Quando si spegne il sole
Stampato
da : Concerto di Sogni
URL Tema: https://www.concertodisogni.it/mpcom/link.asp?ID ARGOMENTO=12600
Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: July
Oggetto:
Quando si spegne il sole 1. A scuola 2. Cristina 4. Teppisti di strada 5. Tre anni dopo 6. Roman e Cristina Il campanello squillò in casa Randall in un momento piuttosto inopportuno: Alex non era in casa e Megan era sotto la doccia. Ma il visitatore, di cui Megan intuiva l’identità, non si stancò di aspettare. La donna ebbe infatti il tempo di indossare l’accappatoio e, sebbene con gesti frettolosi, asciugarsi sommariamente ed andare ad aprire. Trovò ad attenderla in piedi, sullo zerbino, la sua amica Cristina, proprio come immaginava. Seduta accanto al camino, sprofondata nel silenzio e nell’oscurità della notte, Cris leggeva un libro di cui non ricordava neppure il titolo. Dall’alto della lampada il cono luminoso si proiettava sopra di lei rivestendola con la sua diafana luce, e rischiarando le pagine scritte a macchina delle quali, se qualcuno le avesse chiesto, non avrebbe neppure saputo descrivere il contenuto. Giuliana carta
Inserito il:
02/10/2005 18:19:20
Messaggio:
La campana suonò, e lo sciame di studenti si sparse nel cortile della scuola in una baraonda di chiacchiere e di risate.
Chi più, chi meno, prendeva parte a tale baldoria che giorno dopo giorno si perpetuava dai primi di settembre sino a giugno inoltrato, quasi che la fine delle lezioni sancisse, per i ragazzi, una specie di scarcerazione. E forse era davvero così, visto che adesso erano liberi di parlare, ridere e scherzare; i ragazzi di fare tra loro i duri esibendosi nel resoconto della loro ultima avventura sentimentale; le ragazze di scambiarsi sommessi commenti sulle doti fisiche dei compagni, su chi di loro avesse il fondoschiena più carino, o il taglio di cappelli più sexy, o i modi di fare più virili; e ridevano, coprendo i loro sorrisi innocuamente maliziosi, e suscitando la curiosità dei ragazzi di sapere cosa stessero mormorando.
“Guarda Roman: sempre così solo!”
“Chi ti dice che sia solo?”
“Ma è chiaro come il sole! Non lo si vede mai con un amico, tantomeno con una ragazza.”
“Sciocchezze. Io dico che ce l’ha, la ragazza.”
“E chi sarebbe?”
“Non lo so. Come faccio a saperlo?”
“Non ce l’ha! Chi si metterebbe con un eremita come lui? Tu, forse?”
“Oh…piantala!”
“Sentite, se siete così curiose di saperne di più sulla vita privata di Roman, perché non gli chiedete qualche delucidazione?”
“Si, mi sembra una buona idea. Gli diremo che a Crissy interessava saperlo.”
“A me? Stai impazzendo, per caso?”
“Tu lo stavi difendendo con tanta convinzione….”
L’ultima a parlare era stata Ester, la più pettegola della compagnia. Bastò quella sua occhiata sadicamente maliziosa a infondere timore nel cuore di Crissy: quando Ester parlava così, lo sapeva, c’era da temere. E molto, anche. Quindi, conveniva affrontarla subito.
“Non è vero!” protestò Crissy.
“Oh, si che è vero. – replicò Ester tranquillamente – Ma del resto è normale che tu lo difenda. Sei innamorata di lui.”
Gli sguardi delle altre tre ragazza si puntarono come riflettori sopra Crissy, nelle guance della quale le fiamme della timidezza cominciavano ad accendersi.
“Non è vero!” protestò di nuovo.
“Ah no? E allora perché sei arrossita fino alla radice dei capelli?”
Ora era un artificio di fuochi e fiamme a divampare nel volto della ragazzina intimorita che tentava, con molta difficoltà, di sostenere gli sguardi delle compagne. Avrebbe voluto parlare, ma la paura e la timidezza le attanagliavano le corde vocali.
“Allora? – riprese Ester – Attendo una risposta.”
“Sei una pettegola….”mormorò Crissy.
Megan, la più accondiscendente delle quattro, si decise a accorrere in difesa della ragazzina spaurita che aveva parlato abbassando il capo, quasi col terrore di essere udita.
“Ma perché non la lasci in pace Ester? Lei non è tenuta a rendere conto a noi di nulla.”
“E allora chiamiamo Roman e renderà conto a lui. Vedremo.”
“No!” urlò con violenza Crissy, quasi con le lacrime agli occhi.
“Lo vedi? – domandò Ester con aria trionfale – Tra poco si mette a piangere, perché non vuole che Roman sappia la verità. Ehi, Roman…vieni un po’ qua!”
“Ma….sei diventata matta?” le domandò Megan fissandola con aria incredula. Tutte la fissavano, adesso. Non credevano che sarebbe arrivata a tanto, benché conoscessero la sua naturale predisposizione a intromettersi nei fatti altrui.
Crissy fece per andarsene, ma Ester la trattenne per un polso.
“Lasciami! Che accidenti vuoi da me?”
“Lasciala Ester! Non fare la scio….”
“Che c’è?”
Tutte si ritrassero, tranne Megan che fu costretta a lasciare la frase spezzata a metà; Ester, che non si tirava mai indietro; Crissy, che nel microsecondo che ebbe a disposizione per riflettere giunse alla conclusione che sarebbe stato più saggio rimanere cercando di assumere un’aria indifferente. Del resto non era ancora certo che Ester avrebbe osato attuare fino in fondo la sua minaccia.
Roman era un ragazzo abbastanza alto che indossava sempre jeans e camicia, la quale gli penzolava dalle spalle ossute coprendo le sue fattezze magre. Aveva i capelli biondicci bruciacchiati dal sole, forse perché preferiva tagliarli di rado e lasciarli un po’ più lunghi rispetto alla media; sulla fronte gli scivolava un ciuffo ribelle che gli consentiva di non guardare mai direttamente in viso i suoi interlocutori. Con la conseguenza che solo dopo averlo osservato con attenzione costoro si accorgevano dell’espressione straordinariamente inquieta dei suoi occhi nocciola, senza sfumature verdi, che ad un primo impatto non facevano tanta presa. In quel momento, ad esempio, non si notavano.
“Senti un po’, Roman – incalzò Ester – Cosa ne pensi di Crissy?”
Roman la guardò con l’aria di guardare un’extraterrestre, ma Ester ignorò la sua espressione.
“Allora?” Insistette lei.
Roman spostò il suo sguardo sulla ragazzina sparuta che Ester aveva nominato e si accorse che il suo viso era diventato rosso porpora.
“Che vuoi dire?”
“Ecco, lei prima ha detto di essere….”
“Adesso basta, Ester! – gridò finalmente Crissy, adirata come non mai – Non è vero Roman! Non crederle…”
“….innamorata di te!” concluse vittoriosamente Ester.
Tutte la guardarono con aria colma di biasimo. Gli occhi di Crissy luccicarono dalla rabbia.
“Sei contenta, adesso che hai raccontato una bugia, eh?” Non riuscì a dire altro. Senza guardare in faccia Roman, si voltò di scatto e se ne andò, desiderando di dissolversi nel nulla per non ricomparire mai più nella galassia. Da allora in poi avrebbe sempre ricordato quell’evento come uno dei più imbarazzanti, in assoluto, della sua vita.
Cristina Wilson, detta Crissy, abitava da circa un anno e mezzo proprio dirimpetto alla casa nella quale Roman viveva dal giorno della sua nascita. Aveva quindici anni ed era la ragazza più timida della scuola; bastava un niente a far esplodere sul suo viso scintille di porpora, e il fatto di essere giunta a quasi quattordici anni in una scuola in cui tutti bene o male si conoscevano era forse un qualcosa che accresceva enormemente la sua timidezza. Specie quando si trovava a avere a che fare con persone che, come Ester Logan, provavano una sorta di sottile piacere a infondere disagio nel suo prossimo. Per fortuna non erano tutti come lei, così Crissy aveva trovato in Megan Steele, per esempio, quello che per lei rientrava nella definizione di ‘amica’: una ragazza con la quale riusciva a trovarsi bene, a sentirsi serena, e con la quale uscire ogni tanto a prendersi un gelato. Non certo una persona al cospetto della quale fosse doveroso mettere a nudo i propri sentimenti; perché mai e poi mai Crissy Wilson, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e con un tasso ematico di etanolo che potesse ritenersi nei limiti della norma, avrebbe rivelato a Megan – neppure sussurrandoglielo in un orecchio in una campagna deserta – come a nessun’altra, compresa sua madre, la cotta che aveva per Roman Hall. Era così, non poteva farci niente. Dal giorno stesso in cui le era caduta, davanti al cancello, una busta colma di arance, mele e mandarini, l’inverno precedente, e lui si era fermato ad aiutarla a raccogliere la frutta. Quel giorno infatti, trovandosi a tu per tu con la tempesta verde dei suoi occhi, il suo cuore aveva iniziato a battere nel petto come un tamburo impazzito, tanto che Crissy aveva avuto paura che Roman se ne accorgesse. Fortunatamente l’episodio si era, in breve, concluso: Roman aveva deposto l’ultimo mandarino nella busta, e con aria gentile le aveva chiesto: “Vuoi che ti aiuti a portarla dentro?”
