Correva un'auto color del sole a sera
quel settembre di scampagnate ricche
di schiocchi di fichi sui muretti a secco;
noi allacciati ai cesti colmi d'acquerelli
e preparati a sbucciarli lungo il ritorno,
ancor prima d'attendere l'ultimo saluto
sulla soglia di casa dalle mani di Annina
che ritirava sua figlia dai baci d'amore,
noi sapevamo del velo dischiuso e terso
che avrebbe indossato la giovane sposa
al rintocco del giorno nuovo nella chiesa.

C'era vino nelle stanze ed oro lucidato
come per le feste di Natale, un profumo
di angeli nella biancheria, un lusso raro;
andava su e giù il cuore di noi bambini,
addossati alla porta a nutrire la curiosità
di tante donne festanti alla solenne data.
Il primo papavero rassegnato nel vaso
dai giorni caldi dell'estate, il primo pegno
che lo sposo pagò intingendo le braccia
nei campi ricurvi sotto il peso del sole,
rispecchiava il brillio degli occhi carbone
di lei in attesa d'unire il tempo all'amore.

L'indomani si frugava ancora nei cassetti
o si pettinava a palmo schivo il barboncino,
noi nell'abito intonso come fotogrammi
scattati qua e là, si cercava proprio la via
per finire col culo sullo strascico ricamato.
Annina dai capelli annodati e lenti spesse
guardava la figlia farsi bella, le dava in dote
i grandi abbracci della povertà, gli attimi
in cui s'era ritrovata a consolare la fame,
attenta ora a seguire le nostre stesse mosse
mescolando al polso fermo ogni carezza.

Sopraggiungeva il passo di Cristo al banco
dinanzi all'altare, si scorgeva quella grazia
del sorriso d'una rosa sulla bocca di Annina,
mentre risuonava la promessa degli sposi
come consacrava ciascuno una preghiera.
Stretti nelle file degli ospiti, già sapevamo
in quel tempo rintracciare i germogli puri
venuti ad aprirsi una alla volta negli anni;
ed oggi che ritorna quel settembre felice,
la dimora degli sposi accoglie un giardino
dove ci torniamo con i cesti della famiglia
a staccare l’ore liete e per tutti farne frutti.