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Viaggio in Toscana
Stampato
da : Concerto di Sogni
URL Tema: https://www.concertodisogni.it/mpcom/link.asp?ID ARGOMENTO=17898
Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: riccardo resconi
Oggetto:
Viaggio in Toscana
Inserito il:
17/11/2009 22:32:25
Messaggio:
Viaggio in Toscana
Rientravo a casa quel pomeriggio più presto del solito.
Il mio lavoro di ricercatrice nel campo della bioedilizia mi permetteva di avere ampi spazi di libertà.
Erano i miei studi mirati alla ricerca di materiali compatibili con l’ambiente nell’ambito delle costruzioni.
Questa materia era stata anche oggetto della mia tesi in Architettura.
Glasgow era fantastica da quel punto di vista e dava grandi opportunità a chi le sapeva cogliere.
Nata qui trentadue anni fa da genitori italiani, sono figlia unica.
I miei sono stati strappati alla vita da un incidente d’auto alcuni anni fa.
Ero molto legata a loro.
Ma questa cosa mi ha rafforzato.
Forse perché hanno sempre mantenuto saldamente viva la loro identità di emigrati e della stretta unione della famiglia.
Gli unici parenti rimasti in Italia oggi sono un cugino, Tommaso ed una sorella della nonna Marilena.
Ho un compagno James, anche lui ricercatore come me.
Si parla spesso di matrimonio, ma non si e’ mai arrivati ad una conclusione.
In fondo penso che nessuno dei due lo voglia veramente.
Siamo felici lo stesso.
Abbiamo anche un mezzo zoo a casa. Un cane, un gatto,due fantastiche cocorite e una coppia di tartarughe.
La femmina ha appena partorito due piccoli. Sono mamma.
Oggi poi mi sento anche particolarmente contenta.
L’amore con James và così bene, che quando cammino mi sembra di essere sollevata un palmo da terra.
Il quartiere in cui vivo è un misto di razze e la maggior parte i giovani. Mi piace davvero tanto.
Ecco quel giorno dicevo, tornavo a casa.
Aprii come di consueto la cassetta della posta.
E tra le solite pubblicità e avvisi vari, una lettera in particolare attrasse la mia attenzione.
Indirizzata a Miss Sofia Della Robbia.
Di color giallo paglierino , molto piacevole al tatto e con impresso un giglio nella parte in alto a destra.
Entrata in casa, presi di corsa il taglia buste per aprirla.
Strapparla sarebbe stato un delitto.
Divorai la lettera in un fiato.
Quando ebbi finito mi dovetti sedere in fretta.
Le gambe mi tremavano e le abbandonai lunghe e distese sul pavimento, mentre la schiena sprofondava sullo schienale del divano.
Quella lettera arrivava dall’Italia ed esattamente dalla provincia di Arezzo. La città da cui provenivano i miei genitori.
Un tale Notaio Dott. Tiraboschi, mi comunicava senza neanche tanti preamboli che avevo ereditato un casolare.
Dalla nonna Marilena.
La lettera diceva così:
-Suddetto casolare posto nella frazione Ortiche e composto anche da innumerevoli ma non precisati mq di terreno, con annesso usufrutto del torrente Lapidone, entrano a far parte della eredità di miss. Sofia Della Robbia
Voglia pertanto essere presente all’apertura di suddetto lascito il giorno cinque Marzo, presso lo studio di codesto Notaio nella città di Arezzo-
Era fra una settimana.
Non avevo più parole. E quelle che cercavo di professare mi si stringevano alla gola, facendomi emettere un suono stridulo come un’aquila in picchiata verso la preda.
Ci volle un bel po’ di tempo per riprendermi.
Dovevo subito parlarne a James.
Lo chiamai subito al telefono e mezz’ora dopo era da me.
Raccontai come un fiume in piena il contenuto della lettera.
Decidemmo di comune accordo che sarei partita ma senza di lui.
Precedenti impegni glielo impedivano.
Arrivai in Italia il quattro Marzo e raggiunsi Arezzo nel primo pomeriggio.
