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Donne di Guinea, donne d'Africa

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Stampato il: 23/12/2024

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Autore Tema: Roberto Mahlab
Oggetto: Donne di Guinea, donne d'Africa
Inserito il: 26/03/2010 15:03:08
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“Dobbiamo seguirle e appoggiarle e accompagnarle, è il mondo di oggi, le donne devono avere diritti uguali agli uomini”, esclama il signor Ali facendo un cenno alle signore che negli elegantissimi e colorati vestiti africani stanno prendendo posto nel salone della “Casa della Pace” di Milano che il 14 marzo ha ospitato l’incontro delle associazioni delle donne guineane in Italia.

“Uguali diritti?”, gli fa eco il giovane signor Barry Adramet, “il termine ‘uguaglianza’ secondo me indica ancora una contrapposizione, invece io parlerei di ‘complementarietà’ tra donne e uomini nella vita e nella società”.

Barry aveva appena finito di raccontarmi l’entusiasmo per il suo lavoro nel campo del marketing in Piemonte, dopo gli studi all’università di Conakry e l’immigrazione in Italia.

La sala è gremita quando prende la parola la signora Saran Daraba Kaba, ex ministro per gli affari sociali e vicepresidente delle associazioni della Società Civile in Guinea, fondatrice della Rete delle donne del fiume Mano per la pace , a cui le Nazioni Unite hanno riconosciuto il premio per i Diritti dell’Uomo, si tratta di una organizzazione attiva nella promozione dei diritti delle donne nella regione del fiume Mano, tra Guinea, Liberia e Sierra Leone.

La Guinea è un paradosso tra le nazioni, è una miniera a cielo aperto, bauxite, uranio, diamanti, ferro, è di ieri la notizia di un possibile accordo tra la società australiana Rio Tinto e la cinese Chinalco per un investimento di dodici miliardi di dollari per lo sfruttamento delle miniere della zona di Simandou. Senza considerare la produzione agricola del paese alla quale lavora il settanta percento della popolazione. Una miniera a cielo aperto e contemporaneamente maledetto da povertà diffusa, corruzione, regimi dispotici e paurosi massacri.

Fino al 1958 la Guinea è parte dell’Africa Occidentale Francese e in quell’anno è l’unico paese appartenente alla sfera francese a votare a favore dell’indipendenza in un referendum voluto dal presidente Charles De Gaulle. Un voto coraggioso che avrebbe dovuto trasformare la Guinea nel laboratorio della democrazia in Africa Occidentale, ma che ebbe come seguito solo lunghissimi periodi non democratici e regimi militari. I dati economici odierni sono sconfortanti, i quasi dieci milioni di abitanti, appartenenti a ventiquattro gruppi etnici, hanno una aspettativa di vita di cinquanta anni, la mortalità infantile è del dieci percento, il tasso di analfabetismo è del cinquanta percento.

La signora Saran è vestita di un elegante tradizionale abito dai colori sgargianti, in perfetto francese, lingua ufficiale dei paesi dell’Africa occidentale, introduce l’argomento che unisce le donne di tutta l’Africa, la richiesta delle pari opportunità, l’uguaglianza, il lavoro, il contributo alla vita economica, l’orrore delle violenze e della discriminazione sociale. Problemi che non mancano anche in Europa, le donne immigrate che dividono il loro tempo tra lavoro e famiglia, eppure sono soggette ad una subcultura razzista provocata dall’ignoranza.

Una donna che faceva di mestiere la farmacologa, poi il ministro dell’infanzia e infine consulente dell’Onu per l’educazione e la salute in Africa inizia a raccontare la storia e la società del suo paese. Non posso non chiedermi che cosa sarebbe la politica internazionale se le donne avessero pari opportunità nei governi, che cosa sarebbe della pace e della guerra, che mondo diverso dall’attuale potrebbero disegnare.

Ma come descrive una donna la guerra?

