marco vedrietti.
Villeggiante
Italy
34 Inseriti
100 Gold
39 Punti Rep. |
Inserito - 16/10/2004 : 17:00:40
Se uno si chiama Roberto, il destino del suo nome è inesorabilmente segnato: Robertino, Tino, Robi Rob, Berto, il nostro personaggio è un bambino che detesta i diminutivi del proprio nome, e quando alla madre, alle sorelle o al padre, in sua presenza, viene chiesto "ma che bel bambino, come si chiama", lui è sempre prontissimo a dire fermamente "Roberto" e guardare storto chi lo accompagnava, che era già pronto a sparare uno stupido diminutivo. Tale coscienza, in un bambino di nove anni fa specie, ed in famiglia può causare guerra. Erano in vacanza sui monti del Trentino, in un albergo arrampicato in cima ai monti, dal quale si godeva un panorama che a Roberto ricordava quello di un gioco di strategia al computer, al quale giocava il padre (al padre ricordava il plastico del trenino del proprio padre, ma ogni generazione ha i propri riferimenti). Durante un dopopranzo, sulla terrazza dell'albergo, si formò una capannello di famiglie: madri e figli essendo i padri impegnati nella pennichella quotidiana o in giro per i boschi a caccia di chissà che, o al bar a farsi il (o di) grappino. Sedute intorno ai tavoli di vimini si sedie di vimini, con cappelli di vimini le madri, non di vimini, chiacchieravano, i figli girellavano o si riunivano a gruppetti a parlare dei casi loro, uno di questi gruppetti era composto da 13enni, fra i quali anche Valentina, una delle sorelle di Roberto, Roberto la guardò, lei lo vide e sul volto le si dipinse un'espressione diabolica: "Sapete come si chiama il mio fratellino? disse agli amici con voce squillante e flautata. Roberto scattò come un sol uomo e corse verso il gruppetto con il canna uno dei suoi migliori "ROBERTO!!!", ma lei lo prese in tempo, gli bloccò le braccia, gli tappò la bocca e disse "Si chiama Tino" Eleonora e Alice, le altre due sorelle, si accorsero di quello che stava succedendo e mentre Valentina bloccava il fratellino iniziarono ad accarezzarlo e dargli buffetti dicendo "Il nostro fratellino robertuccio" "robertello" "tellino" "robino" "robellino". Impazzito di rabbia, Roberto si divincolo con uno sforzo supremo e scappò via, fra gli sghignazzi della sorerna, gridando "Io mi chiamo Robertooooooo". Nella fuga non si accorse che la madre si era accorta del massacro ed aveva raggiunto e sberlato due delle tre figlie (Valentina era stata troppo veloce) e lo chiamava. Corse con tutta la rabbia e le forze che aveva in corpo, il cuore gli martellava nelle orecchie, ma lui era più forte del suo cuore e muoveva le gambe ad un ritmo che il suo cuore se lo sognava. Sfrecciò lungo un sentiero, poi un altro, poi un altro, poi un altro e poi, finite le forze, crollò in un prato assolato.per un po' restò lì, i singhiozzi di rabbia si mutarono in ansimi frenetici, quando il ritmo calò, Roberto alzò la testa e si guardò intorno. Il sudore che gli colava dai capelli gli faceva bruciare i graffi che si era procurato sul viso correndo fra gli alberi, cercò di pulirsi il sudore con gli avambracci altrettanto graffiati che presero a bruciare anche loro, stava per rimettersi a piangere quando si ricordò che una volta Alice gli aveva spiegato che in quei casi bisognava pulirsi con una stoffa leggera e pulita, allora usò il fazzoletto che la mamma gli aveva infilato in tasca la mattina, e si sentì subito meglio. Si guardò attorno. Il prato era vasto, molto vasto, lo riconosceva, ci avevano fatto un picnic, ma lui si era mosso poco dalla tovaglia stesa per terra, ora poteva esplorare un po'. "Roberto" ringhiò, poi partì. Un lato del prato era circondato dal bosco, poi si stendeva a perdita d'occhio finchè il terreno si rialzava e fermava lo sguardo, fino al rialzo c'era molto da camminare, sotto il sole, Roberto preferì restare al bordo del bosco, dove c'era l'ombra, e iniziò a camminare. Roberto era un bambino, ed il ventunesimo secolo era inziato da un bel pezzo, per quando guardando nel bosco sentisse un po' di timore, nessuno gli aveva trasmesso il sacro terrore del bosco, regno dell'ombra, che tanto inquietava i nostri avi. Mentre camminava, non guardando dove metteva i piedi, inciampò e, stanco da prima, rotolò sull'erba morbida, stette un attimo sdraiato poi guardò l'inciampo: era l'angolo di una pietra che sporgeva dal prato, un angolo molto regolare, alzò lo sguardo e si accorse di essere finito in un recinto di pietra, il muretto che lo circondava era diroccato, ma il recinto era abbastanza grande, e c'erano molte pietre, tutte disposte troppo regolarmente e di forme troppo regolari per essere qualcosa di diverso da un cimitero. "Accidenti"- si disse Roberto. Roberto non sapeva che fino ai tempi di Napoleone i cimiteri sorgevano intorno alle chiese, attaccati, o persino dentro, ai paesi, e quindi si stupì molto di vedere, nascosta fra le piante, una chiesuccia diroccata quanto il muretto del cimitero. In effetti, lì il bosco era meno fitto. Roberto non aveva afferrato il significato monitorio di cappuccetto rosso, ed essendo un bimbo curioso