Durante il volo avevo avuto anche modo di riflettere su questa cosa che mi stava capitando. In fondo mi dissi, non ero mai stata in Italia.
Poteva essere una buona occasione per visitarla.
Avevo preso dieci giorni di ferie.
Pensai che sarebbero bastati.
Non potevo immaginare che non sarebbe stata così.
Sbrigate le pratiche ancora in giornata, mi vennero consegnate le chiavi e date le indicazioni per raggiungere il posto.
Volevo partire subito verso la destinazione e cosi feci.
Affittai una macchina italiana, una Fiat 126.
Macchina che aveva visto molte lune ma che fece il suo dovere.
Arrivai dopo un’ora.
Il posto era davvero bello,pieno di colline, ma praticamente desolato. Non si vedeva anima viva in giro,solo qualche luce fioca in distanza di altri cascinali. Ed inoltre stava venendo buio.
Il vialetto sterrato che mi avrebbe portato al casolare era davanti a me. Solo un cancello arrugginito e cigolante mi separava da lui.
Inforcatolo gli arrivai davanti facendo non poca fatica, un po’ perché il sole era sparito dietro la linea dell’orizzonte ma anche perché la sterpaglia aveva ormai invaso il vialetto.
Posai le valigie e con sguardo smarrito guardai davanti a me.
Il casolare penso che anche lui guardasse me, unica visitatrice chissà da quanti anni.
Era un rudere a prima vista.
Non sapevo cosa pensare per prima. Se pensare di sistemarmi per la notte oppure scappare a gambe filate da quel luogo.
Esattamente cosa mi trattenne non lo capii subito ma qualche giorno dopo.
Un albergo a quell’ora e in quel luogo era arduo, oltre il fatto che ero anche molto stanca.
Mi sistemai nella macchina in qualche maniera e cercai di dormire.
Forse la notte mi avrebbe portato consiglio, di sicuro mi portò un bel mal di schiena.
La mattina con il vecchio mazzo di chiavi datomi dal notaio, aprii la porta a due ante ed entrai piano.
Dovetti aprire tutte le finestre e persiane della casa per avere un po’ di luce e il sole fece cambiare la prospettiva del tutto.
Il casolare era ormai abbandonato da anni e davvero bisognoso di cure, ma non mi persi d’animo.
Iniziai prima di tutto la mia perlustrazione.
Era pur sempre la casa di campagna , dove anche i miei genitori avevano soggiornato e dove vi si erano rifugiati durante il periodo della guerra, quando Arezzo veniva bombardata .
La prima stanza che incontrai era quella probabilmente usata come soggiorno, ma era completamente vuota. Alle mura un parato di color sabbia strappato.
Sulla sinistra la cucina tutta maiolicata di bianco, e il camino con appeso un paiolo di rame, dove forse zuppe venivano cotte a lungo nella vera tradizione contadina aretina.
Un’altra stanza sulla destra sembrava fungesse da studiolo. Lo penso per due motivi, il primo perché la nonna Marilena era una maestra di quelle con la M maiuscola, così raccontavano i miei.
Il secondo perché mi imbattei in alcuni quaderni di bambini sicuramente suoi alunni.
Su questi fogli scritti con l’inchiostro, pagine intere di a e di b e cosi via. Su di uno di questi, scritto piccolino piccolino, come per voler conservare il segreto una frase:
Tommaso AMA Annachiara.
Salii la vecchia scala, mentre il sole perforava il tetto ormai malconcio e tutto da rifare. I suoi raggi segnavano i gradini e mi indicavano la via.
Nel piano superiore un paio di camere da letto anch’esse vuote.
Solo la cameretta in fondo al corridoio aveva al suo interno ancora una vecchia culla. Mi avvicinai con curiosità e guardando meglio notai un lembo ormai consumato di stoffa con su impresso un nome.
Sofia.
Ebbi un balzo al cuore.
La nonna aveva conservato il lettino dove avevo dormito da piccola.
Mi misi seduta sul pavimento sfiorando con la mano destra quel lembo di stoffa, come se fossi alla ricerca di una ultima carezza di quella splendida donna.
Una lacrima mi percorse il viso, impedendomi la vista per un attimo.