Racconta dei paesi vicini alla Guinea, della guerra civile in Liberia e in Sierra Leone nel 1989, delle spossanti discussioni per raggiungere un accomodamento pacifico nelle quali per nove anni nessuna donna era ammessa, delle elezioni del 1997 in Liberia con la richiesta delle associazioni femminili che fossero precedute dal disarmo delle milizie, della risposta negativa dei partiti guidati da uomini che vollero le elezioni indipendentemente dal disarmo delle milizie, senza la comprensione che una elezione con le milizie armate comporta che il partito più armato e non quello più democratico si affermi. La signora Saran indica che la proposta del tutto ovvia non fu accolta solo perché formulata da donne.

La guerra degli uomini, le violazioni dei diritti umani e le vittime incolpevoli perché non parte delle decisioni, le donne e i bambini, i diritti calpestati delle donne che non sono mai oggetto di discussione.

La guerra che sconvolse la Liberia provocò la migrazione di un milione di profughi in Guinea, la guerra degli uomini in cui la violenza contro le donne divenne arma di guerra sia da parte dei ribelli che da parte del governo, la violenza che non si fermava neppure nei campi dei rifugiati, il ricatto e lo stupro delle donne ad opera del personale sanitario maschile delle associazioni umanitarie.

La Guinea non ha conosciuto direttamente la guerra, ma ha conosciuto la violenza strutturale dell’assolutismo, la situazione dei diritti umani nel paese è particolarmente grave, due terzi della popolazione ha vissuto una vita condizionata dalla violenza, si tratta dei due terzi della popolazione che ha meno di trent’anni, non sanno che cosa sia la vita senza usurpazione, la violenza per i più giovani rischia di diventare un mondo naturale da accettare con fatalismo. I crimini di guerra si succedono nei paesi confinanti senza che di conseguenza esista un quadro psicologico che faccia barriera.
Oltre che dalla Liberia e dalla Sierra Leone e dalla Costa D’Avorio insanguinate dalla guerra e dalle crisi, la Guinea confina con gli instabili Guinea Bissau e Senegal, con il Mali della ribellione dei Tuareg, non c’è sollievo o esempio nei paesi che la circondano.

Quando le forze armate irrompono sulla scena politica nazionale, la violenza interna si aggiunge a quella esistente ai confini. Nel 1984 un golpe militare smantella totalmente l’amministrazione precedente senza alcuna logica, la disorganizzazione sostituisce l’autorità dello stato. Nel dicembre del 2008 un nuovo colpo di stato viene salutato con speranza dalla popolazione, i giovani militari e le forze patriottiche paiono finalmente dialogare, ma l’illusione dura poco, l’intenzione reale delle forze armate non è portare la democrazia reale, ma indire elezioni politiche in cui i candidati siano i militari stessi.

Nel 2000 nasce la prima rete organizzata di donne appartenenti alle professioni legali e commerciali, attività coraggiose in un paese in cui regna l’insicurezza e in cui la partecipazione delle donne è scarsa e il loro apporto sottostimato, la loro valorizzazione rifiutata.

La signora Saran racconta come in teoria le donne della Guinea avrebbero dovuto sempre essere salvaguardate e apprezzate grazie a tre serie di diritti che sono i pilastri della Storia del paese, il diritto positivo delle leggi, ereditato da colonizzatori francesi, il diritto religioso, gli abitanti sono per l’ 80% musulmani e il 10% cristiani, religioni monoteistiche, il diritto tradizionale ereditato dall’antica appartenenza all’impero del Mali la cui costituzione del 1236 indicava i principi della gestione dello stato e della società.

Purtroppo meno del venti percento delle donne di Guinea conosce i propri diritti positivi e questa mancanza di conoscenza della legge è la ragione delle violazioni impunite, paradossalmente esiste un quadro giuridico approfondito ma sono le donne stesse a non essere in grado di chiedere assistenza giuridica. Senza contare che in una società così travagliata è addirittura malvisto che una donna si lamenti e denunci.


E infine il 28 settembre 2009, l’orrore.

Il golpe militare che l’anno prima pareva permettere l’inizio del dialogo con la società civile, mostra il suo vero volto demoniaco. Quel giorno, nel corso di una manifestazione in favore della democrazia la giunta al potere scaglia sulla folla le forze di sicurezza le quali scatenano gli istinti più belluini contro le donne, più di cento donne vengono circondante e sistematicamente stuprate, il numero finale delle vittime ancora ignoto, un crimine mai avvenuto prima, un orrore contro la cultura umana, contro il rispetto della vita, la donna violata perché donna.

