Di queste nostre Splash....
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da : Concerto di Sogni
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Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: Alessio
Oggetto:
Di queste nostre Splash.... Una grande rabbia quando trovammo questa lettera. Edited by - luisa camponesco on 12/11/2005 21:23:48
Inserito il:
12/11/2005 20:22:34
Messaggio:
Che ne resta di noi, dei nostri sorrisi, dei pianti strozzati, delle corse di notte in avenida de Mayo mentre le battone e i netturbini riempivano le strade di Barcellona.
Che ne resta di quei mugolii strozzati dalle sue mani in quelle stanze fumose dove lentamente mi riappropriavo della mia erotica vitalità.
Cosa resta di me ??
Finito…Distrutto…L’ennesimo distacco…
Le Splash !!! Le mitiche Splash.
Teatrali…Vi porterò sempre nel mio cuore amici miei.
Anche adesso che la morte sfiora le mie mani, le mie palpebre stanche lentamente si socchiudono in segno di resa…proprio ora che sento il gelo della mia angosciante solitudine insidiarsi nella mia carne…Con voi per sempre !!! Luca….
Ma come poteva essere successo proprio a Luca.
Tutti erano costernati. I suoi genitori, i colleghi delle poste, le sue splash.
Non erano ormai molte le occasioni nelle quali ci incontravamo.
Tutti avevamo ormai capito che le Splash erano morte.
Come un istantanea in bianco e nero, sbiadita, ormai annerita dal tempo che logora, Luca si era fermato ai tempi d’oro di noi Splash.
Ricordo i sabati pomeriggio passati davanti allo specchio dell’armadio nella sua camera.
Lo stereo acceso, una sigaretta in bocca, vestiti ovunque.
Un rituale consolidato il nostro.
Sempre così, per anni.
Ore venti, una pizza a domicilio, una birra o una coca, il nostro telefilm preferito e l’attesa che arrivassero gli altri.
Noi Splash non vivevamo a quei tempi.
Sopravvivevamo.
Quella paura fottuta della vita, la stessa nostra vita, ci imbrigliava, faceva si che solo la notte noi potessimo sentirci reali, autentici.
Dei cacciatori in cerca d’amore, di sguardi, di riconoscimento per ciò che realmente eravamo.
Perché l’ amore per noi non c’era, se non in quelle macchine con l’odore pesante del fumo, impantanati in una stradina di campagna con la nebbia avvolgente.
Nascosti. Poco visibili. Ma all’epoca per noi Splash era così funzionale.
Luca pigiava il tasto “PLAY” di quello stereo scassato ed era come se tutto iniziasse.
Quel gioco prendeva piede e si partiva per il nostro folle sabato sera.
Canottiere nere o bianche, jeans leggermente fasciati per mettere in evidenza la merce, anfibi legati alle ginocchia.
Gel tra i capelli, uno “zic” di profumo e tra sguardi ed ammiccamenti vari, eravamo pronti per buttarci nelle strade dove credevamo che la vita fosse reale, suggestiva.
All’apice del successo noi Splash.
Entravamo in quel locale dove tutti stavano appoggiati al bancone a sorseggiare qualche drink con lo sguardo serio e quell’aria funerea impressa sul volto.
La nostra irruenza contagiava tutti, soprattutto dopo il primo giro di “gin lemon”, quando scattavano i primi commenti sensuali sulle possibili avventure della notte.
Il Cobra si defilava subito. Lo sguardo assatanato e quell’inequivocabile ruga d’espressione sul suo volto. Succedeva sempre così. Ci guardava, sorrideva, spariva tra le sagome di quei visi così anonimi. Criticato il Cobra. Gettonato per la sua spontaneità.
Luca lo adorava. Lo seguiva fino a quando le linee della sua sagoma divenivano incerte, tenui nella loro incisività. Rideva Luca per i racconti neorealistici del Cobra ; il furto in macchina dopo aver fatto l’amore, la storia irriverente che ebbe con una pubblica personalità del paese in cui viveva, le mille peripezie nello stabilimento in cui lavorava.
Luca stava alla finestra. Ascoltava tutti, seguiva i nostri movimenti con la semplice certezza che qualunque cosa fosse successa, noi, saremmo rimasti sempre uniti, così uniti come quando abbracciati sul suo divano, coperti da quel plaid a scacchi, guardavamo i quiz della domenica pomeriggio.
Il tempo non risparmia nulla. I nostri volti si sono trasformati ed il sogno dell’eterna bellezza andato, finito. Un elastico la distanza creata tra di noi Splash, in tensione fino a spezzarsi.
Divenivano ormai sempre più radi i momenti nei quali stare insieme.
Lo spettacolo si stava replicando per inerzia. Allora scoppiavano recriminazioni, silenzi urlati, malesseri. L’alchimia finita. Ci distanziammo tutti da quelle situazioni di malessere. Tutti tranne Luca che continuò a credere nel sogno, a quello stupido slogan del “tutto per sempre”. Non accettava che i secondi trasformassero le nostre vite, plasmandole.
Luca si guardava allo specchio con quelle smorfie che accentuavano le rughe impresse intorno agli occhi. Un sorriso ormai spento, logoro nel cuore.
La sua vita finita perché sfumati i suoi sogni.
Non sopportavo quel suo continuo colpevolizzarci.
Insomma, io non ero più a mio agio con le Splash. Le poche occasioni che avevamo per stare insieme erano dei patetici revival dei tempi andati, di come eravamo carini, dei vestiti, dei profumi delle sigarette fumate, degli incontri erotici avuti.
C’era altro nelle nostre vite. C’erano i nostri sogni che prendevano forma, l’impegno per il lavoro, la mia casa da imbiancare, il fidanzamento del Cobra, l’attività di Paolo che si espandeva a macchia d’olio, mio nipote.
Rinnegavo le Splash nel presente. Mi stavano strette, mi legavano a quella forma di conformismo che non mi apparteneva più. Dovete essere perché così è stato.
Ora io ballo solo…mi ripetevo. “Ho tolto il vostro nome dalla porta e c’ho messo il mio”.
L’ultima volta che vidi Luca era appoggiato a quel banco di quel locale in cui appeso in un angolo ci sono ancora i nostri volti sorridenti in un grande abbraccio d’amore.
Il suo “gin lemon” come compagno di viaggio inseparabile, lo sguardo appannato, i gomiti per sostenersi.
Una grande compassione nel mio cuore, straziante la malinconia di chi per vivere deve necessariamente fare un salto. Lui se ne stava li, dove ormai da anni si era seduto. Nessuno stimolo, nessun sogno da rincorrere. Ebbi solo la forza di accarezzargli la schiena e di appoggiare le mie labbra nei suoi neri capelli. Ti voglio bene Luca dissi.
Mentre mi allontanai ebbi l’impressione di vedere un fascio di luce strozzare il suo profilo, come in un’ opera all’atto finale. Luca se ne andò con le Splah, gli altri decisero di vivere necessariamente.
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