Il viaggio era stato piacevole.
L’auto era scivolata fra le colline verdi con un’andatura dolce, e l’aria che entrava dai finestrini aperti portava il profumo della terra umida di pioggia.Arrivarono nella proprietà del dottor Steiner nel tardo pomeriggio.
Il cancello all’ingresso era aperto e il guidatore, il prof. Umberto Silvestri, seguendo le istruzioni telefoniche del proprietario, imboccò il viale senza suonare.
Il giardino era incolto: siepi non tagliate, alberi soffocati da arbusti cresciuti alla base dei tronchi, e soprattutto il viale invaso dalle erbe tappezzanti dimostravano l’incuria dei proprietari e l'isolamento del luogo.
"Com'è il dottor Steiner?" chiese Emilia rivolgendosi alla sua amica Stella , moglie del prof. Silvestri.
"Misterioso…."rispose Stella "lo avevamo conosciuto alle terme l'anno scorso e lo abbiamo incontrato una settimana fa al funerale di Giannetto" e nominò un famoso pittore. "Si è ricordato di noi e ci ha rinnovato l'invito a vedere i quadri del nostro comune amico… Sai che Umberto non sa resistere a tutto quello che attiene la pittura".
Umberto Silvestri, professore in pensione, si voltò verso le due donne e disse sorridendo alla moglie: "Non barare, Stella. Sai bene che tu , non hai saputo resistere al suo fascino." E sottolineò il "tu" con una pausa di divertito sottinteso.
Intanto l'auto aveva imboccato una curva e la casa, quasi un castello, sbarrò il viale all’improvviso.
Era grande la casa; di pietra scura, con grate di ferro alle finestre del piano terra e con un'edera rampicante che saliva prepotente fino al tetto e copriva quasi tutta la facciata dell'abitazione.
Il padrone di casa era sulla porta e teneva a bada un grosso cane lupo che abbaiava furiosamente.
“Buono, Wolf” gli diceva sottovoce.
Sorrideva e mosse incontro agli ospiti per aprire la portiera della macchina ; s'inchinò galantemente, tendendo la mano per aiutare Stella a scendere. Poi si girò per salutare l'altra signora.
"Ha gli occhi di un lupo" pensò Emilia guardando gli occhi chiari che la scrutavano.
Erano stati gentili i suoi amici a chiederle di accompagnarli ed era stato oltremodo cortese il padrone di quella grande casa ad accettare, senza muovere obiezioni, alla richiesta di avere un ulteriore ospite e per di più sconosciuto.
Karl Steiner, si diceva, che fosse ricchissimo ma nessuno conosceva l'origine di quella ricchezza.
Qualcuno parlava di lui come di un nobile, qualcuno pensava fosse un finanziere, qualcuno azzardava attribuendogli i poteri di uno stregone.
"Certo la sua riservatezza di vita, il mistero che emana la sua casa e, soprattutto i suoi occhi, avvalorano l'ultima congettura" pensò Emilia con un sottile senso di disagio.
Dopo i convenevoli dei saluti, il dottor Steiner introdusse i suoi ospiti in salotto.
Era una stanza irregolare: un primo spazio era occupato da due divani ai lati di un grande camino e da poltrone di diverse epoche.
La larghezza iniziale della stanza era interrotta su due lati da un gradino che ne abbassava il piano e introduceva a due diversi ambienti che , essendo senza finestre, davano l'impressione di due grandi nicchie, o di due bracci perpendicolari di una stanza a croce greca.
In uno, quello di destra, c'era un pianoforte verticale, un tavolinetto da gioco con quattro sedie; in quello di sinistra, in cui il dislivello con il pavimento del salotto era maggiormente accentuato, c'era un lungo tavolo senza sedie, un mobile basso e, alquanto scostata dal muro, una teca di vetro piena di boccette e vasetti di ogni foggia e dimensione.
Sulla parete, dietro la teca, una tenda di velluto rosso esaltava un arco di pietra . Nel complesso si riceveva l'impressione di un ambiente raccolto, intimo eppure misterioso.
Il professore e sua moglie erano ammirati e lo furono ancora di più quando il loro ospite, girando una manovella nascosta, azionò il meccanismo del pianoforte che iniziò a suonare un valzer.
"Grazie, non ballo" disse Stella sorridendo "Emilia invece è un'ottima ballerina. Inviti lei, dottore"
"Vorrebbe ballare con me?" disse allora il dottor Steiner rivolto ad Emilia.
Fu così che Emilia si ritrovò a ballare con il dottore che la teneva stretta per la vita e la fissava mentre ballavano.
Anche Emilia lo guardava negli occhi e improvvisamente , quasi in trance, si udì momorare: "…ecco….è stato in guerra.." e continuò: " ..era Montecassino…vero?"
Il dottor Steiner trasalì e si fermò con il braccio ancora in aria mentre Emilia vedeva in fondo ai suoi occhi l'origine di quella ricchezza.
......
Erano in duecento.
Duecento ragazzi venuti da lontano, e si trovavano tutti inchiodati su quel maledetto mucchio di pietre, sotto il fuoco di mille aerei arrivati da chissaddove.
Ed era già la quarta volta che i loro nemici provavano ad espugnare la massiccia costruzione che, grandiosa e sinistra, dominava la valle .
Un lampo accecante, un boato e in un attimo il cratere aperto dall'esplosione di una bomba lo aveva inghiottito.
Karl si era svegliato, non sapeva più quanto tempo dopo, con la bocca piena di terra, gli occhi rossi, la testa dolorante.
"Dove sono?" si disse, cercando di ricordare e di capire la causa dell' oscurità che lo circondava.
Spostò alcune pietre che gli pesavano sulle gambe, si sfilò da sotto un compagno che lo bloccava a terra con il suo corpo freddo, e si ricordò dell'accendino che aveva nel taschino del giubbetto.
Lo accese. Era in una specie di cunicolo scavato nella roccia, pieno di casse, fra la confusione della volta che era crollata.
All'esterno, attutita dalla profondità stessa del cunicolo, ma amplificata dalle onde di propagazione delle esplosioni, le bombe continuavano a cadere come macabro sottofondo.
Allora cominciò a ricordare; certo l'abbazia,…. siamo stati colpiti,… sono in un qualche sotterraneo dell'antico monastero.
"Non sono ferito" si disse e, incurante del pericolo di un crollo, con gli occhi ormai abituati all'oscurità, iniziò ad ispezionare alcune casse.
"Libri, libri…." Imprecava tra sè, buttando alla rinfusa i preziosi manoscritti. Solo alla terza cassa capì che c'era qualcosa di diverso.
Avvolti in ruvide coperte di lana c'erano piviali, stole, antichi paramenti da cerimonia, incrostate con pietre che brillavano anche in quel buio.
"Sarò ricco, se riesco a scamparla.." pensava Karl , mentre staccava con il suo coltello turchesi, rubini, ametiste, fermagli di perle…...consapevole del sacrilegio che stava compiendo....
Sarò ricco….non lo saprà mai nessuno…."
Il dottor Steiner barcollò ; ora qualcuno sapeva.
Senza dire parola, si diresse verso il camino, aprì una scatola posta sulla sua cornice, ne prese la pistola custodita all'interno e si sparò alla tempia.
Si accasciò al suolo senza un grido mentre il pianoforte a rullo continuava a suonare il valzer.
Ophelja