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Neruda

Stampato da : Concerto di Sogni
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Stampato il: 22/12/2024

Tema:


Autore Tema: July
Oggetto: Neruda
Inserito il: 04/02/2006 15:36:07
Messaggio:


Neruda

Tutto si sarebbe aspettata quel giorno, ma non di trovare quella bottiglia lì.
Giaceva lì, ferma sul litorale, semisepolta dalla sabbia dura e fredda, ignara del contorno del mare che si allungava, in un orletto bianco di schiuma, sino a pochi centimetri da lei.
Con le pareti trasparenti appannate e sporche di renna, che lasciavano intravedere le fattezze di una pagina di quaderno arrotolata al suo interno, faceva pensare all’immagine di un vecchio racconto dei libri dell’infanzia. Era chiusa da un tappo rosso di gomma, deteriorato dalle intemperie e dalla notte.
Rachele si era fermata apposta per osservarla, interrompendo la corsa mattutina che consumava lungo la spiaggia deserta tra le sette e le otto e mezza, quando ancora l’aria frizzante le rinfrescava la pelle, e quando ancora poteva percepire l’odore pulito, salato, di cui l’aria marina si intride durante la notte. Stava ferma in piedi, in canadese, coi bei capelli biondi raccolti in una coda; il suo profilo sottile – ancora splendidamente sottile nonostante avesse trentasette anni ormai – si delineava sullo sfondo intensamente azzurro del cielo.
Si chinò e la raccolse, ma mentre svitava senza alcuno sforzo il tappo, non pensava certo a quanto il contenuto l’avrebbe turbata…

"Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
...chi non cambia la marca, il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita la passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso..

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità".

S.Antioco, 29 Agosto 1976

Filippo

Il cuore sembrò fare dentro di lei un tuffo, simile alle capriole dei saltimbanchi del circo. Si trattava di una poesia di Pablo Neruda, che Rachele conosceva bene, stesa sopra un vecchio foglio che il tempo aveva reso giallognolo e dai bordi consunti. Chi l’aveva trascritta e racchiusa dentro una bottiglia amava le poesie di Neruda, e l’aveva fatto vent’anni prima....la bellezza di vent’anni prima.
Rachele ripensò a quell’estate così magicamente lontana, in cui lei aveva diciassette anni e si preparava alla maturità scientifica, godendosi l’ultima estate da adolescente libera. I bagni al mare, le uscite notturne con le amiche per le strade illuminate, coi negozi aperti sino a notte fonda, i batticuori per i loro primi giovani amori, non erano che tasselli di un puzzle, che si intersecavano per poi separarsi; milioni di frammenti che galleggiavano nelle isole dei ricordi che ancora adesso riuscivano a farla sentire meravigliosamente emozionata.
Quell’estate aveva conosciuto Filippo, un ragazzo di Torino che trascorreva le ultime vacanze in Sardegna; le ultime, perchè i genitori avevano deciso di vendere la casa al mare di proprietà della famiglia. Il fatto che proprio quell’anno si fossero conosciuti sapeva un pò di fatalità; il fatto che entrambi amassero la poesia, e in particolare Neruda – dettaglio che diede alla loro amicizia un viglore e un’intesa speciali – fu la casualità che allungava la mano verso il sentiero del destino...
Anche adesso, alle porte dei quarant’anni, era strano da pensare, ma era un pensiero vero e fondato, che le più grandi emozioni, le passioni più brucianti, sono figlie dell’adolescenza e della giovinezza; gli anni verdi che non torneranno, nelle cui pieghe per sempre naufragheranno i ricordi destinati a non estinguersi mai...
Si erano conosciuti nel gruppo degli amici. Poi c’erano stati i primi sguardi ambigui, le frasi lanciate dapprima per caso, poi con la consapevolezza timida e spaurita che accompagna i desideri degli adolescenti alle prime armi col mondo dell’amore.
Così, Filippo e Rachele avevano iniziato a trascorrere più tempo insieme, da soli, entrambi percorsi da brividi; entrambi persi nei silenzi degli sguardi carichi di parole...parole mute, tacite, che potevano solo leggersi e mia pronunciarsi ad alta voce, come se questo ne avesse potuto sciupare il significato.
L’estate era trascorsa così, senza che nessuno dei due avesse il coraggio di fare il primo passo, tutto per paura di rovinare i meravigliosi attimi in cui, seduti in riva con le gambe nude sulla sabbia bagnata, si guardavano, e ciascuno vedeva gli occhi dell’altro brillare, proprio come diceva Neruda.
Solo l’ultimo giorno, poche ore prima che Filippo partisse, avvenne ciò che entrambi avevano sognato sin dall’inizio.
Testimone fu il mare, col suo profumo inebriante; complice la notte.
Il rumore delle onde che raggiungevano in un crescendo di schiuma la riva era musica di sottofondo, mentre assieme leggevano la poesia. La leggeva filippo, reggendo il foglio in cui lo sguardo di Rachele vagava; lottavano per leggere perchè l’unico barlume erano le luci dei lampioni. Per il resto, oscurità totale, salvo che per i raggi della luna, dita sottili che attraversavano il cielo fino a giungere a rischiarare, in modo molto fiacco, quelle parole trascritte con la grafia minuta di Filippo.
“Muore lentamente chi evita la passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni....”
E lì Filippo sollevò lo sguardo sopra Rachele, ed entrambi sentirono i battiti del proprio cuore iniziare una corsa disperata contro il tempo....
“... proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.”
Si fermò.
Il colletto bianco della camicia di Rachele, aperto sino a lasciar scorgere la piega del seno, svolazzava sotto l’impulso del vento; sentì il rumore dei suoi piedi che si muovevano sulla sabbia, mentre ella si piegava su sè stessa, quasi si rannicchiava, stringendo le ginocchia fra le braccia.
Percepivano le stesse emozioni, e lo sapevano entrambi. Sapevano che non si sarebbero mai più rivisti, che i loro mondi distavano migliaia di chilometri l’uno dall’altro, che le loro vite erano destinate a non sfiorarsi mai, eppure...Eppure era come se una forza invisibile avesse per sempre unito i loro cuori, stringendoli in un legame indissolubile che solo loro avevano il potere di sancire...
E potevano farlo solo lì, adesso.
Filippo vedeva nel buio della notte gli occhi luminosi di Rachele, le sue labbra lucide, sensuali, e poi erano soli. Soli nel cuore della notte, quasi che la spiaggia si fosse appena tramutata nel loro nido d’amore.
E quello la spiaggia diventò, per una notte. Il loro prezioso, indimenticabile nido d’amore...

Seduta al tavolo della cucina, davanti a un bicchiere di succo d’arancia, Rachele rileggeva la stupenda poesia che Filippo doveva avere lanciato in mare la mattina dopo. Era partito prestissimo, all’alba, certamente ancora ebbro di lei.
Non si erano più rivisti, ma Rachele non avrebbe mai dimenticato quella notte, e quelle emozioni stupende che avevano dispiegato le ali come farfalle, tra i loro corpi intrecciati, per poi richiuderle e morire all’orizzonte.
Lasciando dietro sè la scia del ricordo.
Lasciando dietro di sè l’odore dell’amore.
Vide sua figlia Aurora, che aveva solo otto anni, e che scendeva le scale in pigiama, strofinandosi gli occhi. Era tutta la sua vita, la cosa più cara che aveva; Rachele le si avvicinò per baciarla, e si augurò che anche lei, anni dopo, avesse una prima volta come la sua.


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