Era la quarta volta che entrava nel paese a bordo del camion carico di tessuti e mercanzie varie, barba lunga, volto indistinguibile da quello medio degli abitanti, tunica bianca a coprire pantaloni e camicia, sandali ai piedi. Era servito per fare abituare i doganieri alla sua presenza e a non farli sospettare, ma questa volta non sarebbe tornato con lo stesso camion.Superarono il deserto che era ancora l'alba, il suo compagno di viaggio dai grandi baffi era guidatore teso e attento, sentiva forte il rischio di far fallire la missione per un pneumatico bucato da una pietra aguzza lungo la strada rocciosa e sabbiosa.
Avvicinandosi alla capitale incontrarono un numero sempre maggiore di bancarelle sotto dei tendoni e dopo brevi trattative scaricavano la merce che interessava il mercante del luogo.
Entrarono in citta' e il camion si fermo' dietro ad un vicolo, guardarono in giro se stesse passando qualcuno e poi l'uomo con la barba scese d'un balzo e di corsa si allontano' attraverso la via del mercato.
Si mise a camminare con lentezza, studiando i prodotti sui banconi e acquisto' della frutta dopo aver appena mercanteggiato, mentre mordeva una mela i suoi occchi saettavano e scoprirono la scalinata in pietra tra due bassi edifici. Attraverso' la strada, supero' i gradini e poi torno' indietro salendoli di corsa fino ad entrare sotto un porticato.
Su una grata di legno secco appoggiata al balconcino si arrampicavano delle rose e l'uomo si arresto', il suo ansimare lentamente addolcito. Non ebbe il tempo di aver paura perche' il coltello alla sua gola fu improvviso e lo costrinse ad accucciarsi all'ombra dell'angolo della porta. Alzo' gli occhi verso un volto molto giovane, senza barba, uno sguardo profondo che lo soppesava, una corporatura magra e agile, la divisa delle guardie del dittatore lo raggelo'.
Il giovane allontano' il coltello dalla gola dell'uomo, lo spinse a levarsi in piedi e gli sussurro' :"Zitto, sono io, cercavi me". L'uomo indico' con un movimento stupito del mento la sua uniforme e il giovane riprese :"Tu non ti ricordi di me, tanti anni fa persone del tuo popolo mi salvarono la vita, anche se mi e' rimasto un ricordo di quella mina e zoppicchero' per sempre. Io ricordo il tuo viso e le tue parole, quando mi salutasti prima che io tornassi al mio paese e mi dicesti che speravi che un giorno avrei compreso e che se il dittatore mi avesse chiesto di uccidere per lui, delle sue parole avrei riso. Ora devi venire con me, ti portero' nel luogo dove sono custoditi gli indizi che cerchi".
Calava la sera e le loro due ombre silenziose lasciarono la citta' sotto una grande coperta su un carretto tirato da un cavallo, l'uomo inizio' a rendersi conto che la cospirazione contro il tiranno era diffusa e organizzata. Il viaggio verso sud duro' piu' di un'ora e la sua mente semiassopita vago' in un passato che aveva ascoltato, la sua famiglia proveniva proprio da quella terra in cui ora era tornato per cercare la prova contro il dittatore, quel pergolato di rose che suo padre aveva ricostruito esattamente nella loro nuova Terra del Latte e del Miele, al centro di un grande giardino, talvolta gli raccontava che racchiuso nel ghetto era il suo modo di sognare, di evadere, pensare ad un giardino. E la sua anziana nonna che gli versava il te' nel caratteristico bicchierino e raccontava del cugino che mai torno' dal viaggio al di la' del golfo, ritrovarono il suo corpo ma non la sua sacca con i risparmi. La sinagoga in cui il padre di suo padre sospingeva la famiglia il sabato, e il figlio, suo padre, che ogni tanto spariva assieme alla barca nel grande fiume, solo con le sue domande del perche', la sua mente sulle pagine ingiallite di quella rivista di fotografie di Parigi, il racconto degli uomini con la svastica che venivano dall'Europa e che insieme alle squadracce locali attaccavano il ghetto, gli spari e poi gli aerei con i paracadutisti alleati che li salvavano, l'avventurosa fuga all'avvento del dittatore verso la Terra Sacra del loro popolo. Una gomitata lo sveglio' di soprassalto da quei sogni irrequieti e fece fatica a comprendere da chi proveniva quella voce :"Ci siamo, salta giu'".
Il giovane dallo sguardo che non sorrideva mai lo condusse attraverso un grande spiazzo sabbioso in mezzo ad alcuni edifici all'apparenza deserti fino a raggiungere una povera costruzione in pietra e legno, il portone era accostato, spinsero una tenda a zanzariera e passarono alcuni istanti finche' i loro occhi si abituarono alla penombra.
La ragazza cerco' di tirarsi a sedere sul letto su cui era sdraiata, ma dovette rinunciare a causa di un colpo di tosse soffocante. Chiuse gli occhi e la sua bruna bellezza fu avvolta da un raggio di sole che entrava dalla grande finestra, era vestita di una tunica di canapa, aveva un braccialetto sottile e lavorato al polso, il respiro ritorno' poco a poco normale.