Al che Crissy, che gia iniziava ad avvertire nelle vene quella corrente traditrice che ogni volta la obbligava a farsi da parte, per paura che trapelasse qualcosa, aveva tratto a se la busta e aveva risposto: “No, grazie. Ce la faccio da sola.”
Avrebbe voluto aggiungere perlomeno qualcosa come: “Sei stato gentile.”, invece riuscì soltanto a mormorare un ‘ciao’ strascicato, senza neppure guardare Roman negli occhi, e senza la garanzia che egli l’avesse udita chiaramente.
Nei giorni successivi non ebbe mai più modo di parlargli; il motivo principale per cui, pur vivendo a un metro da lui – e, anzi, forse proprio per questo – non gli parlava mai era che Crissy aveva preso a spiare ogni sua mossa per sincerarsi, ogni volta che doveva uscire di casa, che non fosse nei paraggi. Se doveva uscire per andare da un’amica, o a fare una commissione, si precipitava in salotto (che era proprio di fronte alla camera di Roman) e si accertava che egli fosse lì. Se gia sapeva che era uscito doveva attuare una tecnica particolare per evitare di incontrarlo mentre rincasava; così, giunta al cancello, si sporgeva per vedere se stava arrivando. Se lo vedeva faceva dietro-front, mentre se Roman non era in vista passava alla seconda parte del piano e varcava il cancello fiondandosi all’altro capo della strada; poi iniziava a controllarsi l’orologio, a mettersi a posto la giacca, a ravviarsi i capelli e così via, trincerandosi in una serie di gesti che le avrebbero consentito di non guardare in faccia nessuno di coloro che avrebbe incontrato sul suo cammino, Roman compreso. Certo, esisteva anche la possibilità che lui la chiamasse, ma tutto sommato smise quasi subito di aver paura di un’evenienza del genere, perché si accorse che Roman era un tipo riservato. Se n’era accorta a scuola, e alle feste a cui era stata invitata, che non era tipo da chiamare a gran voce gli altri per strada. Era silenzioso, solitario, sempre sulle sue. Negli ultimi tempi ancora di più. Le ragazze a volte lo schernivano, e a Crissy dava fastidio, perché col tempo aveva cominciato a volergli bene. Con tutta la semplicità del suo cuoricino timido, ella nutriva per lui un affetto strano, che non sarebbe mai riuscita a esprimere a parole; ma che con invadenza ogni tanto veniva a galla, facendola sprofondare nella vergogna. E quel giorno, era proprio quello che le era capitato.
Non riusciva a smettere di pensarci, mentre mangiava, mentre si lavava, mentre studiava. Le sembrava che oramai tutti fossero al corrente del suo segreto, e così certamente era, viste le parole dure che Ester le aveva rivolto.
Ora non sarebbe mai più stata capace di guardarlo in faccia, neppure in mezzo ad altre persone; come, del resto, avrebbe potuto farlo, dopo che lui aveva scoperto che ne era innamorata?
“Crissy…”
Crissy sussultò, seduta di fronte alla sua scrivania, nonostante la pacatezza usata dalla madre per chiamarla.
“Che c’è?” domandò nervosamente.
“Volevo solo sapere cosa stavi facendo. E’ tutta la sera che non ti sento.”
“Ecco….sto studiando.”
La mamma lanciò una rapida occhiata al libro aperto sotto il naso della ragazza e vide che si trattava di un testo di geometria, la materia più odiata da Crissy.
“Ma sono le otto e mezza, tesoro.”
“Domani ho un compito in classe.”
“E di che?”
“Di matematica.”
“Ma…stai studiando geometria.”
“Ho anche l’interrogazione di geometria.”
Crissy chinò il capo sulle pagine del libro, per evitare lo sguardo dubbioso della madre.
“Domani non è giovedì?” incalzò quest’ultima.
“Si…”
“Non sapevo che avessi geometria il giovedì.”
“Mancherà la professoressa di lettere. E quella di geometria la sostituirà.”
“Bene. Allora…non voglio disturbarti.” La porta si richiuse, e in quello stesso istante Sara Wilson ebbe la certezza che sua figlia le stesse mentendo.
3. Roman
Peter Hall si affacciò nell’oscurità della cameretta di suo figlio Roman, e scorse la sua sagoma smilza sotto il tepore delle coperte. Queste si sollevavano, e si abbassavano in un ritmo incessante, sotto l’impulso del respiro regolare del ragazzo. Forse dormiva; forse fingeva di dormire. Più volte Peter si era chiesto se ci fosse qualche problema che affliggesse Roman al punto da disturbarlo nel sonno. A volte aveva l’impressione di leggere nei suoi occhi verdi tutta l’amarezza e l’inquietudine che aveva il mare in burrasca. Egli lo conosceva bene il mare: era il suo lavoro sin da quando era ragazzo; un lavoro amato e odiato, perché lo costringeva a star lontano da casa per settimane; un mestiere ingrato, che lo sottoponeva a fatiche indicibili spingendolo, a volte, a dirgli addio per sempre, come ad un padre crudele che ti maltratta. Ma che al tempo stesso ti ama, e ti richiama a sé con infinito carisma, in maniera tale che non puoi sottrarti a lui; né potrai farlo mai, nella tua vita, perché esso stesso è la tua vita. O l’essenza di essa.
A volte Peter si svegliava di soprassalto, in barca, con la sensazione angosciosa che a Roman stesse capitando qualcosa. Si ritrovava sudato, col batticuore, e coi nervi a fior di pelle per l’apprensione. Ma purtroppo non poteva far nulla., perché Roman era lontano. E anche adesso che era vicino, del resto, che cosa mai poteva fare? Suo figlio era un ragazzo così chiuso…sua moglie Rita era morta quando Roman aveva tredici anni, colpita da una leucemia linfoblastica acuta. Il ragazzo aveva sofferto in silenzio per tanto tempo; forse soffriva ancora. Peter ne era certo.
Negli ultimi tempi, Roman era strano. Molto strano. Rita non avrebbe avuto difficoltà a fargli confessare il motivo di tale malinconia, ma lui non era ferrato per il ruolo di confidente. A volte pensava che fosse colpa sua se Roman era così; perché somigliava a lui. Se avesse ereditato il carattere solare di Rita, le cose sarebbero state diverse. E se Rita fosse stata ancora lì, con loro, con la sua straordinaria capacità di far dissolvere i problemi di ogni sorta, le cose sarebbero state ancora diverse. In meglio, naturalmente.
Erano pensieri che non approdavano a nulla, certo inconcludenti; eppure Peter si ritrovò ad immaginare la sua vita così come sarebbe stata se Rita non fosse morta. Davanti al corpo inerme di Roman immaginò loro due seduti a tavola vicino al camino, ma non la tavola spoglia e disadorna alla quale mangiavano di norma. Una tavola imbandita e decorata dalle manine magiche di sua moglie, che di colpo entrava nella stanza e si sedeva accanto a loro, in tutta la sua bella giovinezza….mai immagine più bella e calorosa aveva attraversato, negli ultimi anni, i pensieri di Peter. Lui, Rita e Roman seduti a tavola assieme, come ai vecchi tempi.
Il mattino dopo Crissy entrò a scuola senza guardare in faccia nessuno.
Si sedette accanto a Jack Sullivan, dove si sedeva sempre, con molta cautela perché temeva che anche lui fosse al corrente dell’episodio ignominioso del giorno prima. Schermandosi coi capelli spiò il suo sguardo, di lato, per sincerarsi che non stesse sfoderando la sua tipica espressione da presa in giro. Non riuscì completamente a vederlo, ma le sembrò che non fosse così.
D’un tratto, qualcuno la punzecchiò con la punta della penna in una spalla.
Crissy sussultò e si voltò. Era stata Megan.
“Ti ho cercato, ieri sera. – sussurrò – Tua madre mi ha detto che avevi mal di testa.”
In realtà non aveva avuto mal di testa, la sera precedente. Ma aveva detto alla madre di dire così a chiunque l’avesse cercata.
“Ah, già, stavo proprio male.” Rispose Crissy senza ruotare il capo più di quarantacinque gradi a sinistra.
