spetta.
Non ho altro modo per essere la tua me stessa.