"Lei e la sua famiglia sono di un villaggio qui vicino, pochi giorni fa si e' alzata una nuvola, pensarono che fosse il vento del deserto, ma in pochi minuti caddero a terra tra atroci sofferenze, lei si trovava poco distante ed e' stata solo sfiorata dalla nube, e' una maestra e molti genitori le portavano i loro bimbi da villaggi vicini tanto la sua bravura era nota.
L'abbiamo raccolta prima che la prendessero i soldati del tiranno, nessun altro e' rimasto vivo, poi hanno fatto sparire tutto".
L'uomo si chino' al suo fianco come attratto da moto irresistibile, lei apri' gli occhi e alzo' la mano tremante e gli accarezzo' il volto irsuto una volta.
Il giovane in divisa ruppe l'incanto :"sappiamo da dove la nuvola e' arrivata, la direzione indica una fabbrica abbandonata, qui, a sei chilometri dal villaggio verso ovest, crediamo che sia stata una fuga di sostanze chimiche dai laboratori in cui sono nascoste, i soldati erano completamente ricoperti da tute quando hanno fatto il lavoro di nascondere l'accaduto.
Abbiamo nascosto la ragazza qui perche' la stanno cercando".
"Vorrei andare con un'altra persona nel luogo di origine della nube"
"E' gia' tutto pronto, sarete la' in venti minuti al massimo", gli rispose il giovane.
L'uomo fatico' a lasciarle la mano e a distogliere lo sguardo da lei mentre uscivano dalla piccola casa in legno.
"Io devo tornare al reparto, altrimenti avranno sospetti su di me", l'uomo e il giovane si abbracciarono :"venite presto, vi prego, al tiranno pensero' io, quando mi chiedera' di uccidere per lui, sapro' invece che cosa fare", aggiunse prima di scomparire nella notte.
La copertura fu ancora una volta il camion carico di tessuti, se li avessero fermati ai posti di blocco, le loro scuse di essersi perduti mentre cercavano un mercato locale sarebbero parse verosimili, ma non ebbero sorprese, il guidatore baffuto era la prudenza in persona mentre conduceva il grosso mezzo sul sentiero tra le dune indicato dalla mappa.
"Fermati, e' qui", sollevarono i binocoli e attorno ad un cadente edificio notarono due autocarri circondati da militari ricoperti da pesanti tute di protezione chimica.
"Mi basta una foto, poi filiamo", l'uomo striscio' per cento metri e scatto' l'immagine.
Gli batteva il cuore nel momento in cui disse al guidatore di tornare per la via che conduceva vicino allo spiazzo con la casa di legno. Il robusto uomo baffuto non disse nulla e poco dopo parcheggio' davanti alla porta del rifugio della donna. Entrarono insieme, lei si sollevo' dal letto quando lo vide e le loro mani si intrecciarono.
"Tieni, ecco la mappa e la fotografia, portale dall'altra parte del confine, di' loro di fare presto" disse l'uomo al guidatore del camion. "Ma presto arriveranno i soldati... perche' vuoi vivere un passato che non e' tuo e perdere il tuo presente?", fu la risposta stupita.
Senti' che quella mano che stringeva metteva in ordine i ricordi sparsi che aveva cosi' spesso ascoltato, quel porticato di rose nella sinagoga del padre di suo padre, la storia della sua famiglia, come un cerchio che sapeva si sarebbe dovuto chiudere, erano partiti dalla Mesopotamia e la' qualcuno doveva ritornare.
"Fratello", l'uomo con i baffi gli mise commosso una mano sulla spalla, il braccio teso a fare spazio tra loro, l'uomo con la barba lo ricambio' con lo stesso gesto :"Rimango con lei, vedrai, ci rivedremo, dalle sponde del Mediterraneo fino alla terra dei due fiumi, del Tigri e dell'Eufrate, i nostri popoli saranno alleati".
Lei gli accarezzo' la guancia irsuta e sul suo volto la sua mano lascio', dalla finestra videro il camion avviarsi verso sud, il confine, con la sua rivelazione.
Volgendo gli occhi videro che da nord si avvicinava una nube di sabbia sollevata dai camion carichi di soldati del tiranno.
La strinse a se' e dolcemente inizio' a mormorare la canzone che gli uomini del suo popolo cantavano alle donne sotto i pergolati di rose....erev shel shoshanim...
"una sera di rose, vieni, usciamo nel giardino delle spezie, saranno tappeto per i tuoi piedi, la notte delle rose scende lentamente, vieni, ti sussurrero' una canzone, una canzone d'amore".
Erev shel shoshanim, la sera delle rose, e' una delle piu' amate canzoni della tradizione ebraica, la musica e' stata composta da Yosef Hadar e il testo e' di Moshe Dor.
Potete ascoltarla a questo link:
https://www.youtube.com/watch?v=3b4A5qMcFgk
Roberto