“Mmm…”
Crissy udì una risatina. Proveniva dal banco di fianco al suo, ed era appena fuoriuscita come una nuvoletta diabolica dalla bocca infarcita di rossetto di Ester.
“Come va, Crissy? Roman ti ha baciata?” le mormorò Ester.
Crissy non raccolse, stringendo i denti per contenere la rabbia.
“Lasciala perdere, Crissy.”
Il saggio suggerimento le era appena giunto alle spalle dalla bocca amica di Megan.
“Ci mancava solo che ti mettessi a fare la paladina dei deboli!” fece acida Ester.
“Ehi, laggiù!” La professoressa richiamò bruscamente all’ordine le 3 ragazze, obbligandole a tacere.
Nonostante ciò, Ester non smise di inviare occhiate maliziose a Crissy, per tutta la durata della lezione. All’uscita, poi, la attendeva un’ulteriore supplizio: farsi a piedi la strada fino a casa col rischio che Ester spuntasse dal nulla per prenderla ancora in giro. Era pronta a scappare qualora si fosse realizzata un’evenienza simile, ma allora subentrava la paura di incontrare all’improvviso Roman, e a questo punto dove sarebbe scappata?
Non riusciva a immaginarsi un incubo peggiore, neppure sforzandosi di farlo.
“Ma dove hai la testa? E’ mezz’ora che ti chiamo.” Megan le si era appena affiancata, conferendole da subito un senso di protezione.
“Oh, scusami Megan, non ci sono proprio con la testa.”
“Lo vedo, lo vedo.”
Proseguirono in silenzio. Ester non si era fatta viva fino ad allora, e Crissy cominciava a sperare di essersene liberata.
“Senti…”
“Si?”
“Io credo….che dovresti cambiare un po’.”
Il suggerimento di Megan giunse a Crissy del tutto inaspettato.
“Come?”
“Si, insomma. Difenderti, reagire. Smetterla di arrossire come un papavero tutte le volte che qualcuno ti offende.”
“Ma che dici…”
“Lo vedi? Stai arrossendo anche adesso.”
“Non sei obbligata a camminare con me! – replicò, seccata, Crissy. – se non ti vado a genio vattene!”
“Non offenderti, Crissy. E accetta il parere di un’amica che ti vuole bene. Smettila di farti tiranneggiare da Ester o da qualsiasi altra persona a cui vada di farlo. Non sei di gomma, amica mia. Hai un’anima, hai dei sentimenti.”
“Questo lo so. Ma gli altri a volte…ecco, sembra che lo ignorino.”
“Nessuno può permettersi di ignorare i sentimenti degli altri, Crissy! Specie di una ragazza dolce come te. Ma sei tu che devi importi, capisci?”
“Io…non ci riesco…”
“Fai forza a te stessa. Allenati davanti allo specchio. Urla ai ragazzi per la strada.”
“E’ meglio che vada a casa.” Crissy senti le lacrime che le salivano agli occhi, donandole uno spiacevole calore.
“Crissy, è….è così difficile?” domandò Megan con dolcezza.
Due lacrime traboccarono dagli occhi di Crissy, e le attraversarono le guance come rivoli paralleli e solitari assieme.
“Non immagini neanche quanto.” Replicò la ragazza abbassando il volto.
“Perché, Crissy? – domandò Megan, penetrando il volto della compagna con la complice tenebrosità dei suoi occhi castani – Ritieni che ciò che pensi non abbia abbastanza valore per esprimerlo a voce alta; credi di pensare solo cose vuote, inutili, e preferisci tacere piuttosto che dire la tua. Ti chiudi nel silenzio e nella solitudine della tua scelta, e non vuoi permettere agli altri di starti accanto…”
“Basta, ti prego!” implorò in lacrime Crissy. Si voltò per andarsene, ma Megan la prese con dolcezza per un braccio, poi fece scivolare la mano nella mano di Crissy, e la strinse. All’improvviso Crissy sentì le sue mani stringersi in quelle di Megan, e vide gli occhi limpidi della sua amica a pochi centimetri dal proprio viso. Le lacrime continuavano a scorrerle, ma iniziano a divenire di gioia.
“Crissy, io…io sono certa che tu vuoi bene a Roman.”
“Io…”
“Parlagli, Crissy. Non trincerarti nel silenzio. Per strada, a scuola, in negozio, ma parlagli. Và a casa sua, se necessario. Ma parlagli. E’ una necessità, per te. Se non lo fai adesso, perderai la tua grande occasione, e non sarai più capace di guardarlo in faccia. Né a lui né a nessun altro.”
In quel momento, Crissy ebbe la certezza di avere un’amica; mai in vita sua aveva avuto una certezza così grande.
“Va bene, Megan.- disse – Gli parlerò.”
Quella sera Crissy era sola in casa. Suo padre era al lavoro, e la madre era uscita a fare la spesa, come ogni mercoledì sera. Ella sapeva che sarebbe tornata non prima delle sette e mezza di sera, dopo aver riaccompagnato a casa la sua amica Gina, che era solita andar con lei a fare la spesa. A quell’ora avrebbe sentito il rumore cavernoso e sporco della vecchia centododici – che il padre rifiutava di adoperare chiamandola ‘scatoletta di acciughe’ e che quindi era monopolio della madre – seguito dal fracasso dello sportello che su apriva; affacciandosi alla finestra, avrebbe visto il volto olivastro della mamma chino sul mazzo di chiavi, poi l’avrebbe vista districarsi nell’atto di prendere fra le braccia tre o quattro pacchi di merce, chiudere la portiera e aprire il cancello chiuso a chiave, tutto nel giro di due minuti. Forse Sara avrebbe sollevato il volto, mentre infilava la chiave nella serratura, e avrebbe visto lei che la osservava da un angolino della finestra del soggiorno – lo stesso soggiorno dal quale Crissy sorvegliava le mosse di Roman-; allora le avrebbe rivolto un ampio sorriso semicoperto dalle foglie della lattuga che fuoriuscivano dal bordo della busta, e lei avrebbe contraccambiato con un sorriso a metà fra lo spento ed il forzato.
Questo era ciò che capitava, di norma, ogni mercoledì; ma non quello. Quel giorno non sarebbe successo niente di ciò, perché forse Sara, rincasando, non l’avrebbe trovata a casa. O, se l’avesse trovata, sarebbe stato solo dopo aver fatto le scale ed essersi inoltrata in camera sua, dove certamente Crissy sarebbe stata da sola a pensare. Ne avrebbe avuto di belle cose da pensare, quel giorno, se fosse riuscita a portare in porto il suo piano, e cioè quello di parlare con Roman! Aveva tanta paura di soffrire, come enormemente soffriva ogni qualvolta faceva forza a sé stessa per compiere una missione eroica quale poteva essere, appunto, quella di parlare Roman guardandolo dritto dritto negli occhi. Ma aveva anche paura di non parlare. Paura che se non l’avesse fatto, ciò che in quei giorni le frullava nella testa subdolamente si sarebbe trasformato in un incubo ricorrente che l’avrebbe costretta a scappare tutte le volte che lo incontrava. E questa era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
Si guardò allo specchio, ansiosa di sapere chi Roman avrebbe visto quel giorno suonare alla sua porta, e vide il volto magrolino di una quindicenne bionda coi capelli raccolti in una coda di cavallo. La frangetta le copriva un po’ gli occhi castani, celandone la luminosità.
Sapeva che il padre di Roman non era a casa, e questo era gia, per lei, un grosso sollievo.
Lentamente, aprì la porta dell’ingresso e uscì.
Roman si voltò e si svegliò di soprassalto, tutto sudato e col cuore che gli batteva a cento all’ora. Il ricordo del sogno appena fatto era ancora vivido nella sua mente, egli incuteva la sensazione vischiosa che ci fosse qualcosa di genuino in esso. Si precipitò alla finestra, ma non vide nessuno. Corse fuori, con un sentore angoscioso che gli serrava la gola.
Solo allora la vide.
Avvertì una specie di tuffo al cuore nel vederla, in mezzo a tre o quattro ragazzi assatanati che avevano deciso di fare di lei l’oggetto del loro sadico piacere. Non ebbe tempo di guardarli in faccia ad uno a ad uno, ma se l’avesse fatto avrebbe scoperto che tutti lo conoscevano. Vide solo, a capo del branco, Jeremy Steele, un pluriripetente noto in tutta la scuola; con un giubbotto in pelle, come anche i suoi amici – e come Ester nell’incubo di poco prima – e un paio di pantaloni della stessa risma, Jeremy era chino sopra di Crissy. Lo vide chiaramente in volto perché non appena fu arrivato tutti si accorsero di lui; eccetto Crissy, la quale stava distesa per terra, quasi schiacciata contro il cancello, con ogni probabilità non per sua scelta. E ancora minore era la parte che aveva avuto nello scegliere di stare distesa sotto uno sbruffone dai modi rudi e dall’alito che sapeva di alcool, le cui intenzioni erano molto peggio dell’aspetto.
