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le bolle di sapone

Stampato da : Concerto di Sogni
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Stampato il: 23/10/2024

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Autore Tema: gattosilvestro
Oggetto: le bolle di sapone
Inserito il: 05/07/2003 09:05:43
Messaggio:

Le bolle di sapone! Voleva fare solo le bolle di sapone.
Quanto erano belle le bolle di sapone, si coloravano alla luce del sole e seguivano il sospirar del vento.
Anche quel pomeriggio faceva le sue bolle di sapone, nel cortile dietro casa sua, quello fatto di un prato grande mal custodito dove l’erba cresceva e si bruciava al sole dell’estate senza che nessuno provvedesse a darle un ordine.
Si sedeva sotto la piccola betulla con la schiena appoggiata al tronco lasciandosi alle spalle il complesso popolare dove abitava con i suoi genitori.
Sua madre non voleva che giocasse in quel disordine di vetri rotti e siringhe, aveva paura che potesse ferirsi ma lui non aveva di questi timori, conosceva molto bene il terreno in cui finiva per sedersi, aveva con cura liberato una porzione di prato da tutta la sporcizia lasciata da vagabondi e animali.
Nessuno dei suoi amici lo seguiva in quei pomeriggi di noia e solitudine, lo osservavano dal muretto mentre con foga soffiava nel piccolo cerchio di plastica rosa e invadeva piccole porzioni cielo con le sue bolle.
Lo prendevano spesso in giro quando affermava che si stava allenando per crearne una abbastanza grande da poterlo contenere e portarlo via da quell’inferno che tutti chiamavano “Caminetto”.
Caminetto era il famoso quartiere dove abitavano i poveri come lui, figli della disoccupazione e della violenza.
Sua padre faceva parte di questo sottogruppo della società moderna, licenziato dalla fabbrica di piatti che aveva fallito dieci anni prima era stato pizzicato mentre tentava, insieme a quattro complici, una rapina alla filiale della Banca Popolare della città.
Trovava buffo il fatto che suo padre per togliersi da un quartiere popolare avesse preso di mira proprio una banca che portasse lo stesso nome.
Ma a Matteo tutti questi discorsi interessavano sino ad un certo punto, le bolle di sapone erano la sua passione insieme al disegno.
Se non disegnava faceva bolle di sapone e se faceva bolle di sapone non disegnava. Altro non era in grado di farlo. Mancava di concentrazione dicevano gli insegnanti della scuola elementare che frequentava.
A lui la scuola piaceva, gli piacevano i compagni, le maestre, il bidello Mario che gli portava tutte le mattine un panino per la merenda. Poi c’era Lucia, la bambina della 5 C. Aveva occhi neri come la pece e lunghe chiome nere sulle spalle.
Non sapeva nulla dell’amore ma diceva sempre a sua madre che un giorno, quando sarebbe stato ricco l’avrebbe sposata!
Sua madre sorrideva a quelle parole e lo abbracciava forte baciandolo ripetutamente sul viso resistendo ai suoi tentativi di divincolarsi. Odiava essere baciato, lo odiava da quando era ancora in fasce e ricordava sua nonna che lo prendeva in braccio e cercava di coccolarselo un po’, odiava quell’odore di aglio che le usciva sempre dalla bocca. Quando era divenuto più grande soffriva le visite della nonna, che con l’età era peggiorata nel suo modo di vivere, sempre più grassa, con le caviglie gonfie e i gambaletti color carne sempre scesi sulle caviglie. Nei piedi le ciabatte blu, ormai completamente distrutte da anni di scale e marciapiedi.
Lo chiamava il “mio tesorino”! Una volta aveva provato a dirle che non solo non era il suo tesorino ma che si chiamava Matteo ed in risposta aveva ricevuto una sberla da parte di suo zio. Lo zio, il fratello scemo della mamma. 53 anni, mai sposato, abitava ancora con la vecchia, anche lui puzzava, di sigarette e vino.
Tutti puzzavano in quella famiglia, e se non erano odori erano pensieri o parole.
Sua mamma invece era bella, Matteo la fissava per ore quando lavorava in casa. Sua madre era sarta. Per lui era una maga. Da un pezzo di stoffa ne ricavava una camicia, una gonna, un paio di pantaloni.
La guardava tagliare la stoffa seguendo i modello di carta ricavati da vecchi giornali, osservava le mani che si muovevano veloci tra aghi e fili e le dita impegnata a seguire i contorni.
Con gli occhi bassi, china su quel tavolo eseguiva la sua arte magica alzando di un poco lo sguardo per incrociare gli occhi del suo angelo. Perché lui lo sapeva di essere il suo angelo, glielo ripeteva ogni sera prima di dormire, seguendo con le dita il profilo del suo viso poteva scorgere tutte le volte una nuova increspatura. Lei gli sorrideva dicendogli che stava invecchiando e che avrebbe fatto la fine della nonna. Ma il suo viso era sempre lucente quando inforcava gli occhiali e cominciava a creare.
Anche lui creava. Mentre sua madre cuciva lui disegnava.
Vedendolo concentrato sul foglio di carta si avvicinava scoprendo sempre un mare di colori immaginari che scorrevano ribelli.
Se gli chiedeva cosa fosse la risposta era sempre la stessa “bolle di sapone esplose al sole”.
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