massimo
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Inserito - 24/05/2003 : 10:57:41
Il raggio del sole, appena sorto, continuava inesorabilmente a strisciare verso una zona d'ombra, racchiusa tra due sassi, dove giaceva immobile un rospo. Era bloccato lì dalla sera precedente, in quel provvisorio e precario rifugio, in uno stato quasi letargico, cui lo aveva costretto il freddo pungente della notte. Il rospo sembrò percepire quel tenue sentore di calore, perché sollevò lentamente le palpebre, per riabbassarle quasi immediatamente. Le pupille ferite dall'intensa luminosità o forse non ancora in grado di sprecare alcuna energia, neppure quella minima richiesta per guardarsi intorno. Il calore del sole, che via via aumentava, pigramente riportava vita in quel gelido rugoso corpo. Il rospo nulla faceva per accelerare questo processo, non poteva permettersi d’avere fretta, rischiando cosi' di commettere altri sbagli. Sbagli che in quel momento potevano pregiudicare la sua stessa esistenza. Quella forzata immobilità, tuttavia gli permetteva di considerare gli errori che lì lo avevano portato e che, memore dell'esperienza, si riprometteva di non tornare a commettere. Probabilmente l'insensibilità derivante dal freddo, lo portava ad estraniarsi dal suo corpo ed a trattarsi in terza persona, cosa che si poteva permetteva solo in rare occasioni. O forse l'essere stato edotto dalla recente esperienza lo spingeva ed essere immaginario docente di se stesso discepolo. "Quanto sei stato stupido", si andava ripetendo, "perché non te ne sei stato a dormire tranquillo nella tua tana?" Già..perchè? Perché si era svegliato prima del previsto dal letargo invernale? Che fretta c'era di uscire? La voglia di caldo, di uscire da quella che era stata una tana sicura, ma pur sempre una buia e fredda tomba dove giaceva da tempo pressoché cadavere. Il fastidio del corpo che si disseccava bruciando tutto il grasso accumulato con le grandi scorpacciate nei mesi estivi. "Dovevi rientrartene subito, invece di metterti a girellare." si disse ancora quasi con rabbia. "Perché te ne sei uscito?" continuò incalzante ed esigendo una risposta. Il rospo cominciò infine a darsi le risposte richieste. "Perché' avevo voglia di muovermi, di sentire il mio corpo, di percepire gli odori, i suoni. Poi avevo fame...tanta fame. Bramavo dalla voglia di masticare qualcosa, di sentire il mio stomaco pieno..." "Ma non ti eri reso conto che era ancora presto...troppo presto. Che nulla ancora si muoveva, solo tu..." Se ne era reso conto immediatamente, ma quell'insolito caldo, che presupponeva la primavera, gli aveva fatto sperare che qualche altro essere, come lui, potesse essere stato indotto in inganno. Una mosca ancora intorpidita, un lombrico, un grillo.... "E cosi' hai cominciato ad andartene in giro" urlo' veramente arrabbiato con se stesso. Sì, aveva cominciato a girovagare per la campagna ancora spoglia, allettato dalla brama di qualche facile preda, molto attento in ogni caso a non uscire dalla sua area di caccia, territorio sicuro e conosciuto. Gli era subito sembrata ideale. Era abbastanza vicina ad un gruppo di case, che gli garantivano l’assenza animali selvatici suoi predatori. L'unico pericolo era costituito dalla strada che la delimitava verso l'alto, ma da tempo aveva imparato a non averne paura. Semplicemente si limitava a non metterci mai piede. Riaprì per un momento gli occhi. Il sole era ora abbastanza alto sull'orizzonte ed il calore cominciava ad essere nettamente percepibile. "Tra poco dovrei essere in grado di muovermi e tornare alla mia tana." constatò con soddisfazione. Non avrebbe certo commesso l'errore fatto la sera precedente. Preso com'era dalla smania di preda, aveva continuato a vagare all'intorno e la sera gli era piombata addosso senza alcun preavviso. Solo ora si rendeva conto di quante cose non aveva valutato. La giornata più corta di quello che si aspettava, il tramonto più breve, i