“Lasciatela!” ordinò con una fermezza che non aveva mai sentito di possedere.
“Lasciala!” ripetè quasi subito, rivolto direttamente a Jeremy.
“Cerchi guai, ragazzo?” domandò costui con aria accigliata.
Crissy si girò e guardò Roman; aveva il volto chiaramente segnato dalla paura: pallido, con profonde occhiaie livide, e a Roman parve di intravedere un’ecchimosi sotto lo zigomo.
“No. - rispose con decisione Roman – I guai li troverai tu, se non la lasci.”
Jeremy scoppiò a ridere, incurante dell’insolita luce che brillava negli occhi di Roman; e con lui rise il gruppo.
“Avanti, ragazzi! – disse sardonico – Allontaniamoci, o Roman perderà la pazienza!”
In quel momento, Roman cominciò a sentire la collera scorrergli nelle vene, e giungere alla massima potenza alle mani, che senza che lo volesse si strinsero in due pugni; era una sensazione che non aveva mai provato prima d’allora, ma era certo di potercela fare, contro Jeremy e contro tutti gli altri. Una specie di rabbia infuocata infuriava dentro di lui.
“Lasciaci in pace e tornatene a casa. – disse Jhon Gilman, uno del gruppo – Te lo consiglio per il tuo bene.” Jhon gli si era avvicinato. Era sempre più vicino.
“Hai sentito? Ti ho detto di andartene!”
“Io non vado da nessuna parte.”
In un attimo, il tempo perché l’espressione di Jhon cambiasse da ironica ad arrabbiata, il pugno si levò nell’aria fresca, ma Roman prontamente si abbassò e colpì il suo avversario al ventre. Egli si accasciò, mormorando: “Maledetto….”
Gli altri due, in piedi – che Roman era certo di conoscere, ma in quel momento non ne ricordava affatto gli stramaledetti nomi – si scagliarono contro di Roman. Ma anche questa volta, la furia di chi è calmo da una vita ebbe la meglio: colpì il primo in faccia, mandandolo a cadere contro il palo col naso rotto e un labbro tumefatto, e il secondo nuovamente in pancia, talmente forte che vide le sue pupille roteare come una slot-machine prima che cadesse all’indietro emettendo un rantolio soffocato.
“Allora vuoi proprio che ti spacchi la faccia!”
L’urlo di Jeremy gli giunse alle spalle; il ragazzo si era alzato in piedi dimenticandosi per qualche minuto di Crissy, e ora nei suoi occhi – neri neri, come una tetra notte di paura – ardeva la collera di chi ha appena visto i suoi amici vinti. Prese Roman per il colletto, e con tutta la forza che il fisico possente gli consentiva lo colpì sul viso. Una specie di alone bianco e luminoso si distese sulla sua faccia mentre Roman riceveva il colpo, i muri, le case, il palo della luce presero per un po’ a ruotare tutt’attorno a quella figura evanescente; persino il grido di Crissy gli giunse come un qualcosa di evanescente, mentre, cadendo, avvertiva il dolore dell’urto sul fianco sinistro.
“Tu stai zitta! – ringhiò Jeremy rivolgendosi a Crissy – Adesso ti sistemo io!”
Adesso Roman ricominciava a vedere con chiarezza davanti a sé: le immagini riacquistavano contorni definiti, con una lentezza estrema, ma li riacquistavano. La prima cosa che vide fu il volto atterrito di Crissy, adesso in piedi contro il muro che separava le loro case, che guardava il ragazzo davanti a sé con gli occhi più immensi e più inquietanti che Roman avesse mai visto in lei. Poi vide il giubbotto nero di Jeremy, che, con le braccia aperte, si avvicinava a Crissy come un animale inferocito. Con molta cautela si rialzò, e subito una fitta all’anca fece cedere la gamba sinistra; si accasciò proprio nel momento in cui Crissy urlò:”Nooooooooo…..” con voce disperata, ma allo stesso tempo destinata a perdersi nel vuoto, perché Jeremy la prese per il collo con la sua enorme mano insanguinata. Insanguinata dello stesso sangue caldo di cui adesso Roman iniziava ad avvertire il sapore, passandosi la lingua sulle gengive spaccate e doloranti. Ma nonostante adesso il dolore cominciasse ad affiorare sulla pelle, sul fianco e nella bocca, Roman fu lesto nel rialzarsi.
Jeremy con molta violenza spinse Crissy da una parte e le strappò la camicetta facendo saltare a terra tutti i bottoni; la ragazza assunse un’espressione inorridita e iniziò e strillare: “Lasciami, maiale!”, ma non servì, perché Jeremy le si era già attaccata al collo con le sue labbra viscide. Crissy si sentì attraversare da una sensazione potente di disgusto, come non aveva mai provato fino ad allora: le sembrava di avere una specie di mostro attaccato al collo, un rettile nauseante che strisciava sulla sua pelle nuda lasciando una scia inconfondibile che da allora in poi non si sarebbe mai più staccata da lei. E tale consapevolezza la fece sprofondare, mentre coi polsi cercava di opporsi alla stretta del rettile e col torace piccolo cercava di rientrare nella camicetta strappata.
D’un tratto, le labbra umidicce di Jeremy si scollarono bruscamente dalla sua persona: il suo viso si scostò violentemente e dietro di esso Crissy vide emergere quello di Roman, infuriato come non mai, con le labbra spaccate ed un grosso livido sull’angolo della mandibola. Era magro, minuto in confronto a quel bestione di Jeremy; eppure la collera che aveva in corpo gli donava una forza che nemmeno lui avrebbe creduto di possedere. Il suo polso magro si sollevò pesantemente ed un pugno librò nell’aria, talmente forte da far cadere Jeremy a terra stramazzando.
“Che succede qui?”
Era appena giunta una voce inattesa. Era quella di Peter, e nessuno di loro – tantomeno suo figlio – si sarebbe aspettato di vederlo piombare lì all’improvviso. Ancora meno egli si sarebbe atteso di rientrare a casa – sebbene prima del previsto – e trovare ad attenderlo suo figlio col volto parzialmente tumefatto che sferrava un pugno sulla guancia di un bulletto con la giacca da motociclista, due o tre ragazzi stesi a terra e la sua vicina coi vestiti strappati ed uno zigomo offeso.
“Ripeto la domanda, visto che sembrate non avere sentito: cosa state facendo?”
Si avvicinò e li squadrò tutti, ad uno ad uno. Poi si piantò davanti a Roman con uno sguardo carico di rimprovero.
“Ragazzo, ti sei accorto di avere la mandibola ferita?” domandò sornione.
“Si, papà.” Rispose Roman. Tutti tacevano. Jeremy si rialzò lentamente, strofinandosi sotto il naso col dorso della mano; col risultato che apparve agli occhi di tutti come se gli avessero appena dato una pennellata di vernice rossa.
Crissy lo vide ergersi piano, curvo sulle spalle, con aria sconfitta; nei suoi occhi brillava la luce amara di chi è appena stato battuto da uno più piccolo. E la strisciata di sangue sotto il naso gli conferiva l’aria ridicola di un bambino che si è impiastricciato con i pennarelli. Era troppo buffo, e anche se il ricordo vomitevole del contatto con la sua bocca e con le sue mani era vivido e chiaro nella sua mente, trattenne a stento una risata. Jeremy se ne accorse, ma la ignorò e guardò Peter. I loro sguardi si incrociarono.
“Anche tu hai una brutta ferita. – commentò Peter – Perché non vieni dentro a medicarti?”
“Papà!”
“Che c’è Roman? – domandò minaccioso – Non vuoi che questo ragazzo entri a casa?”
“Esatto!”
“La ringrazio, signore. – disse con una voce insolitamente mansueta Jeremy – Ma devo andare.”
“Così presto? Non mi avete ancora spiegato perché ve le siete date di santa ragione.”
“Io….vado a casa….” Mormorò Crissy.
“Aspetta….” Fece Roman.
“No, devo andare.”
“Ti accompagno su…”
Crissy si guardò un po’ attorno: il padre di Roman non sembrava troppo favorevole.
“Va…va bene.” Acconsentì.
Fecero assieme le scale, zitti, uno accanto all’altro. Quando furono davanti alla porta, Crissy parlò.
“Io…non so come ringraziarti…”
“Non devi farlo. L’importante è che stia bene.”