Mi rialzai ancora un po’ scossa e non mi accorsi dell’ostacolo davanti a me.
Picchiai la punta del piede e urlai così forte che presi a saltellare con la gamba sana e avvicinando l’altra al petto tenendola con le braccia.
Una cassapanca aveva interrotto la mia perlustrazione.
Tornai giù cercando dell’acqua che mi permettesse di bagnare il piede. L’unico rubinetto che trovai sgorgò solo due gocce.
Mi sedetti per circa mezzora e quando iniziai a stare meglio, anche la mia curiosità era andata aumentando.
Quella cassapanca aveva voluto attirare la mia attenzione.
Ne forzai la serratura.
Al suo interno sembrava che la nonna avesse voluto mettere tutti i ricordi suoi.
Un baule pronto ad essere portato via, se fosse mai avvenuto un diluvio universale.
Nel primo strato una serie di vestiti d’epoca molto belli, ancora morbidi al tatto ma che avrebbero avuto bisogno di arieggiare.
Ne trovai uno anche del nonno, una giacca marrone di fustagno.
Nel secondo strato vari album di famiglia, foto in bianco e nero che fissavano attimi di vita. Trovai anche qualche mia foto.
Foto che non possedevo e forse neanche i miei avevano avuto e portato con se quando erano migrati.
Ero fissata su quella con un vestitino a fiori che ricordo ancora, cortissimo, che mi mostrava tutte le gambe rovinate dai giochi infantili, e con un faccino vispo pronto a combinare la prossima marachella.
Nell’ultimo strato come per difenderli alla vista indiscreta, dei cofanetti racchiudevano varie gioie e camei, di cui la nonna era nella sua femminilità, raccoglitrice.
Richiusi la cassapanca con animo turbato ma fiero.
Li dentro c’era una fetta della mia vita.
Non volevo sciupare niente e soprattutto non avere fretta.
Trascorsi quei giorni, come farebbe una investigatrice.
Cercando, scrutando, sfogliando.
Quando invece ero fuori nel giardino dove vicino scorreva il torrente, ero in piena estasi.
Annusavo, ascoltavo, divagavo con il pensiero.
Sembrava quasi che davanti a me si materializzassero le figure a me care, ed io spettatrice esterna.
Avevo trovato da dormire in un vicino alberghetto detto “ La locanda del Berlingaccio”.
Qui una coppia gestiva il locale ma se anche non avevano notizie alcuna in merito alla mia parentela, erano delle persone gradevolissime.
Cucinavano inoltre della pappardelle all’aretina, con fegatini che facevano trasalire i morti.
Erano passati ormai dieci giorni.
Ma il legame per quella terra e per le miei origini erano ogni giorno sempre più prepotenti.
Convinsi il mio capo ad avere ancora dei giorni di ferie e spostai il mio biglietto di aereo.
Fu meno contento il mio compagno. Gli mancavo davvero tanto e anche lui a me.
Ma avevo ancora qualcosa da sistemare.
Inforcai la bicicletta che avevo trovato nel capanno vicino.
Lungo la strada raccolsi dei bellissimi fiori di campo.
Il cimitero era un piccolo cimitero di provincia.
Cercai tra le tombe e la trovai.
La nonna Marilena era li. In una piccola tomba bianca.
Cambiai subito i vecchio fiori ormai secchi e misi quelli appena raccolti.
Sembrava subito dopo, che il suo volto sorridente fosse ancora più illuminato.
Bastarono dieci minuti per poterle raccontare di me e ringraziarla.
Quando tornai con la bici senza alcuna fretta, facendo tutte quelle salite e discese, ad ogni metro mi innamoravo sempre di più di quel luogo.
Appena arrivai chiamai James.
Fu tale il mio fervore nel raccontargli che fece sue le mie parole.
Avremmo sistemato il casolare un po’ alla volta.
Tornai a casa in aereo col viso incollato al finestrino ed il mio cuore che era rimasto a terra.
Passammo delle vacanze estive magnifiche, anche con i ragazzi.
Ma da quel maledetto rubinetto non venne mai fuori l’acqua.
patapump
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