Non so come avveniva la scelta del posto; so comunque che era ogni volta una sorpresa piacevole.
Montagne brulle a far da cornice a prati e boschi, mandrie di mucche che pascolavano placide e diffondevano ininterrottamente
il loro scampanio nella valle, qualche pastore con l'ombrello usato come bastone , una strada provinciale polverosa e poco utilizzata, e un cielo azzurro, limpido, senza le scie degli aerei.
Questo era quello che vedevamo scendendo dal vecchio autobus "no air conditionned", "no T.V", che non superava i trenta chilometri all'ora non in osservanza ai limiti di velocità , ma solo per adeguarsi ai propri limiti di vecchia carretta dipinta di blu.
Eppure quanti canti risuonavano fra quei sedili duri e scomodi!
L'odore di pane e frittata o di banana , si mescolava alla puzza dei rivestimenti in simil pelle dell'autobus formando un'amalgama chimica di indicibile nausea per quanti soffrivano di mal d'auto.
Le malcapitate, con le facce ceree per il continuo sballottamento tra tornanti e curve pericolose, venivano fatte accomodare al primo posto, separato da quello dell'autista da una montagnola che celava una parte del motore.
"Guarda la strada" "non bere" suggerivano le piu' grandi "e vedrai che non vomiterai".
E dai allora a fissare la strada, morte di sete, mentre di tanto in tanto si odorava un mezzo limone appassito che, per la legge non scritta della solidarietà, veniva passato di mano in mano.
Quattro, cinque, sei ore e poi finalmente gli ottanta chilometri che ci separavano dal "campeggio" erano in ricordo.
Il campeggio: veramente il termine era improprio perché non c'erano tende ma il nome a noi dava l'idea di una cosa esotica, era sinonimo di libertà, ed era il periodo più bello dell'anno.
Si cominciava a pensarci alla fine della scuola.
"Vieni Annabella? Ci sarai Elena?" e dai a far programmi con le amiche del cuore.
"Letti vicini" era la promessa che ci legava come adepti di una setta segreta.
Una settimana prima dell'evento bisognava sottostare alla visita del medico sanitario che ci propinava delle compresse da prendere per sei giorni.
"Ma non riesco ad ingoiarla" mi giustificavo sputando la prima come un lama spaventato.
In genere la minaccia di non poter partire, riusciva a farmi deglutire la seconda e , semmai ci fosse stata la necessità, anche il tubetto di metallo che le conteneva.
Eravamo felici? Si, senza dubbio.
Gli abiti che indossavamo erano i più vecchi, "tanto bisogna buttarli", le scarpe…erano consunte scarpe da tennis a cui davamo il bianco la domenica e in occasione della festa dei genitori, i soldi , "e a che ti servono?", erano al massimo tre-quattromila lire che venivano restituite ai genitori con l'orgoglio di non averle spese.
Senza telefono, senza televisione…. Com' era possibile sopravvivere per un intero mese?
Cominciamo con ordine.
L'idea di un mese di riposo in un posto di montagna era venuto al nostro parroco che, coadiuvato da ottimi ed instancabili collaboratori, coraggiosamente si assumeva la responsabilità di "badare" a 60-70 ragazzi a luglio e altrettante ragazze ad agosto.
Le giornate erano organizzate sin dal mattino. A squadre, avevamo dei compiti da osservare ogni giorno.
C'era il gruppo che si occupava di servire a tavola, quello che puliva la camerata, quello che organizzava i giochi intorno al falò della sera, ecc.
La sveglia era alle sette. Ci si lavava con moderazione , si faceva l'alzabandiera, si dicevano le preghiere del mattino e poi la colazione: chi odiava il latte, ne beveva due tazze, chi era abituato ai biscotti, mangiava fette di pane e pomodoro, tutto insomma era una novità gradita.
E poi le scalate…. La fatica dell'arrampicarsi, la sete che ci prendeva per il respirare a bocca aperta, l'orgoglio di essere arrivate in cima e poi il silenzio ammirato del paesaggio.
Nel mio cuore resterà sempre il ricordo del monte Mary, chiamato così dal gruppo dei ragazzi che ci avevano preceduti in luglio, dalla cui cima - un piccolo spiazzo su cui ci riposammo tutte strette in dieci - si vedeva il mare!
C'era il vento che ci scompigliava i capelli ed il suo sibilo era a tratti come un canto.
Anche noi cantammo, a squarciagola, in perfetta simbiosi con la natura…
Ophelja