Le pupille di Crissy brillavano come due lanterne nell’inquietudine dei suoi occhi castani. Le labbra le tremavano, scolorite in mezzo al volto pallido, sul quale emergeva un alone rosso porpora. E la mano di Roman, allora, guidata da una forza arcana, si stese, col dorso, su quell’alone, carezzandolo dolcemente. Il colore di sempre, o quasi, riemerse allora sul visetto slavato di Crissy, ed il battito cardiaco si fece più veloce, simile a una specie di danza brasiliana. Roman le era adesso così vicino da poterlo sentire, palpitante, attraverso la camicetta aperta e la sua maglietta fine.
Ma non è il suo, è il tuo gli sussurrò una vocina proveniente dal di dentro.
Baciala, sciocco….
Si diede una rapida occhiata attorno, ma non c’era nessuno.
Il respiro di Crissy, nel frattempo, gli carezzava la pelle del collo come una piacevole brezzolina di fine estate.
Che aspetti, la baci o no?
Stavolta fu un gesto spontaneo; nessuna forza arcana agì su di lui per condurlo alla meta. Roman si chinò su di Crissy, e la baciò sulle labbra. Fu un bacio rapido eppure lungo, caldo e freddo assieme, e quando si staccarono, ciascuno vide sul volto dell’altro un’espressione stupita e spaventata assieme.
“Devo andare.” Disse Crissy con voce grave.
“Ciao.”
La porta si chiuse alle sue spalle, e Roman rimase per qualche istante lì, nel tentativo di imprimere bene nella mente il ricordo del suo primo bacio, che non sapeva se definire o meno ‘rubato’; a una ragazza con la quale, dopo di allora, per tre anni non avrebbe più avuto contatti, perché la settimana dopo il padre di Crissy salì di grado e dovette trasferirsi, con la famiglia, in un’altra città.
Per tre anni Roman e Crissy non si rividero, lasciando in sospeso quello che poteva forse ritenersi il bocciolo di un’amicizia che fu lì lì per nascere. Si parlarono nuovamente nel mese di dicembre, la settimana prima di natale, nella triste occasione del funerale del padre di Roman.
Peter Hall se ne andò silenziosamente, quasi in punta di piedi pensò Roman, verso le nove del mattino; un mattino gelido e carico di nuvoloni, mentre Roman era fuori a raccogliere alcuni tronchetti per il fuoco, e Peter era seduto sulla poltrona accanto al camino. Due mesi prima gli era stato diagnosticato un tumore al polmone; ciò che rimaneva di lui, era un vecchio smagrito dal colorito itterico per via delle metastasi epatiche.
Rientrando, Roman lo vide chino su un bracciolo, con le spalle e il torace scoperti; si avvicinò per coprirlo col plade che teneva, piegato in due, sulle gambe, e toccandolo scoprì, in un istante lungo un secolo, di essere diventato orfano di entrambi i genitori, e che d’ora in poi la sua unica compagnia sarebbero stati i libri dell’università – si era iscritto in lettere moderne all’uscita del liceo, ed era al secondo anno – e i pensieri. I pensieri, incessanti, che da quel momento presero a scorrere nella sua mente come un fiume in piena; e la piena era di ricordi, belli, brutti, di sua madre e di suo padre assieme, dei piccoli mostri che ogni tanto credeva di vedere nel nulla, di Crissy Wilson e delle ragazze irraggiungibili – così gli apparivano – che ogni giorno incontrava. Attimi fugaci, conoscenze brevi, rapporti rapidi e intensi. Questa era la sua vita, eppure in mezzo a quel perdersi di immagini e di briciole di sogni conservava ancora gelosamente, come una foto antica, ingiallita e coi bordi consunti viene conservata con calore, il ricordo di Crissy Wilson e del semi-bacio che si erano scambiati davanti al portone di casa della ragazza.
Non si sarebbe mai immaginato, però, di vederla presentarsi al portone di casa sua, assieme a Megan Steele, che certamente l’aveva informato della morte del padre. Megan la conosceva bene; ma Crissy era solo un ricordo evanescente di una ragazzina timida che a malapena aveva parlato tre volte.
Eppure la riconobbe subito. Lui aveva ventun’anni, quindi lei doveva averne diciassette. Si era fatta più magra, per cui la sua figura risultava più slanciata, ed il viso era come affilato. Non portava più la coda di cavallo, ma i capelli a caschetto, più biondi di quanto ricordava che fossero, cui facevano contrasto gli occhi e le ciglia castane. Indossava un abitino nero che le arrivava sopra il ginocchio, e sopra una giacca che a Roman parve sin troppo esigua per il freddo della giornata.
“Ciao, Roman. Mi dispiace tantissimo…..” spezzò così la frase, di fronte a Roman che era rimasto letteralmente di sasso, non sapendo che dire o fare per accoglierla.
Lei aveva preso l’iniziativa; e Roman ebbe modo di riflettere su questo dettaglio, fra una visita e l’altra che ricevette quel giorno. Pensò che forse non era più il cucciolo spaventato che ricordava, che sembrava radicalmente cambiata. Nei suoi occhi aveva visto brillare una scintilla insolita, inusuale per lei che di solito riservava a pochi il privilegio del proprio sguardo. Sembrava quasi che si fosse trasformata in una donna. Quei tre anni l’avevano certo plasmata, agendo su di lei con l’azione trasformatrice che solo il tempo può possedere.
Lui invece non era cambiato poi tanto. Era sempre il ragazzo schivo e riservato di un tempo. E aveva sempre – nascosto nelle pieghe del cuore - il ricordo dell’incubo fatto il giorno stesso dell’aggressione di Crissy. Ciò che sentiva, e che aveva sempre sentito da quel giorno, era che quel sogno fosse stato premonitore, e, sebbene non fosse stato chiaro all’inizio, LUI AVEVA SOGNATO CRISSY CHE VENIVA AGGREDITA DA UNA BANDA DI TEPPISTI, COME NELLA REALTA’ STAVA ACCADENDO.
Dopo i funerali, ciascuno fece rientro alla propria dimora. Roman non vedeva l’ora di tornare a casa, per immergersi nell’acqua bollente della vasca da bagno, e finalmente abbandonarsi al non far niente. Già, perché oramai non c’era più niente da fare. Niente obblighi, né doveri verso il padre che ormai aveva cessato di soffrire. Solo un’enorme ondata di giorni che si stendevano davanti al suo cammino, simili a un’immensa pianura deserta nello sfondo della quale non riusciva a scorgere nulla. Per quanto si sforzasse, era preso da un’apatia così grande che non gli consentiva in alcun modo di liberarsi da lei. Non c’erano sogni, o almeno progetti, che naufragassero nelle sue fantasie. La visione che in quegli ultimi tempi aveva iniziato a nutrire circa il suo futuro era un qualcosa di estremamente, e tristemente, arido e solitario.
Nelle case già brillavano le luci degli alberi di natale, o scintillavano le decorazioni attorno alle porte addobbate. Ma a casa di Roman no, tutto ciò non accadeva. Entrando a casa, egli non vide altro che le solite due poltrone ai lati del camino; al centro di esse, il tavolino con sopra il portacenere vuoto, perché il padre aveva smesso di fumare, e lui non aveva mai iniziato, ed un fermacarte che in vita sua non aveva mai potuto soffrire. Lo prese e lo gettò nella spazzatura. Da allora avrebbe smesso di pensare che non gli piaceva.
Si tolse il giubbotto, un piumino nero che possedeva dall’anno prima. Qualcuno suonò, mentre già si vedeva immerso nella vasca da bagno. La ragazza che vide era Cristina Wilson, ma non se la sentì proprio di chiamarla col vecchio vezzeggiativo ‘Crissy’.
“Oh, Cristina! – esclamò mortificato – Che sbadato! Ho pensato fossi andata da Megan e non ti ho neppure chiesto se avevi un posto in cui alloggiare!”
“Ce l’ho, infatti. O meglio, ce l’avevo. – replicò la ragazza – Megan mi ha chiesto di andare da lei, e le ho detto che avrei dormito in albergo. Ha insistito, ma ho preferito fare a modo mio.”
“Capisco, ma….entra pure. Accomodati!” Roman si fece da parte per farla passare. Cristina si fece avanti, e, sotto la guida del suo ospite, si sedette in una delle due poltrone.
Aveva in sé la grazia di una donna fatta, e Roman stentò a credere che nascosto in lei, in qualche meandro segreto della sua persona, esistesse ancora qualche esile vestigia della ragazzina timida di un tempo. Si sedette di fronte a lei, a contemplarne il viso scarno, la bocca carnosa ben truccata, e gli occhi segnati da un verde tenue che le modellava gli angoli leggermente all’insù.
“Posso….posso offrirti un caffè?”
“No.” Rispose lei.
“Allora un thè?”
“No.”