entrò nel bosco, diretto verso la chiesa, sentì dei rumori, ma non seppe distinguerli da quelli normali del bosco, e non si accorse che non erano i rumori del bosco. Superata la chiesa, Roberto restò a bocca aperta: un paese a misura di bambino, cioè, un paesino piccino picciò, una manciata di basse case di pietra, con i tetti cadenti o sfondati., le piante erano cresciute tutto intorno, ma non sulla strada di terra battuta e la piazzetta antistante la chiesa. Roberto non lo sapeva, ma il timore che gli montava dentro si chiamava timor panico, sbirciò in una casa, e vide resti di tavoli e sedie, e letti, ed oggetti misteriosi, tutti coperti da uno strato di humus che non se li era ancora mangiati. Gli parve di sentire un respiro, doveva essere il vento, ma non era il vento era un respiro senza odore, gli si rizzarono i peli e si voltò. Un viso? Un viso diafano, per di più, era un viso di vecchia, con un foulard in testa e gli occhi interrogativi. "Vivo" constatò l'apparizione. "Vivo" approvarono altre voci. Roberto vide altre figure, tutte della fumosa consistenza delle altre, forse venti, sagome di donne, uomini, bambini. "Noi siamo la famiglia Carpez" disse l'anziana "Tu?" "Roberto- esalò Roberto" Certi studi sulle entità ectoplasmatiche sostengono che le tracce che i morti lasciano nel mondo, a volte, hanno la possibilità di succhiare vita ed energia dai viventi in modo da riconquistare consistenza corporea. La famiglia Carpez aveva raggiunto i monti del Trentino seguendo il gregge di pecore che dava loro sostentamento, avevano dovuto andarsene dal nativo paesino delle Alpi Giulie per sfuggire al linciaggio organizzato dai compaesani, stanchi di certe pratiche eseguite dalla patriarca della famiglia, che era arrivata un giorno con due bambini e qualche capra e si era stabilita lì, dove il gregge e la famiglia erano cresciuti, ma erano cresciute anche certe misteriose sparizioni di persone e armenti… I Carpez erano scappati con baracca e burattini, i paesani non li avevano raggiunti a causa di una misteriosa, puzzolente nebbia che rendeva impraticabili i sentieri, ed erano arrivato in quel paesino, avevano chiesto ospitalità, ma sfortunatamente per loro il prete locale era un vecchio esorcista, che, avendo capito tutto, grazie a certi rituali imparati in gioventù durante gli studi in Spagna aveva fatto certi riti che avevano bloccato lì la famiglia, i paesani erano scappati grazie al fatto che i Carpez non riuscivano ad uscire dalla casa nella quale il prete li aveva confinati, però… La matriarca era una seria, e dopo vari tentativi era riuscita a superare il blocco alla casa, ma non quello al paese, e per uscire dalla casa ci avevano messo 20 anni, e nel frattempo erano tutti morti. Era passato più di un secolo, i paesani avevano cancellato i sentieri che portavano al paese, ed il prete aveva fatto qualche trucchetto per nascondere il paese alla vista e legare i Carpez alle case, e ci era riuscito. Contava di tornare con certo amici suoi, ma un infarto lo aveva stroncato la notte che i Carpez si erano accorti di non poter uscire dalla casa, i paesani si erano dispersi ed avevano dimenticato, era passato un secolo e da un secolo i Carpez aspettavano qualcuno da succhiare. Non tutti, intendiamoci, il prete era uno all'antica, e non aveva distinto fra buoni e cattivi. La vecchia non era propriamente cattiva, ma per difendere il suo sangue sfortunato nel corso dei secoli aveva ammazzato più persone delle crociate, con il diluirsi del sangue, alcuni discendenti erano risultati guariti dalla maledizione, erano quasi normali, ma il prete, nella tradizione del miglior Torquemada, aveva fatto piazza pulita. A dire il vero una signora del paese, giovane, impietosita e vedova, aveva portato via due bambini Carpez, i più piccoli, ed era sparita nel bosco, scappando da una certa sua zia, ma è un'altra storia. Fortunatamente per Roberto, alcuni Carpez non erano d'accordo con la capostipite, erano i più giovani, i più solidi, e non volevano altre morti, volevano spegnersi serenamente, e la vecchia, nonostante l'indubbia autorità, non aveva più voce in capitolo. Fu un Carpez poco più vecchio di Roberto ad accompagnarlo fuori dal bosco, e a raccontargli tutta la storia, si salutarono con una stretta di mano. Mentre Roberto scappava via sulle ali dello scampato pericolo, il bosco sembrò ricompattarsi: va detto a difesa della professionalità del prete che arrivare al paese non era facile, non per un adulto, possibile per un bambino e facile per un animale, ma l'istinto li aveva allontanati ben presto, quindi i Carpez passavano gli anni a cantare vecchie canzoni della loro terra e a lasciarsi morire, avevano ciucciato qualche pastore nel passato, ma poi rassegnazione, rimorsi e atarassia li avevano fermati. Roberto tornò all'albergo, dove trovò sorelle contrite e genitori preoccupati che lo chiamavano Roberto. Punì Valentina ignorandola bellamente per tre giorni, al quarto lei si scusò e lui le disse "Sei solo una stupida Carpez" poi se ne andò, sdegnoso. "Carpez? -pensò Valentina- stupidi Pokemon"
|