Il messaggio assassino è chiaro :"voi donne non avete il diritto di mescolarvi alla politica".

Il mondo intero ha un moto di ripugnanza, le Nazioni Unite aprono un inchiesta, uno dei responsabili della giunta fugge alla corte di altri dittatori, i paesi democratici annunciano sanzioni.

L’opposizione democratica ottiene la convocazione di una commissione nazionale per l’accertamento dei fatti e delle responsabilità, ma molte donne si vergognano di quanto hanno subito e si nascondono, le domande a quelle che decidono di parlare cadono nel vuoto perché assurde e irreali di fronte alla gravità di quello che si può considerare lo stupro della Guinea.

La sala delle conferenze è agghiacciata al preciso racconto della signora Saran che invoca una sola risposta :”le donne devono intervenire nella politica”. L’obiettivo minimo è ottenere il quaranta percento di donne nella magistratura, nel parlamento, nell’amministrazione delle città. Lo sforzo deve essere di diffondere tra le donne la conoscenza del quadro giuridico, le leggi esistono ma sono sconosciute e non vengono applicate perché i magistrati sono tutti uomini. Invece le prigioni sono miste, con la conseguenza che le donne recluse vengono violentate. E la conoscenza dei propri diritti conquistati nel passato è come la conoscenza della propria Storia, un popolo che non valorizza il passato, non riesce a costruire il futuro, il passato è da ricordare nel bene e nel male e naturalmente si deve sviluppare partendo dal bene. La Guinea è la prova vivente che le risorse naturali non servono se non c’è una visione comune della società.

La signora Saran aggiunge una nota pessimista : la commissione delle Nazioni Unite e la commissione nazionale guineana non sono in grado di raggiungere lo stesso risultato nell’inchiesta sullo stupro di massa, il rischio è che il rapporto conclusivo risulti annacquato a causa delle pressioni dei grandi gruppi industriali stranieri interessati allo sfruttamento delle ricchezze minerarie del paese e quindi non certo inclini ad un intervento in contrasto troppo esplicito con chi detiene il potere.

Non solo, prosegue la signora Saran, la Guinea è un paese profondamente diviso tra le etnie i cui appartenenti non si salutano neppure per la strada e così appare che i guineani affermino la volontà che la situazione della società cambi totalmente, ma essi stessi non sono pronti a cambiare i loro pregiudizi.

E come in Liberia l’inascoltata voce delle donne chiedeva il disarmo delle varie milizie prima che si tenessero le elezioni, le donne guineane denunciano che nel loro paese di origine la politica si muove al servizio dell'etnia, chi assume ruoli di potere, a partire dal presidente, sceglie i ministri tra il suo clan, di fatto i partiti sono espressioni etniche. Il cambiamento avverrà quando sarà abolito il voto di clan, insiste la signora Saran.
“Forse dovrò corrompere gli uomini per diventare presidente?", aggiunge con arguzia.

E gli immigrati dalla Guinea in Italia?

La signora Saran è molto decisa in merito, la diaspora guineana deve apportare nei paesi di accoglimento, le nuove patrie, il contributo della parte migliore della cultura del paese di origine, un giorno si dovrà dire degli immigrati che avranno donato all’Italia un apporto positivo. Solo dall’Africa francofona sono giunte in Italia decine di etnie diverse di immigrati, il recupero della loro migliore tradizione è interesse primario dell’Europa, il rischio altrimenti è che la mancata accettazione per ragioni razziali conduca specialmente la seconda generazione ad essere attirata da movimenti estremisti. Pericolo acuito dai problemi sociali che le famiglie di immigrati affrontano a seguito della crisi economica che ha messo in ginocchio il mondo intero. Degno di nota poi è che paradossalmente sono gli immigrati ad essere la memoria letteraria della lingua coloniale di origine, sono gli immigrati dall’Africa francofona che custodiscono e usano le espressioni del miglior francese che in Francia non si usano quasi più e così è per gli immigrati da paesi di colonizzazione e lingua italiana che sono arrivati in Italia.