“Mi spiace, non credo di avere altro in casa. Sai, papà non bevevo più alcolici negli ultimi tempi, e io….”
“Non voglio niente.” tagliò corto Cristina. Roman si accorse che era intirizzita dentro la giacchina nera, e si vergognò per il clima freddo che regnava in casa. Per rimediare, corse fuori a prendere un po’ di legna.
Pochi secondi dopo, era inginocchiato davanti al caminetto, ad armeggiare con legno, fiammiferi e fogli di giornale per accendere il fuoco.
“Roman…. Ti starai chiedendo perché sono venuta.” Incalzò Cristina.
“No…. – replicò Roman sollevandosi da terra – La visita di un’amica è più che normale in queste circostanze.”
La legna prese ad ardere dentro il camino, in una danza di fumo e scintille colorate. Roman tossicchiò per il pizzicore prodotto dal fumo. “Sempre così, questo maledetto camino!”
“Ma noi non eravamo amici.” Ribattè Cristina, rispondendo all’affermazione fatta poco prima dal ragazzo.
“Hai ragione. – ammise Roman dopo una breve esitazione. – Non eravamo amici.”
Cristina estrasse dalla borsa un pacchetto di Marlboro e ne estrasse una. Offrì a Roman la confezione aperta, ma egli rifiutò con un cenno del capo.
“Ti dispiace….?”
“No. Fai pure.”
La bocca di Cristina assunse la forma di un cuore mentre teneva la sigaretta stretta fra le labbra per accenderla, con un grazioso accendino a forma di Babbo Natale che poi abbandonò sul tavolino.
“Simpatico!” commentò Roman.
“Me l’hanno dato in omaggio al supermarket. Lo davano ogni cento clienti.” Tirò una boccata ed il suo viso finì per qualche secondo nascosto da una coltre di fumo.
“Roman – proseguì – secondo te….noi che cosa eravamo di preciso?”
Roman parve sorpreso della domanda. E in effetti lo era.
“Bè….non saprei. Vicini di casa, forse….o conoscenti. Anzi…si, direi proprio conoscenti.”
“Due conoscenti che una volta si sono baciati?” domandò la ragazza a bruciapelo.
Mai e poi mai, prima di quel giorno, Roman avrebbe mai immaginato di udire una simile frase che usciva dalla bocca di Cristina Wilson, la più timida delle timide. Era sicuramente uno stile del tutto estraneo a Crissy, la Cristina che un tempo conosceva.
“Roman, io….ho dato a te il mio primo bacio.”
Rivelazione alquanto sconcertante, benché ovvia. La cosa sconcertante era sentirla pronunciare da lei, sebbene l’avesse fatto con voce così flebile che sembrò quasi che le parole le fossero uscite di bocca in un soffio.
Roman la guardava esitante. Non sapeva cosa attendersi, né, tantomeno, cosa ella si aspettasse da lui.
“Il primo bacio per una ragazza è importante. Per un ragazzo forse non lo è, ma per una ragazza è così. E io l’ho dato a te.”
“Anche per me era il primo.” Disse Roman, sperando di avere azzeccato la frase giusta.
Cristina tirò un’altra boccata, e schiacciò sul posacenere la mezza sigaretta che le rimaneva. Roman cominciò a dubitare di aver fatto centro.
Crissy aveva il capo leggermente inclinato, e a Roman parve di intravedere un alone di porpora sul suo viso, che riusciva a scorgere solo in parte.
‘Ecco un gesto’ pensò ‘Che s’intona perfettamente all’immagine di Crissy’. nella sua mente ormai la ragazza aveva assunto una duplice sembianza: da un lato era Crissy, la ragazzina spaurita; ma dall’altro era Cristina, la ragazza di classe la cui sola presenza – soli, in casa sua, loro due – era sufficiente a fargli ribollire il sangue nelle vene, con la stessa foga di uno stallone selvaggio. Aveva ventun anni, infatti, e una certa remora a far sapere in giro che in vita sua non aveva mai avuto un rapporto sessuale. Solo avventure sentimentali, per nulla degne di nota, delle quali non aveva nessun interesse a risvegliare di tanto in tanto la memoria.
Rapidamente una domanda attraversò i suoi pensieri: Crissy aveva mai fatto l’amore con qualcuno? Probabilmente la risposta era ‘si’.
Cristina estrasse un’altra sigaretta dal pacchetto che prima aveva abbandonato negligentemente sul tavolino. Questa volta, la accese con molto nervosismo, e non più coi gesti flemmatici delle altre due volte. Tirò due o tre boccate mirando il soffitto, con aria a metà fra l’aggressivo e il seccato. Roman studiava la sua figura cercando di rubarle il maggior numero possibile di dettagli, e nel far ciò una sensazione di calore prendeva a sgorgargli in tutto il corpo, soprattutto mentre si soffermava a osservare la linea morbida delle labbra. Erano una vera e propria arma di seduzione, pensò.
D’improvviso Cristina si sfilò la sigaretta di bocca, e le fece fare la stessa squallida fine delle altre.
Una dolce penombra avvolgeva la sua figura sottile, illuminata dalla calda fiamma che ardeva nel camino. Un brivido d’eccitazione scorse lungo la schiena di Roman, il quale da allora in poi l’avrebbe sempre ricordata così; con quel tocco di decisione in più, che le conferiva un’aria da donna fatta, coi capelli biondi che le scivolavano lungo le guance, e gli occhi castani velati da una sensuale trama di ciglia.
Un vortice di desiderio lo colse all’improvviso, facendolo bramare ardentemente dalla voglia di possederla – lì, in quell’istante – col rumore della fiamma che scoppiettava nel camino e la sensazione del gelo che regnava, sovrano, fuori.
“Le fumi sempre a metà?” domandò.
Cristina sollevò il viso verso di lui, colta alla sprovvista.
“Come?”
“Le sigarette, dico. E’ la terza che lasci a metà.”
“E’ un’abitudine che mi sono presa da quando studio all’università. Sai, sono in una pensione, assieme a due ragazze e due ragazzi. Lo facciamo spesso. Iniziare a fumare, dico, e terminare a metà.”
Terminare a metà. E l’amore? Lo fate intero o terminate a metà anche quello?
“Secondo certe riviste, riduce il rischio di canc….oh, scusami, Roman. Non volevo.”
Roman ignorò la sua frase.
“Tu, invece – proseguì Crissy – sei rimasto pulito, a quanto vedo.”
“Eh?”
“Si, intendo il ragazzo pulito di una volta.” scoppiò a ridere, di fronte al viso impassibile di Roman.
Sei bellissima. Perché non resti qui, con me, stanotte?
“Che c’è?” le chiese.
“Scusami, Roman. E’ che sei davvero un fenomeno. Sei l’unico ad essere rimasto incontaminato.”
“Incontaminato da che?”
“Dal fascino della sigaretta, ad esempio.”
Roman sorrise e si alzò in piedi. Si avvicinò alla finestra, e, dando le spalle a Cristina, si mise a guardare fuori. Ben presto, però, vide riflessa nel vetro l’immagine della ragazza, che l’aveva raggiunto.
“Scusami, Roman. Non volevo ridere.”
“Oh, non dispiacerti, Cristina, anzi! – Roman si voltò verso di lei, trovando ad attenderlo due immensi occhi castani. – E’ stato….è stato bellissimo vederti ridere.”
“Dici davvero?”
“Si. Sai, non mi è capitato spesso di veder qualcuno ridere negli ultimi mesi.”
Cristina annuì, senza cessare di guardarlo.
Roman pensò di nuovo che era bellissima. Una donna bellissima, anzi stupenda, sola in casa sua in una notte gelida.
Baciala, sciocco.
Una voce sussurrata, quasi una sensazione, più che una voce vera e propria, si inoltrò nel silenzio. La stessa che, anni prima, gli aveva mormorato: Baciala adesso.
Che fare? Cristina era lì, ferma davanti a lui a guardarlo, con tutta la dolcezza e l’immensità del suo sguardo, e il calore che emanava dal suo corpo, che a Roman sembrava di percepire come una serie di scosse elettriche…..E nel giro di un minuto le sue labbra erano lì, posate su quelle si lei, i loro corpi stretti in un abbraccio, i palmi delle mani che aderivano l’un l’altro, uno olivastro, l’altro più chiaro….. si staccarono e finirono a fissarsi, entrambi turbati.
“Forse….è stato un errore venire da te.” Mormorò Cristina.
“No, non lo è stato. Anzi, è stato un gesto bellissimo da parte tua. Io, piuttosto, sono stato sleale.”
“Non sei stato sleale. Io….io ora me ne devo andare.”
“No. Ti prego.” Obiettò Roman; aveva impressa in volto l’espressione supplice di chi vuole a tutti costi una cosa. Ma subito si rese conto di ciò che aveva appena detto, e di quanto fosse inopportuno, e scosse il capo dicendo: “Scusami, io…..non avevo nessun diritto. Va, se devi andare. Non posso trattenerti.”