suoi muscoli non ancora allenati che gli avevano impedito di raggiungere la tana per tempo. Ma il peggio era stato il freddo. Un freddo come non aveva mai sentito prima, cresceva troppo rapidamente per poterlo sopraffare, gli penetrava il corpo rendendolo sempre più lento, torpido. Una vera fortuna avere trovato quel poco d’incavo tra i due sassi ancora tiepidi. Era riuscito a sistemarsi appiattendosi appena in tempo, prima di essere immobilizzato completamente. "Devo solo avere un po' di pazienza, il peggio è passato" e l'unica cosa che ormai gli premeva era di raggiungere la sua tana nel più breve tempo possibile.*** L'uomo stava guidando la sua auto con rabbia, incattivito dalla fretta cui era costretto. Un banalissimo incidente, una stupida pila, che proprio quella notte aveva deciso di terminare la sua vita e la sveglia aveva accuratamente evitato di svegliarlo. Fosse successo una qualunque altra mattina, non sarebbe stato così determinante, ma proprio quella mattina... "Che roba..." imprecò tra se e se, dando poi una rapida occhiata alla sveglia sul cruscotto dell'auto. "Se non trovo intoppi, dovrei riuscire ad arrivare in tempo lo stesso" si disse poi, rincuorandosi un poco. Continuava comunque ad essere oltremodo infastidito dall'essere costretto ad alterare l'abituale modo di affrontare l'inizio d’ogni giornata. Gli piaceva partire con calma alla mattina, senza dovere rincorrere il tempo, gli impegni. "Non potrò neppure fermarmi a prendere un caffè" e questo pensiero lo irritò maggiormente e si maledì nuovamente per avere preso quell'importante impegno proprio di mattina. "Che stupido sono stato!" e proprio mentre arrivava a questa definitiva conclusione la sua attenzione fu attirata da un rotolio metallico proveniente dal vano portaoggetti. Era un chiodo, di quelli da tappezzieri, bruni, col gambo quadrato e la testa larga ed appiattita, lungo poco più di un centimetro. Lo prese tra le dita e lo guardò per un momento. "E com'è arrivato qua?" poi senza darsi la pensa di inseguire una qualunque soluzione aprì il finestrino e lo fece volare fuori, richiudendo subito dopo. L'unico danno che gliene derivò fu la soffiata d'aria gelida sul collo....al momento. *** Il chiodo, raggiunto l'apice della parabola, cominciò irrimediabilmente a cadere verso il basso. Se la forza con cui era stato lanciato fosse stata appena superiore, sarebbe riuscito a superare la vecchia siepe di bosso, perdendosi anonimo, nell'erba rinsecchita del prato. Sfortuna volle che colpisse una foglia che ne deviò il percorso verso il centro della siepe, riducendone nello stesso tempo la forza d'impatto. Cadendo così da una foglia all'altra, scivolò quasi con leggerezza al centro di una ragnatela che ruppe in parte senza però riuscire a trapassarla totalmente. Catturato da alcuni invisibili fili, rimase a dondolare come un impiccato. *** Il fruscio fu sufficiente a risvegliare l'attenzione del rospo. Aprì le palpebre e cercò di dare un significato al rumore, più precisamente a determinare la causa che lo aveva prodotto. Nel suo mondo un rumore anche minimo, non avvertito o sottovalutato poteva essere veramente una questione di vita o di morte. Non riuscì nel suo intento. Il fruscio era stato di breve durata e troppo poco definito. Il suo sguardo fu invece attirato da quel corpo bruno che volteggiava a poca distanza dal suo muso. Il sole, accecante, lo rendeva poco più di un'ombra indefinita, ed un filo di vento gli consentiva quel minimo di movimento, quasi parvenza di vita. Fu proprio questo a trarlo in inganno. Se lo avesse visto fermo immobile se ne sarebbe immediatamente disinteressato, ma il movimento lo qualificava come essere vivente e, con ogni probabilità, commestibile. Dopo un attimo di esitazione, fece quello che per istinto era costretto a fare, mentre il suo stomaco vuoto già si contraeva all'idea del cibo. Così lanciò la lingua vischiosa fino all'ombra e, catturatala, la riportò