E saranno sempre le donne, nella loro duplice funzione di lavoratrici e di madri di famiglia, ad addossarsi la responsabilità dello sviluppo dell’integrazione e successivamente di essere il ponte per la trasmissione dei valori che potranno incoraggiare e recuperare le forze sane del paese di origine.

La donna di Guinea, è la donna d’Africa. La conferenza della signora Saran si arricchisce di due altri interventi, la signora Wade, rappresentante delle organizzazioni delle donne del Senegal e la signora Maryan Ismail, presidente della "associazione donne in rete per lo sviluppo e la pace".

La signora Wade avverte che non si può parlare di sviluppo senza la donna e che la società deve comprendere che, aiutando le donne, vivono meglio anche gli uomini e che le parole della signora Saran possono essere generalizzate, l’obiettivo è la liberazione di tutte le donne africane.

La signora Saran interviene e aggiunge che se viene schiacciata la donna, affonda l’ìntero continente.

La signora Maryan Ismail introduce un problema di cui si è occupata a lungo, la battaglia per la moratoria delle mutilazioni genitali subite dalle donne in Africa, una tremenda sfida all’umanità che vede le donne unanimemente schierate contro l’orrore di uno dei metodi più barbari per imporre loro di non essere parte attiva dell’umanità.

Un orrore che si rispecchia anche nelle donne immigrate con la sorpresa dei medici europei quando non riescono a capire come intervenire quando le donne partoriscono.

Molti imam hanno più volte ribadito che non si tratta di un obbligo religioso e che anzi le mutilazioni sono contro la religione e la religiosità. Ma non tutti.

Djibuti, 2005. Sessantanove imam sono riuniti per discutere che cosa prevede la religione riguardo alle donne e viene presentato un approccio di compromesso che prevede una mutilazione limitata, solo uno degli imam, sudanese, respinge l’assurda proposta e afferma che le mutilazioni di ogni genere sono contro la parola del Creatore.

Il ministro di Djibuti prende il documento e lo porta in un salone attiguo, dove la signora Maryan e altre quattromila donne attendono il responso, il ministro chiede ad alta voce alle donne il loro parere e le donne gridano il loro indignato “no”. Il ministro strappa il foglio. Il timido e imbarazzato imam sudanese viene portato in trionfo dalle donne.

Ventotto paesi africani hanno decretato che la pena per chi opera le mutilazioni genitali femminili è la galera.

Non basta la legge per sradicare completamente la barbarie e la signora Saran racconta come in Guinea si siano organizzate “le case di iniziazione senza mutilazione”, dove le ragazze in pericolo di subire l’orrore vengono raccolte e educate alla conoscenza dei loro diritti di donne e di esseri umani.

Nella pausa della conferenza mi invitano a condividere il loro pasto, le donne di Guinea, di Senegal, di Somalia, trovo tutto squisito, dal riso di orzo alle verdure e alle bevande caratteristiche. Alcune donne tengono una piccola rappresentazione danzante nei loro sgargianti vestiti africani. L'imam mi saluta con calore, il signor Ali mi parla dei resti di una sinagoga a Conakry, forse un reperto dell'antica migrazione dall'Egitto dei progenitori dei Fulani, una delle etnie dell'Africa Occidentale.

Sto ad ascoltarli con attenzione e umiltà, mi chiedo quanti drammi i loro occhi abbiano visto, come la libertà dei paesi a cui sono infine approdati sostituisca la nostalgia per i loro paesi in fiamme, alcuni non esistono neppure più come struttura statale come la Somalia, sento quanto amore e volontà di partecipazione sono disposti ad offrire alla società dei paesi che li hanno accolti, non torneranno indietro, non vorranno che i loro figli conoscano i drammi che hanno conosciuto i genitori. Costruiranno qui il loro futuro e saranno il ponte del pensiero di libertà e democrazia che un giorno trasformerà anche i loro paesi di origine.

Roberto Mahlab


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