“Roman…. – la voce di Cristina si era sovrapposta alla sua, a partire dal ‘Va se devi andare’, chiaramente riferita alle tre paroline pronunciate per prime - ….speravo tanto che me lo chiedessi.”
Gli occhi del giovane furono attraversati da un’ondata di stupore.
“Cosa?” domandò, incredulo.
“Ho detto – ripetè imbarazzata Cristina – che speravo tanto che me lo chiedessi. Ti dispiace, per caso?”
“N-no. – replicò Roman, superato lo sbigottimento iniziale. – Ti voglio, qui, con me.”
Un enorme desiderio di proteggerla si impadronì di lui; una voglia pazza di abbracciarla, di stringerla, tenerla vicino a sé. Ancora nel camino ardeva la fiamma, e ai suoi piedi si stendeva il tappeto. E in un attimo anche loro furono lì. Se gli avessero chiesto come avessero fatto, o quando ci avessero impiegato, egli non avrebbe saputo rispondere. Avrebbe saputo solo dire che in un attimo si erano ritrovati l’uno accanto all’altra; la sottoveste di Crissy si era trasformata in un cumulo di pizzo per terra, il suo accappatoio era scivolato lasciando libera la pelle….e nel frattempo loro dolcemente scendevano giù, sempre più giù, travolti dal turbine vorticoso della passione, che pian piano li guidava, facendo amalgamare i loro corpi, e facendoli sprofondare nell’oblio.
“Ecco qua!”
Alex Randall, membro di una prestigiosa compagnia di avvocati, con i suoi abituali modi, rapidi e concisi, porse a Roman, che gli sedeva di fronte, due fogli, su ciascuno dei quali indicò una barretta vuota.
“ Tu e Cristina non dovete fare altro che mettere una firmetta qui, e sarete nuovamente liberi come l’aria.” Con le mani fece un gesto vagamente indicativo del concetto che esprimeva, e attese la risposta di Roman. Lo sguardo di quest’ultimo s’incupì.
“Roman….” Alex fece per iniziare a parlare, ma lasciò cadere la frase senza riuscire a trovare le parole adatte. Gli occhi di Roman, come sempre quand’era triste, si erano fatti più lugubri, divenendo simili a due pozze scure. Alex sapeva benissimo che il temperamento dell’amico era fondamentalmente malinconico, e in quei due anni che si conoscevano le volte che l’aveva visto sereno e disteso potevano contarsi sulle dita delle mani. Ma la profonda infelicità che leggeva adesso nel suo viso era un qualcosa che fino ad allora non aveva mai visto in lui; che quasi gli si connaturava nei tratti, divenendo addirittura realtà materiale.
Si erano conosciuti due anni prima, esattamente quando Roman e Cris si erano per la prima volta rivolti al suo ufficio per risolvere definitivamente i loro problemi coniugali con la separazione. Poi il tempo era trascorso, e i due erano tornati sui loro passi, decidendo di non separarsi. Alex sapeva benissimo di aver fornito il proprio contributo personale alla maturazione di tale scelta, consigliando loro caldamente di pensare bene, almeno per due settimane di fila – durante le quali non si sarebbero dovuti nemmeno presentare nello studio – a ciò che realmente avessero intenzione di fare. Tale idea gli era sorta nei giorni in cui, dovendo definire le condizioni della separazione, Cris e Roman si erano incontrati in sua presenza. Una cosa gli era risultata da subito chiara quasi come il sole: i due si amavano, e in virtù del suoi principi non poteva anteporre gli interessi della compagnia all’unione di una famiglia, specie se comprendente due figlie.
Probabilmente Cris e Roman non avevano ignorato, o finto d’ignorare, la nobiltà del suo gesto, visto che per festeggiare la loro riconciliazione avevano organizzato una cena a cui aveva preso parte anche Alex. Era stato in quella circostanza che Alex aveva conosciuto Megan; una settimana dopo l’aveva invitata al cinema, e la settimana dopo ancora erano usciti a cena fuori. Un mese dopo dal loro primo incontro facevano coppia fissa in ogni occasione, ed il mese seguente erano marito e moglie, dopo aver coronato il proprio sogno d’amore in una chiesetta di campagna con Cris e Roman che facevano da testimoni.
Tutto sommato, due anni erano pochi, si, ma erano stati sufficienti perché Alex e Roman stringessero un’amicizia sincera, quasi fraterna, sebbene Roman non conoscesse bene il significato dell’espressione. Per Cris era diverso; lei e Megan erano amiche per la pelle da anni. Ma Roman in vita sue non era mai riuscito a instaurare un rapporto solido e duraturo; l’unico che possedesse un minimo di solidità – a parte il rapporto col padre e quello con la madre, del quale tuttavia serbava solo qualche misero ricordo – era quello con Cris; e adesso anch’esso si stava sgretolando, lasciando spazio solo alla malinconia e all’isolamento di un uomo solo.
“Che c’è?” domandò Roman sollevando il viso verso Alex.
“Niente. Io….mi chiedevo se stessi bene.”
“Oh, certo. – replicò, senza apparente ombra d’ironia – Sto solo divorziando.”
Alex abbassò il capo, e quando lo risollevò verso l’amico gli parve di vedere in lui un uomo di dieci anni più vecchio.
“Credevo che aveste preso questa decisione di comune accordo.” Commentò.
“E infatti…..è stato così.”
“E allora? Perché sei così triste?”
Era una domanda senza risposta. La tristezza era sempre stata l’ingrata compagna di Roman, ed Alex lo sapeva bene. Anzi, aveva l’impressione di averlo visto felice solo due volte, dacchè lo conosceva: una volta era stato quando lui e Cris avevano deciso, la prima volta, di rimanere insieme; l’altra quando Cris e le gemelle – si chiamavano Sara e Rita, come le loro nonne – gli avevano organizzato una festa a sorpresa per il suo compleanno. Ma adesso, aveva la sensazione che quell’espressione serena e distesa non avrebbe mai più illuminato il suo volto.
“E’….è per le bambine.” Rispose Roman. Era una mezza verità.
“Ma passerai con loro tutti i fine settimana. E Cristina ha detto che potrai andare a trovarle tutte le volte che vorrai. Anche ogni sera, se ti va.”
“E questo, fino a quando durerà?”
“Non lo so….”
“Fino a quando Cris non troverà un altro uomo! Pensi che un uomo sia disposto a tollerare un estraneo a casa della sua ragazza ogni sera?”
“Sono problemi che non esistono, Roman. Quando e se Cris avrà un altro compagno, magari Sara e Rita saranno abbastanza grandi da venire a trovarti da sole.”
Roman scosse il capo, e si alzò. Si avvicinò alla finestra e si mise a guardare fuori.
“Passeranno tutte le feste senza di me. Non ci sarò né a Natale né a Pasqua. E quando entreranno al liceo, io non le vedrò…..”
Alex si alzò, e andò a piazzarsi al suo fianco.
“E’ per loro che fai così – domandò – o per Cristina?”
“Per tutt’e tre.” Ammise Roman.
“La ami ancora, non è vero?”
“Come la mia stessa vita.”
Un silenzio tombale fece seguito alla rivelazione di Roman.
“Ma scusa, allora perché non hai cercato di impedire che giungeste a questi estremi?” domandò a un certo punto Alex.
“Perché mi rendevo conto benissimo di renderle la vita impossibile, con la mia assurda gelosia. E che forse la rendevo impossibile anche alle bambine.”
“Cris ha sempre detto che a volte non ti capiva, che certi giorni ti vedeva così assente…..”
Roman sgranò gli occhi, e per pochi istanti il suo viso venne attraversato da un lampo di stupore; ad Alex non sfuggì, ma subito Roman cercò di assumere un’aria indifferente.
“Il problema maggiore è stato la mia gelosia.” Disse.
“Questo lo so. Cris l’ha sempre detto.”
“Alla fine abbiamo deciso di darci un taglio. Il divorzio ci è sembrata l’unica via.- La voce di Roman possedeva una sorta di rassegnazione. – Solo ora mi rendo conto di ciò che ho perso. Cris….è tutta la mia vita.”
Dopo qualche istante di silenzio, Roman si guardò l’orologio e disse:”E’ tardi, ora. Devo andare. Ho un appuntamento col padrone della casa. Ciao Alex.”. Si diresse verso la porta, ma quando ebbe impugnato la maniglia gli giunse la voce di Alex:
“Roman….”
“Che c’è?”
Roman si voltò, e gli apparve la sagoma scura dell’amicoco sopra lo sfondo luminoso della finestra.