velocemente alla bocca. Percepì immediatamente, dal sapore ferroso e dalla consistenza, che non si trattava di alcunché di commestibile, pertanto tentò subito di sputarlo. Qui il caso volle che la punta del chiodo si fermasse un secondo di più nel la mucosa molle del suo palato e si conficcasse appena. Eppure questo fu sufficiente perché non fosse più in grado di espellerlo. Istintivamente deglutì e questo non fece altro che forzare ulteriormente la presa, rendendola ora definitiva. La sorpresa lo immobilizzò, impedendogli di ragionare, poi si rese conto che doveva assolutamente liberarsene. Tentò, aprendo la bocca il più possibile, di toglierlo con le zampe anteriori, ma queste non gli furono di aiuto. Era conficcato troppo verso la gola e non riuscì a raggiungerlo. Del tutto meccanicamente era portato a deglutire ed ogni volta che lo faceva il chiodo, compresso dai muscoli, si piantava maggiormente. Cominciò così a sentire le prime atroci fitte di dolore che gli trapassavano il cranio e che, se solo avesse potuto, gli avrebbero fatto lanciare disperate urla di dolore. In effetti, tentò di lanciare un urlo di aiuto, ma si rese conto che gli era impedito anche di gracidare. "Devo stare calmo, agitarmi non mi servirà a nulla" si disse, " e tentare di trovare una soluzione", ma per quanto si sforzasse non se ne prospettò alcuna. Dalla durezza capì che non si sarebbe più liberato di quell'intruso allora, rassegnatosi, cominciò a valutare le future conseguenze. La prima considerazione che gli venne in mente, fu che non sarebbe più' stato in grado di mangiare, almeno per lungo tempo. "Posso resistere anche un anno senza mangiare. Sarà certamente dura, ma posso farcela" e questo pensiero lo rincuorò un poco. "Forse se resisto abbastanza a lungo al dolore ed alla fame posso trovare il modo di toglierlo" rifletté ancora. Poi, immaginando il suo futuro, cominciò a considerare la primavera imminente, le femmine che pian piano uscivano dalle tane e si dirigevano verso i corsi d'acqua, i laghetti, gli stagni, per il rituale amoroso della riproduzione. Già vedeva tutti i suoi compagni che gracidavano per richiamarle, che si gonfiavano per sembrare più grossi ed attraenti. Ricordò i giochi nell'acqua, gli inseguimenti, la cattura delle femmine.. E poi il culmine, abbracciati alle loro compagne la lenta, lunga, spossante deposizione delle uova. Quello che per loro era ancora più importante della vita stessa. Il momento in cui non pensavano più a stare in guardia e pronti a fuggire. In balia di qualunque pericolo, pronti alla morte. Sentì qualcosa di liquido che gli scorreva fuori dagli occhi, ma non capì che fosse. I rospi non piangono, non sono preparati a piangere. Comprese però la sua inutilità alla vita e forse fu per questo che decise di morire. Aveva fretta ora, non voleva più aspettare. Raccolse tutte le sue energie e cominciò a muoversi verso la strada. Camminò a lungo, i muscoli sempre più indolenziti e doloranti. Le forze gli mancavano ed era costretto a fermarsi sempre più spesso e più a lungo prima di riprendere il cammino. Risalì lentamente, a fatica tutta la scarpata e, finalmente, ansimante raggiunse il ciglio della strada. Davanti a sé poteva ora vedere il lungo nastro grigio dell'asfalto. La luce cominciava a calare e l'aria si andava velocemente raffreddando. Nuvole nere si stavano addensando quasi un macabro sudario alla tragedia imminente. Il dolore si faceva sempre più intenso e cominciò a temere paura di non sarebbe riuscito nel suo intento. Riprese il cammino seguendo sempre il ciglio della strada, per raggiungere il luogo che aveva prescelto. Una curva alla fine di un rettilineo, un punto che aveva sempre evitato con la massima cura. Troppo spesso, confuso nell'erba alta della cunetta, aveva visto i corpi rinsecchiti dei suoi compagni, appiattiti dalle ruote delle auto, quasi macabre fotografie. Dovette fermarsi a riposare un po', ansimante. La bocca, tenacemente rinserrata, lasciava tuttavia uscire una schiuma rossastra. Il cielo ora era quasi nero. Il vento freddo, che si era alzato, preludio al temporale, lo intorpidiva sempre più e rallentava i suoi movimenti, ma era quasi arrivato. Pochi metri ancora ed avrebbe raggiunto il centro della strada. "Dai ancora uno sforzo, ormai ci sei." Cercò di incitarsi. Poi il freddo, il dolore, il lungo digiuno lo inchiodarono al suolo e non gli permisero di procedere più oltre. Rassegnato, chiuse gli occhi e cominciò ad attendere, cercando di dimenticare dove era e perché. Lasciò volare di nuova la sua mente sulle ali del ricordo. Rivisse le passate primavere, risentì il calore del sole sul suo corpo, illudendosi che tutto questo sarebbe continuato ed ignorando le prime gocce di pioggia che gli solcavano la pelle raggrinzita. *** L'uomo guidava svogliatamente cercando di vincere la stanchezza. La giornata era andata tutta storta. Partita male, con la sveglia che non aveva suonato, si era poi trascinata attraverso una serie di contrattempi e di fallimenti. Nulla di ciò che aveva progettato era andato a buon fine. Per giunta ora stava cominciando a piovere e lui odiava guidare di notte con l’asfalto bagnato. Una giornata sicuramente da cancellare. Ora il suo unico desiderio era di arrivare a casa e distendersi davanti alla televisione, annullando i pensieri e le preoccupazioni, guardando qualunque programma idiota. Per fortuna era quasi arrivato, un paio di chilometri ancora. Una curva poi un lungo rettilineo. Alla luce dei fari distinse qualcosa quasi nel centro della strada, sembrava un sasso. Man mano si avvicinava poté distinguerlo con maggior precisione e riconobbe la sagoma di un grosso rospo. Si stupì un po' che un rospo fosse fermo in quel punto. Li aveva visti spesso, ma in genere si muovevano, cercando di attraversare la strada il più velocemente possibile. "Strano che non lo abbiano ancora schiacciato" pensò Era lo stesso pensiero che turbava la mente del rospo. Era fermo lì già da un po' di tempo e nulla era accaduto. Parecchie auto erano già passate e tutte lo avevano sfiorato, passandogli più o meno vicino. Essendo un rospo, non si era reso conto che era un poco al di fuori della traiettoria abituale seguita dalle auto e non aveva compreso che solo una volontaria deviazione lo avrebbe potuto travolgere. Per sua sfortuna nessuno aveva fino allora trovato la volontà di por fine alla sua miserevole vita. L'uomo guardava il corpo del rospo che si avvicinava. Era proprio sulla traiettoria della sua auto, ma non rischiava di schiacciarlo poiché, per impostare bene la curva avrebbe dovuto cominciare a curvare un po’ prima. Era un brav'uomo ed istintivamente evitava di investire qualunque animale incontrasse per la strada, cane, gatto o anche rospo che fosse. Perché allora non fece altrettanto quella sera? Il nervosismo e la tensione accumulati durante la giornata, lo avevano reso cattivo e sentiva la necessità di scaricarsi in qualche modo, qualunque modo. O forse era solo il destino che doveva chiudere un cerchio. Così, invece di girare lo sterzo, percorse quel metro di più portandosi avanti nella curva. "Peggio per te rospo della malora" pensò vomitando in quel modo tutto l'odio che covava dentro. Sentì il sobbalzo della ruota che calpestava il rospo, ma quando fece per svoltare, si rese conto che l'auto si rifiutava di obbedire e continuava a correre avanti. Attraversò con uno scroscio di rami spezzati la bassa siepe e scivolò veloce verso il fondo della scarpata. Vide un grosso albero che gli veniva incontro, ma null'altro poté fare che rassegnarsi allo schianto. L’ultimo suo pensiero fu di dare la colpa all’asfalto bagnato e reso viscido dalla pioggia. Probabilmente anche questo contribuì, ma mai avrebbe potuto immaginare che la vera causa fosse stata il corpo viscido e sbudellato del rospo, inchiodato alla gomma da quel chiodo famigerato.
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