“Ma se la ami ancora così tanto….perché non glielo dici?” domandò Alex.
Roman scosse il capo, e rispose: “Non è più possibile ormai.”
“Ciao, Cris. Vieni, entra.”
Cris entrò, senza dir nulla, e andò dritta a sedersi sul divano col rivestimento color avorio situato vicino al caminetto. Megan fece altrettanto.
“Allora, Cris….come ti senti oggi?”
“Come vuoi che mi senta? – rispose la giovane con voce lugubre – Il mio matrimonio sta finendo.”
“Lo so. Alex mi ha detto tutto.” Megan allungò una mano per accarezzare quella di Cris, ma ella non fece alcun movimento.
“Tutto è finito, ormai. Oggi Roman non tornerà a casa.”
“Oh, Cris….non sai quanto mi dispiace….”
Tacquero entrambe.
“Ci ha lasciato la casa. – riprese Cris. – ha detto che vuole che le sue figlie crescano lì, e ha insistito perché facessimo così. Io non ero d’accordo, a dire il vero.”
“Perché?”
“Perché quella era la casa di suo padre, è ovvio. Non è giusto che adesso me ne impossessi io.”
“Hai ragione. Ma forse questo non è che un metodo per avere ancora qualche forma di legame con te.”
Cris sorrise malinconica.
“Ti ricordi – il tono di Megan si rivestì di un ondata di calore, mentre si avvicinava di più all’amica. – quando eravamo piccole….tu abitavi a fianco a Roman….”
“Certo che mi ricordo.” Cris parve raddolcita. “Sai – riprese dopo un po’ – anche se non l’ho mai detto a nessuno, io avevo una cotta per lui in quei tempi…”
“Pensi che ci fosse bisogno di dirlo a qualcuno? – il tono incredulo di Megan fece si che Cristina si voltasse per guardarla in faccia con altrettanta sorpresa – Ma….era un’informazione di pubblico dominio, Cris!”
“Cosa? Ma non è vero, io….”
“Lo sapevano tutti, tesoro! A cominciare da Ester! Ma a parte lei tutti si accorgevano che la timida Crissy Wilson arrossiva fino alla radice dei capelli non appena Roman compariva nei paraggi.”
“Oh, mio Dio….dici sul serio?”
“Si.”
Lo sguardo preoccupato di Cris era così buffo che Megan scoppiò a ridere.
“Andiamo, Cris, non vorrai preoccupartene ora!”
Cristina scosse il capo, poi, lentamente, iniziò a ridere anche lei.
“Almeno ti ho regalato un po’ di buon umore!” commentò Megan soddisfatta. A quelle parole, Cris sentì un nodo stringerle la gola; non voleva che succedesse, eppure dai suoi occhi presero a scendere le lacrime.
“Oh, Cris! Io….non volevo!”
“Non importa, Megan, non sei tu…”
“Cris, io non sopporto di vederti così.”
“Allora sarà bene che non mi faccia più vedere qui.”
“Neppure le tue figlie certamente sopportano di vederti così! Hai intenzione di non farti più vedere nemmeno da loro?” disse in tono severo Megan.
“No. Grazie a Dio con loro riesco a contenermi.”
“E credi che ti faccia bene tenerti tutto dentro?”
“No. Per questo esisti tu!” una lieve ironia trapelò dalle parole di Cris.
“Tu hai bisogno d’aiuto, Cris. Dammi retta.”
“E da chi?”
“Da Roman. Devi accettare che senza lui non riesci ad andare avanti.”
“Ma nemmeno con lui, Megan. Tu non immagini cos’era diventata la mia vita. Lui….lui era un geloso patologico, capisci?”
“Lo so, l’ha sempre ammesso.”
“Si, e tutte le volte mi ha promesso che avrebbe cercato di cambiare. Invece non ha neppure provato a farlo. Figurati che una volta me lo sono ritrovato a casa della zia di Tanya!”
“Della zia di chi….?”
“Di Tanya, la mia collega. Ero andata a trovarla, una sera che ero sola. Lui invece è tornato prima dal lavoro, e quando ha visto che non c’ero….apriti cielo! E’ riuscito a telefonare a tutti i numeri che ha trovato nella rubrica accanto al telefono e nella mia agenda, che ha trovato frugando fra le mie cose, e finalmente è giunto a Tanya. Solo che noi eravamo andate a trovare la zia, che è malata, ma lui è riuscito a risalire persino al suo indirizzo!”
“E chi glielo ha dato?”
“Il figlio di Tanya. Sai com’è, lui gliel’ha chiesto.”
“Ha osato…?”
“Si. Ha osato. E uscendo me lo sono ritrovato fuori ad aspettarmi. Sono tornata a casa ed il cassetto del mio comodino era tutto in disordine. Ma naturalmente Roman ha negato di essere responsabile di ciò.”
Cris sospirò.
“E non è finita! Questo non è che uno dei tanti casi in cui mi ha messo in ridicolo di fronte ad altre persone. Non sai quante volte il mio telefonino ha squillato mentre ero ad una riunione, ed era lui, che pretendeva persino che rispondessi a domande ridicole su chi fosse presente, e se fosse presente qualcuno dall’aria sospetta.”
“Ti capisco, Cris. – ammise Megan. – Era una situazione insostenibile.”
“Puoi dirlo forte.”
Tacquero. Entrambe avevano capito che non vi era altro da aggiungere.
“Ora devo andare. Le bambine torneranno da scuola, e devo prepararle il pranzo.”
“Hai bisogno di qualcosa?”
“No, Megan. Ti ringrazio, ma non ho bisogno di nulla.”
Erano troppi i pensieri che in quel momento si affollavano nella sua mente. Aveva pensato a Roman tutto il giorno, e giunta all’epilogo della giornata ancora non riusciva a liberarsi dalla serie di pensieri dubbiosi circa la possibilità di una riconciliazione fra loro due, e di una vita serena dell’intera famiglia. Non solo di lei e di Roman, ma anche delle bambine. Erano state concepite lì, anni prima, le bambine; alla luce della fiamma viva che ardeva nel cammino; il giorno stesso che i due avevano scoperto di amarsi.
Cris pensò con nostalgia imprimi, felici tempi della loro unione, e gli occhi le si inumidirono. Non erano stati felici, forse? E non solo nei primi tempi, ma anche in seguito, in molte altre occasioni. Forse non si amavano più, o avevano perso l’antica calorosa passione? No, non era certo così, e Cris lo sapeva bene. Anzi….sembrava quasi che a letto tutti i loro problemi si dissipassero! Solo che ogni volta tornavano, ecco tutto.
Amareggiata, Cris depose sul tavolino il libro.
“Oh, Roman….avremmo potuto essere felici insieme….”
Avrebbe dato qualunque cosa perché lui fosse lì in quel momento. Sentiva che se si fosse presentato alla porta, di colpo tutto ciò che era successo fino al giorno prima si sarebbe dissolto nel nulla, lasciando posto solo ad un futuro di felicità… …
Il campanello squillò, ponendo fine alla corrente celere dei suoi pensieri.
Chi mai poteva essere a quell’ora della notte?
Era incerta se andare o no ad aprire; dopotutto era già in pigiama, e le bambine stavano dormendo. Se fosse stato qualche malintenzionato non avrebbe saputo cosa fare. Ma se fosse stato qualcuno – qualcuno che la conosceva bene – che sapeva di trovarla in piedi a leggere a quell’ora, perché conosceva alla perfezione le sue abitudini….? Il cuore cominciò a batterle nel petto più veloce; indecisa sul da farsi, si alzò in piedi, ma si arrestò quasi subito.
E intanto il campanello riprese a suonare.
Cristina si avvicinò alla porta, in preda all’agitazione. ‘E….se fosse lui?’ si domandò.
“Chi è?” domandò vicina alla porta, pur con il timore che Sara e Rita si svegliassero.
“Sono Roman. – una serie di scosse elettriche cominciarono a vibrare con veemenza nel corpo di Cris – Posso entrare?”
Era lui. Era venuto, dunque. Ma per quale motivo? Anche lui non riusciva a prender sonno, schiavo dei suoi stessi pensieri, o era venuto per qualcos’altro? Nell’incertezza, Cris si autoimpose di calmarsi.
Con gesti abbastanza lenti tirò il catenaccio e fece ruotare la chiave nella serratura.
Il cuore le sobbalzò nel petto nel momento stesso in cui vide Roman in piedi di fronte a lei….fu come se d’improvviso, dopo tanto tempo, si fosse riacceso il sole…
“Posso entrare? – domandò Roman, sorridendo come se tra loro non fosse accaduto niente. – Sono disoccupato….”
“Entra…” mormorò Cris.
E, magicamente, non ci fu nient’altro da aggiungere, perché il sole aveva ripreso a brillare.
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